“Viviamo un momento storico per la regione del Caucaso Meridionale”, “ci auguriamo che l’Armenia dia una risposta adeguata ai nostri appelli”: l’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, S.E. Rashad Aslanov, sintetizza così la posizione del suo Paese, confidando che, il processo in atto, possa terminare il prima possibile con una pace giusta, che dia stabilità all’intera Regione. Sullo sfondo il Garabagh, scosso dall’operazione militare di due mesi fa. Diplomatico azerbaigiano di lungo corso, già Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario in Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay e Bolivia, Aslanov è a Roma da circa un anno.
Eccellenza, partiamo dal processo di pace tra Armenia ed Azerbaigian, quale situazione si registra oggi, a circa due mesi dall’operazione militare decisa dall’Azerbaigian? “Mi sento di dire che questo è un momento storico per la regione del Caucaso meridionale: dopo circa 30 anni in cui l’Azerbaigian ha subito l’occupazione militare del 20% del suo territorio internazionalmente riconosciuto, abbiamo restaurato la nostra integrità territoriale. Ciò rappresenta un’opportunità di pace e convivenza per tutta l’area, che potrà beneficiare di una rinnovata stabilità. Eliminato il regime illegale che si era instaurato in Garabagh, la nostra priorità ora è la normalizzazione delle relazioni con l’Armenia. Il fine è la costruzione di una nuova sicurezza regionale, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dell’integrità territoriale e della sovranità reciproche, e sulla cessazione di qualsiasi rivendicazione territoriale. La stessa Corte internazionale di giustizia il 17 novembre ha riconfermato con una sentenza la sovranità e l’integrità territoriale dell’Azerbaigian e ha respinto le richieste dell’Armenia. Oggi l’Azerbaigian è impegnato in un enorme lavoro di sminamento e di ricostruzione dei territori liberati. Ci terrei anche a chiarire i motivi che hanno portato alle misure di antiterrorismo locali di settembre, vale a dire prevenire possibili provocazioni su larga scala da parte delle forze armate armene situate nella regione economica del Garabagh e garantire l’attuazione delle disposizioni della Dichiarazione trilaterale, nonché il disarmo e il ritiro delle unità delle forze armate dell’Armenia dai territori dell’Azerbaigian, la neutralizzazione delle loro infrastrutture militari e la garanzia di sicurezza della popolazione pacifica, dei dipendenti civili e del personale militare coinvolti nei lavori di restauro e costruzione svolti nell’area e per ripristinare il sistema costituzionale della Repubblica dell’Azerbaigian”.
L’Azerbaigian ha definito l’operazione fin da subito come necessaria per finalità di antiterrorismo. Possiamo approfondire meglio questo aspetto? “Esattamente. Le misure anti-terrorismo dello scorso settembre sono state determinate dal fatto che l’Armenia, per quasi tre anni, vale a dire dopo la Guerra dei 44 giorni dell’autunno 2020, ha disatteso quanto previsto dalla Dichiarazione Trilaterale, che ha posto fine al conflitto, firmata dai Leader di Azerbaigian, Armenia e Federazione Russa, e ha continuato a mantenere le sue forze armate, più di 10.000 unità, nel territorio dell’Azerbaigian. I nostri territori hanno continuato ad essere depredati di risorse minerarie e minati con nuovi ordigni. Dopo la Guerra Patriottica, l’Azerbaigian ha contato più di 330 vittime a causa dell’esplosione di mine, inclusi civili. Le operazioni di 24 ore del 19 settembre hanno portato al ripristino definitivo della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, così come dell’ordine costituzionale”.
