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Yahya Sergio Yahe Pallavicini, Imam della Moschea Centrale di Milano: “La vera forza della diplomazia è nel dialogo tra istituzioni e società civile. Le religioni non devono essere strumentalizzate, ma servire la dignità dell’uomo”

Redazione by Redazione
3 Settembre 2025
in Interviste
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Yahya Sergio Yahe Pallavicini, Imam della Moschea Centrale di Milano: “La vera forza della diplomazia è nel dialogo tra istituzioni e società civile. Le religioni non devono essere strumentalizzate, ma servire la dignità dell’uomo”
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In un’epoca segnata da conflitti, polarizzazioni e crisi di rappresentanza, la diplomazia sembra spesso perdere terreno. Eppure, secondo l’Imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, esiste una forza che può ancora incidere: quella che nasce dal dialogo tra istituzioni, società civile e spiritualità.

Vicepresidente della COREIS (Comunità Religiosa Islamica Italiana) e Imam della Moschea Centrale al-Wahid di Milano, Pallavicini è una delle voci più autorevoli dell’Islam europeo. Presidente di EULEMA, il Consiglio Europeo dei responsabili religiosi musulmani, e membro della Global Tolerance Alliance degli Emirati Arabi Uniti, ha rappresentato l’Islam italiano in sedi internazionali come il G20 Religion Forum, il World Economic Forum, l’OSCE, le conferenze COP sul clima e il Forum Cattolico-Musulmano in Vaticano. Dal 2005 al 2018 è stato Consigliere per l’Islam del Ministro dell’Interno italiano, contribuendo alla redazione della Carta dei Valori della cittadinanza e dell’integrazione.

La sua visione della diplomazia religiosa è lucida e profonda. Tra i momenti più significativi del suo impegno, l’incontro con il Dalai Lama, le udienze papali, la partecipazione alla Dichiarazione sulla Fratellanza Umana ad Abu Dhabi e il contributo al documento storico “A Common Word” per il dialogo tra cristiani e musulmani.

Studioso e docente in numerose università italiane ed europee, autore di saggi e testi spirituali, Pallavicini incarna una prospettiva islamica ecumenica e moderata, capace di coniugare tradizione e contemporaneità.

Imam, in molti oggi si interrogano su quale sia la reale “forza” della diplomazia in un mondo sempre più vittima di conflitti e divisioni. Lei cosa ne pensa? “Penso che nel contesto di crisi attuale la vera “forza” della diplomazia in Occidente sia quella di sviluppare una sempre migliore relazione tra i professionisti della diplomazia istituzionale e la “public diplomacy”, all’interno della quale i protagonisti sono alcune persone consapevoli e responsabili di vari settori della società civile. In questa collaborazione diventa sempre più importante il coinvolgimento di referenti religiosi affidabili che sappiano fare la rappresentanza ma anche la mediazione tra cittadinanza e interpretazione contestualizzata della dottrina religiosa. Questo permette di ridurre la strumentalizzazione nazionalista o eversiva dell’identità religiosa. Le differenze di fede e cultura dovrebbero essere sostenute come valore aggiunto del pluralismo di ogni popolo e città in Oriente e in Occidente e non essere manipolate per provocare artificiose divisioni e discriminazioni di diritti e dignità. Infine, i conflitti rappresentano spesso l’incapacità dell’uomo di saper gestire con saggezza e giustizia la complessità della società, esasperando l’avidità in interessi di potere esclusivo con l’ideologia del suprematismo o inventando a turno un tribunale dell’inquisizione. L’educazione al rispetto della cooperazione internazionale non è soltanto una scienza diplomatica ma è anche uno stimolo all’apertura intellettuale verso l’universalità dell’umanità”.

Vaticano, l’Imam Yahya Pallavicini in udienza privata da Papa Francesco con il Direttore ICESCO Salim Al-Malik

Quale ruolo possono recitare, dunque, i Leader religiosi nella prevenzione dei conflitti e nella mediazione internazionale? “Il primo ruolo è quello di mantenere un’autonomia dalle forze del governo temporale e cercare di servire una funzione di richiamo etico e servizio spirituale per tutti i cittadini, ma anche per i politici. Il secondo ruolo dei leader religiosi è quello di collaborare con le Istituzioni politiche nella gestione della coesione e nella comprensione delle complessità sociali senza creare ghetti, né discriminazioni di diritti tra credenti, ma declinando e aggiornando il valore della dignità e della libertà religiosa. L’altro ruolo fondamentale è quello della rappresentanza di un’autentica prospettiva religiosa come modello valoriale e testimonianza educativa di comportamento e di orientamento alla riflessione sulla dinamica divina. Questi tre punti possono essere importanti sia in tempo di pace che in tempi di conflitto e possono essere utili anche come collegamento tra la specificità di uno sviluppo locale e un sano confronto costruttivo con altre identità regionali: collegare il molteplice all’unità”.

