“La nostra Regione, il Caucaso meridionale, ha bisogno di pace”: lo ripete spesso Tsovinar Hambardzumyan, Ambasciatore della Repubblica d’Armenia in Italia, mentre nella sede diplomatica di Roma, che si affaccia sul Tevere, continuano ad arrivare visite e messaggi di solidarietà. La tristezza nei corridoi è percepibile. Il tono della conversazione sempre pacato. Una laurea in Lingue e letterature alla facoltà di Studi Orientali dell’Università Statale di Yerevan e un’altra presso la School of Political Studies del Consiglio d’Europa, con perfezionamento in Sicurezza al Rome Defense College della NATO, la diplomatica, nel Bel Paese da circa tre anni, si esprime in un italiano quasi perfetto. L’attenzione, non può essere altrimenti, è tutta sulla popolazione del Nagorno Karabakh.
Eccellenza, quale situazione si registra oggi, a poco più di trenta giorni dall’operazione militare con cui l’Azerbaigian ha colpito l’enclave armena, segnando la fine dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh?
“Dopo più di nove mesi dal vero assedio del Nagorno Karabakh, il 19 settembre l’Azerbaigian ha lanciato un’aggressione su larga scala contro il Nagorno-Karabakh. Più di centomila persone, inclusi trentamila bambini, la cui unica aspirazione era vivere e prosperare in pace e dignità nella loro Patria ancestrale, dove i loro antenati avevano vissuto per migliaia di anni, sono state sottoposte ad un attacco militare da parte dei soldati dell’Azerbaigian. Questa atroce offensiva, che ha causato la morte di centinaia di persone, anche civili, tra cui donne e bambini, è stata cinicamente definita come un’“operazione antiterroristica locale”. Così, la popolazione del Nagorno Karabakh, già allo stremo, è stata costretta a lasciare le proprie case e ad andar via dalla terra dei propri antenati. Come si può chiamare questa operazione se non pulizia etnica?”.
E’ possibile a suo avviso un prossimo accordo di pace fra Armenia e Azerbaigian?
“Nel corso degli ultimi 30 anni l’Armenia ha cercato di proteggere gli armeni del Karabakh proprio per prevenire lo scenario che oggi è davanti ai nostri occhi. Noi e l’Azerbaijan abbiamo sempre visto il conflitto del Nagorno Karabakh in modi diversi. E nel corso degli anni queste posizioni non si sono avvicinate mai. Per l’Azerbaijan il conflitto è sempre stato una questione di territorio. Per l’Armenia, invece, il conflitto del Nagorno-Karabakh è sempre stato una questione di persone e dei loro diritti. Noi crediamo che la pace sia possibile. Auspichiamo che gli accordi raggiunti a Praga e a Bruxelles, nel prossimo futuro, costituiscano la base proprio di un trattato di pace, il cui primo principio stabilisca che Armenia e Azerbaigian riconoscono reciprocamente la loro integrità territoriale. Ovvero che l’Azerbaigian riconosca l’integrità territoriale di 29.800 km quadrati dell’Armenia, e l’Armenia riconosca (come del resto ha già fatto) l’integrità territoriale di 86.600 km quadrati dell’Azerbaigian. Il secondo principio, che il processo di delimitazione tra Armenia e Azerbaigian debba avvenire sulla base della Dichiarazione di Alma-Ata del 1991. E il terzo principio, che l’apertura delle comunicazioni nella Regione, compresa l’apertura reciproca di strade e ferrovie al commercio internazionale, debba avvenire sulla base dei principi di sovranità, giurisdizione, eguaglianza e reciprocità. Speriamo di firmare un accordo di pace volto a normalizzare le relazioni con l’Azerbaigian, basato su questi principi. È ovvio che la nostra Regione, il Caucaso meridionale, ha bisogno di pace. E cos’è la pace? È uno stato in cui i Paesi vivono con frontiere aperte, come qui, in Europa, dove sono tutti collegati da legami economici, politici, culturali e umani, accumulando esperienza nel risolvere tutte le questioni in modo diplomatico, e attraverso il dialogo. Questo è il motivo per cui il nostro governo ha sviluppato e presentato il progetto “Crocevia della Pace” come una parte importante della propria agenda. Il significato chiave di questo progetto è legato allo sviluppo delle comunicazioni tra Armenia, Georgia, Turchia, Azerbaigian e Repubblica Islamica dell’Iran attraverso la riparazione, la costruzione e la gestione di strade, ferrovie, condotti, cavi e linee elettriche”.
Si è parlato molto a settembre scorso di una possibile mediazione italiana fra Baku ed Erevan. Qual è il suo commento al riguardo?