Cosa si sentirebbe di dire agli armeni che hanno lasciato la Regione? “Prima di tutto vorrei specificare che ha fatto un riferimento corretto, esiste infatti la regione economica del Garabagh, e gli enti internazionali si stanno già adeguando a questa nuova definizione: nei propri documenti l’ONU, l’Unione Europea e il CICR si riferiscono già alla regione come Garabagh. Nonostante l’Armenia abbia violato i diritti fondamentali di circa un milione di azerbaigiani per quasi 30 anni a causa della sua politica di pulizia etnica e abbia commesso un genocidio indiscriminato e senza precedenti e massacri contro gli azerbaigiani, compresi bambini, donne e anziani, l’Azerbaigian non ha mai costretto i residenti armeni a lasciare il Garabagh, bensì gli ha richiesto di restare, ed è stata loro la decisione di trasferirsi in Armenia e in altri paesi. I rapporti e le dichiarazioni dei rappresentanti delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite che hanno visitato due volte la regione, nonché di quelle che operano attivamente in Armenia, hanno confermato che non ci sono stati maltrattamenti o pressioni sui residenti armeni. L’Azerbaigian si impegna a sostenere i diritti umani dei residenti armeni del Garabagh sulla base dell’uguaglianza con gli altri cittadini dell’Azerbaigian, in linea con la sua Costituzione e i pertinenti obblighi internazionali. Anche le misure indicate dalla Corte internazionale di giustizia (ICJ) del 17 novembre 2023 riconoscono la politica già dichiarata del governo dell’Azerbaigian nei confronti degli armeni residenti in Garabagh. Ciò include il nostro impegno a garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti i residenti, indipendentemente dall’origine nazionale o etnica”.
È possibile, a suo avviso, un prossimo accordo di pace fra Azerbaigian e Armenia? “L’Azerbaigian ha presentato circa due mesi fa una bozza di proposta di pace all’Armenia, basata su cinque principi. L’Armenia ha impiegato quasi due mesi e mezzo per rispondere alle nostre proposte, il che ha seriamente ritardato il processo di pace. Ma l’Azerbaigian è pronto a negoziati diretti su base bilaterale per finalizzare l’accordo di pace il prima possibile, perché viviamo nella nostra regione, siamo vicini e abbiamo bisogno di pace molto più degli altri. Siamo pronti per la pace, ma per una pace giusta – basata sul riconoscimento dell’integrità territoriale e della sovranità di entrambi i paesi. Chiediamo alla parte armena, che continua con una retorica aggressiva e diffamatoria contro il nostro Paese utilizzando varie piattaforme internazionali, di cessare dichiarazioni che danneggiano le prospettive di pace e di sfruttare le opportunità storiche create per trasformare la regione del Caucaso meridionale in un luogo di pace e cooperazione. Ci auguriamo che l’Armenia dia una risposta adeguata agli appelli dell’Azerbaigian verso la normalizzazione delle relazioni tra Azerbaigian e Armenia e la firma di un trattato di pace nel prossimo futuro. Oggi abbiamo l’opportunità storica di raggiungere una pace, che porterà sicuramente benessere e prosperità al Caucaso meridionale”.
Come definirebbe oggi i rapporti fra Azerbaigian e Italia? “Come dicevo, l’Italia non è solo un partner strategico per l’Azerbaigian, ma un amico. Abbiamo un’ampia agenda condivisa, che va dalle relazioni politiche, con frequenti visite bilaterali di alto livello, a quelle economiche – con l’energia che ha un ruolo fondamentale grazie al progetto TAP, che ha reso l’Azerbaigian fornitore di gas oltre che di greggio all’Italia, a quelle nel settore dell’istruzione e della formazione. Proprio in questo ambito è stato lanciato il progetto dell’Università Italia-Azerbaigian, che vede una sinergia tra l’Ada University e cinque tra i principali atenei italiani. Inoltre, vorrei evidenziare, l’Italia è tra i paesi coinvolti nella ricostruzione dei territori liberati nel Garabagh, sinonimo di grande fiducia. Questo ci fa davvero piacere e non può che cementare i nostri rapporti e la nostra cooperazione”.
Lei come si trova a Roma? “L’Italia è un Paese molto accogliente, in questo somiglia all’Azerbaigian. La mia famiglia ed io viviamo a Roma sentendoci a casa, e siamo grati a questa città incantevole per quanto offre. Invito spesso gli italiani a visitare l’Azerbaigian, perché sono certo che a Baku possano provare le medesime sensazioni”.