Sarajevo, l’Imam Yahya Pallavicini incontra il Segretario Generale della Lega Musulmana Mondiale Abd al-Karim al-Issa

Quali sono, a suo avviso, le sfide principali che la “diplomazia religiosa” affronta oggi, in un mondo polarizzato? “Il colonialismo e il missionarismo, l’umanesimo e l’illuminismo, l’orientalismo, il comunismo e il capitalismo, la secolarizzazione e la globalizzazione, il suprematismo e il terrorismo sono ondate e maschere di un male antico che ha visto la politica dell’arroganza, della conquista e della strumentalizzazione ideologica del potere imporsi o contrapporsi ad una prospettiva multilaterale e interculturale e sensibile alla sacralità di tutta la creazione. La diplomazia religiosa dovrebbe evitare che il dogmatismo o il puritanesimo possano abusare delle dottrine o delle forme religiose per snaturare il carattere e la finalità del pensiero e della vita religiosa. Parallelamente, la diplomazia religiosa dovrebbe prevenire questa artificiale polarizzazione tra bene e male, associati in modo generalizzato con una identità popolare o confessionale in contrapposizione una all’altra. Questa “cultura polarizzante” del supereroe contro il mostro è una semplificazione pericolosa a danno dell’intelligenza e della sensibilità umana. La sfida principale della diplomazia religiosa è arginare le ondate di psicosi collettiva e stimolare la valutazione, la verifica, la riflessione, l’approfondimento dei segni per un riconoscimento dell’articolazione della realtà, sia positiva che negativa. L’obiettivo è coltivare una sana facoltà di visione e di meditazione sull’immanenza e sulla trascendenza come teatro sacro, un teatro dove continuano a recitare personaggi in cerca di autore”.

Bruxelles, l’Imam Yahya Pallavicini incontra il Presidente Tajani al Parlamento Europeo

In definitiva, quali sono stati i momenti più significativi della sua partecipazione al dialogo interreligioso in Europa e nel mondo? “L’incontro nel 2005 a Bruxelles tra imam e rabbini sotto il Patrocinio del re del Marocco e con la partecipazione dei rabbini d’Israele e alcuni imam d’Europa, le due tappe in Vaticano del Forum Cattolico-Musulmano con le udienze con Papa Benedetto XVI nel 2008 e con Papa Francesco nel 2014, aver accompagnato mio padre shaykh Abd al-Wahid a Gerusalemme ad un incontro con il Patriarca Bartolomeo e con il premio Nobel per la pace presidente Shimon Peres in occasione della visita di Papa Francesco, nel 2017 il saluto al Dalai Lama in Italia, 30 anni dopo lo storico incontro di preghiera per la Pace promosso ad Assisi da Papa Giovanni Paolo II.

Varsavia, l’Imam Yahya Pallavicini al convegno OSCE con il rabbino Schudrich

Sul fronte della diplomazia interreligiosa e internazionale ricordo le conferenze delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (COP 28 e 29) e per l’Alleanza tra le Civiltà, i seminari OSCE a Vienna e a Varsavia sui diritti umani, i Forum al G20 nel Regno dell’Arabia Saudita e in Indonesia, molte sessioni del High-Level Meeting with Religious Leaders con i presidenti della Commissione e del Parlamento Europeo a Bruxelles, la partecipazione nei comitati del WEF World Economic Forum a Davos, in Egitto e negli UAE e nelle conferenze tematiche sul dialogo dell’IPU, Unione Inter-Parlamentare in Marocco e a Roma”.