“L’Armenia è determinata e fa tutto il possibile per raggiungere una pace duratura e una stabilità sostenibile nel Caucaso meridionale. Noi siamo fedeli agli impegni volti a stabilire la pace. A questo proposito è di cruciale importanza l’adesione e il sostegno ai principi della Dichiarazione di Granada da parte dei nostri partner. Qualsiasi iniziativa che possa portare la pace nella Regione è importante. L’Armenia è pronta a impegnarsi in modo costruttivo sulle proposte avanzate, volte a ricostruire la fiducia, ma la cosa più impostante è mantenere la mediazione di Charles Michel, nonché sostenere i principi della Dichiarazione di Granada da parte di tutti coloro i quali sono interessati alla pace e alla prosperità nel Caucaso meridionale”.
Come definirebbe oggi le Relazioni fra Armenia e Italia?
“I nostri legami sono stati sempre forti e ampi, a partire dall’indipendenza dell’Armenia. Per quanto ci riguarda, costruiamo sempre le nostre relazioni su eccezionali basi spirituali e storiche. Oggi i nostri Paesi godono di solidi rapporti interstatali, con un dialogo politico ad alto livello. Negli ultimi anni tali rapporti si sono intensificati ancora di più grazie alle visite reciproche. Dal punto di vista economico, soprattutto l’ultimo periodo è stato significativo. Nonostante la pandemia e la guerra, infatti, i rapporti economici tra i nostri Paesi hanno fatto registrare un notevole incremento, l’interscambio è cresciuto del 20% nel 2022 e più del 40% nei primi sette mesi del 2023. I legami italo-armeni sono storicamente forti e profondi in numerosi settori come ad esempio la cultura, la scienza, l’istruzione e, fra l’altro, si sono anche ulteriormente rafforzati nel recente passato con la visita ufficiale del Ministro Sangiuliano in Armenia. Nelle Università italiane sono attive numerose cattedre di armenistica, volte a far conoscere e approfondire la lingua, la cultura, la storia e la letteratura del nostro Paese. Si potrebbe parlare per ore dei nostri rapporti culturali e delle decine di eventi con la partecipazione di artisti armeni e italiani organizzati ogni anno, come mostre, festival del cinema, concerti, convegni, conferenze scientifiche e moltissime altre manifestazioni. Еd è anche bello e importante rimarcare che, i nostri popoli, da sempre nutrono una speciale simpatia reciproca”.
Mentre il Governo è parso più neutrale sulla crisi, molti parlamentari italiani le hanno espresso forte vicinanza.
“Apprezziamo molto il sostegno degli italiani al popolo armeno che, fra l’altro, si è sempre manifestato nei giorni più bui e drammatici della nostra storia. Questa vicinanza è stata dimostrata in passato, e anche oggi. Dopo l’ultimo attacco da parte dell’Azerbaigian contro il Nagorno Karabakh ogni giorno riceviamo centinaia di messaggi, telefonate, lettere di sostegno da cittadini italiani. Inoltre, a mio avviso, è da sottolineare che tantissimi parlamentari italiani, perlomeno tutti quelli che hanno a cuore certi valori, hanno espresso sostegno all’Armenia e al popolo armeno, che merita sicuramente grande considerazione per quanto sta vivendo. E la cosa più interessante è che ci sono arrivati messaggi di vicinanza da tutte le forze politiche, segno evidente che, nonostante le differenze ideologiche, quando si tratta di giustizia, diritti umani e valori universali, ci si trova d’accordo”.
Papa Francesco ha chiesto di superare la tragedia umanitaria e di preservare i luoghi cristiani, facendo appello al dialogo.
“Purtroppo qui ritengo che serva un’azione più decisiva da parte di tutti. L’Azerbaigian vandalizza e si appropria indebitamente dei siti culturali e religiosi armeni nei territori passati sotto il nuovo controllo, il che costituisce una palese violazione della Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali nei conflitti armati, nonché del diritto internazionale umanitario in materia di salvaguardia dei beni culturali. Questa politica non è nuova per l’Azerbaigian. La barbara distruzione delle chiese armene e del cimitero di Old Jugha (Julfa) con oltre 5.000 khachkar (le croci di pietra cristiane medievali) nel Nakhijevan, avvenuta nel negli anni 2005-2006, è un chiaro indicatore della politica di genocidio culturale condotta da parte dell’Azerbaigian”.
Con l’acuirsi della crisi in Medio Oriente c’è a suo avviso il rischio che il Nagorno possa essere improvvisamente dimenticato dai media?
“L’escalation del conflitto in Medio Oriente è davvero drammatica, civili innocenti vengono uccisi. Ci auguriamo che la situazione si risolva pacificamente al più presto. La violenza, ovunque si verifichi, nella nostra regione, in Medio Oriente o in qualsiasi altro angolo del mondo, è sempre dolorosa e condannabile. Vorrei concludere questa intervista dicendo che sono quelli che io definisco “doppi standard” a generare ulteriori violenze. Penso che se l’aggressione su larga scala provocata dall’Azerbaigian contro l’Artsakh nel 2020 fosse stata adeguatamente condannata dalla comunità internazionale, oggi avremmo potuto avere un mondo più pacifico”.
Intervista di Marco Finelli