Indonesia G20, l’Imam Yahya Pallavicini con il Presidente Yahya Cholil Staquf

In che modo la COREIS contribuisce alla diplomazia culturale tra Italia e Paesi islamici? “La COREIS in oltre 30 anni di storia ha consolidato e sviluppato una identità italiana ed europea della rappresentanza musulmana e, sviluppato relazioni intra-religiose con organizzazioni internazionali come ICESCO e KAICIID, e con istituzioni nazionali del Regno dell’Arabia Saudita, della Giordania e del Marocco, gli Emirati Arabi Uniti, la Repubblica Araba d’Egitto, la Turchia e alcuni Stati dell’Asia Centrale come Azerbaijan, Kazakhstan, Uzbekistan fino ad arrivare in Pakistan, Malesia e Indonesia. Questi scambi bilaterali hanno prodotto una consapevolezza della differenza di contesto tra Oriente e Occidente nella gestione della religione e del suo pluralismo in dialogo e come antidoto al fanatismo estremista. Ma oltre al coordinamento sulla sicurezza la collaborazione è molto interessante sull’aggiornamento delle interpretazioni del pensiero e della pratica religiosa nella vita sociale e nelle responsabilità educative e civili. Infine, ci sono occasioni di confronto spirituale e di approfondimento culturale sulla saggezza del patrimonio scientifico e artistico islamico che accompagnano anche lo sviluppo commerciale e la politica degli investimenti. Abbiamo notato che alcuni europei si sorprendono di scoprire l’ampiezza della civiltà islamica non araba e che molti musulmani in Africa e in Asia scoprono nella COREIS una declinazione interessante dell’Islam religioso ed ecumenico riattualizzato nel contesto dell’Europa contemporanea”.

Abu Dhabi, COP28 con il Patriarca Bartolomeo

C’è un aneddoto che la lega in qualche modo alla diplomazia che vuole raccontarmi? “Da giovane ho avuto l’onore di essere invitato per le cerimonie del mese di Ramadan dal Re Hassan II nel suo palazzo di Rabat, sono rimasto affascinato dalla sua sensibilità e autorevolezza di pensiero sul simbolo universale della città santa di Gerusalemme e dal suo gusto per l’architettura tradizionale.

Dal 2004 il principe Hashemita di Giordania Ghazi bin Talal ha saputo mediare nella selezione di una rappresentanza internazionale di sapienti e maestri spirituali musulmani nella realizzazione di un documento storico (the Amman Message) di unità e rispetto delle differenze autentiche delle scuole religiose islamiche che prendesse le distanze dall’ideologia jihadista e poi valorizzare un coordinamento di rappresentanti religiosi musulmani occidentali nel confronto con il Cristianesimo sul tema dell’amore per Dio e per il prossimo. Sono stato onorato di questa attiva partecipazione.

Nel 2007 il Ministro Giuliano Amato ha saputo ispirare e coordinare la redazione di un importante documento: la Carta dei Valori della cittadinanza e dell’integrazione. Come consigliere per l’Islam del Ministro dell’Interno dal 2005 al 2018 penso sia stato un ottimo segnale di maturazione interistituzionale sulla laicità e il rapporto con il pluralismo religioso.

Ministero dell’Interno, l’Imam Yahya Pallavicini incontra il Sottosegretario Wanda Ferro e il Segretario Generale del Consiglio per la Fratellanza Umana, giudice Abdelsalam, delegato del grande Imam al-Azhar

Dopo il 2008 il Ministro Franco Frattini ci aveva accompagnato in percorsi di prevenzione contro il radicalismo e, parallelamente, nello sviluppo del commercio estero con l’internazionalizzazione di prodotti di eccellenza italiana verso i Paesi del mondo musulmano. L’ambasciatore Roberto Toscano mi ha insegnato come cercare di affrontare e superare l’ossessione di alcuni politici nell’inventarsi un nemico che non esiste e che comunque non è mai come si era immaginato”.

Prevede di organizzare nel prossimo futuro iniziative culturali legate in qualche modo alla diplomazia? “Pensiamoci insieme, religioni e diplomazia per la Pace!”.

Chiuderei questa intervista chiedendole un consiglio su un buon libro da leggere. “Fascinazione criminale. Autoetnografia di un ex camorrista (Rubbettino, 2025) di Catello Romano. “Una scrittura frutto di una palingenesi solitaria, generata da un uomo che, dal silenzio della reclusione, invoca un riscatto culturale, morale, spirituale.” Una storia vera scritta da un giovane detenuto che descrive ed esorcizza il male della criminalità organizzata ma testimonia anche la certezza di una conversione e la speranza nel bene”.

Intervista di Marco Finelli

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