Come la calunnia, la guerra è un venticello, “un’auretta assai gentile che insensibile, sottile, leggermente, dolcemente incomincia a sussurar”. Perfettamente calzante ci sembra la similitudine descritta con indubbia maestria artistica nell’opera lirica di Gioachino Rossini, Il Barbiere di Siviglia. In effetti, molti i profili che accomunano le due esperienze. Anche la guerra, infatti, al pari della calunnia, inizia con parole appena sussurrate, riferimenti sottili a delle provocazioni che man mano, “scorrendo e ronzando”, si alimentano sempre più fino a diventare quella tempesta che tutto sovrasta e sconsideratamente devasta.
Ebbene, oggi in Europa ci troviamo proprio nel mezzo di una corrente d’aria calunniosa e menzognera che, spirando d’oltre oceano, giunge ai nostri lidi europei, già peraltro duramente provati da due sanguinose guerre mondiali, come tempesta, pronta a propagarsi fino a produrre “un’esplosione come un colpo di cannone”. Basta sfogliare un quotidiano anglosassone come The Telegraph, per esempio, o seguire i proclami di Biden o di Macron per rendersene conto. Questi esegeti della belligeranza ad oltranza non temono di essere smentiti. Tutti allineati sulla stessa lunghezza d’onda di un pensiero univoco teso ad ingannare le loro stesse popolazioni, già predispongono unità militari da inviare in Ucraina o, preventivamente, da sguinzagliare lungo precisi e predeterminati itinerari strategici europei.
La ragione di questa mobilitazione? La paranoica ossessione di una aggressione da parte della Russia. Un sospetto? Un’eventualità? No. Una certezza. Una certezza che li induce a vedere negli uomini del Cremlino altrettanti despoti pronti ad invadere l’Europa al segno di una volontà egemonica che invece – guarda caso – sono proprio gli Stati Uniti a incarnare nella primazia di una leadership globale alla quale non intendono assolutamente rinunciare.
L’Ucraina non basterà più a Putin per soddisfare la sua sete di dominio, si argomenta con insistenza qui da noi. E si addita l’uomo come fautore del male con una inaudita diabolica pertinacia. Sappiamo bene, invece, ad un esame più accorto dei fatti storici, quanto sia falsa e fallace questa tesi. Alla Casa Bianca si è ben abili nel manipolare le verità per ribaltarle con altrettante calunniose menzogne. La vecchia promessa fatta da parte americana ai russi al Vertice di Malta del 1989, secondo la quale “la NATO non sarebbe avanzata di un pollice oltre il fiume Oder”, non è stata più onorata negli anni a seguire.
Washington, infatti, avvertendo il pericolo di una più stretta relazione tra la nuova Russia post-sovietica e l’Europa – e da citare al riguardo sarebbe proprio l’Accordo di Cooperazione firmato nel 1997 – ha tentato in tutti i modi di invertire il corso degli eventi singolarizzando la Russia per presentarla come il nemico di sempre. C’è in questo atteggiamento dell’Occidente, divenuto nelle sue più accese espressioni addirittura russo-fobico, l’intenzione di emarginare dalla scena mondiale proprio il Paese che rappresenterebbe oggi il maggior concorrente – congiuntamente alla Cina ma per motivazioni alquanto differenziate – in grado di mettere in discussione il primato del ruolo americano sul Pianeta.
Ad un’analisi più approfondita, infatti, non sembrerebbero esserci per Mosca altre ragioni per mobilitarsi sul piano militare se non quelle di una irrinunciabile propria sopravvivenza a fronte di una situazione strategica volutamente creata dagli Stati Uniti e tesa ad un progressivo, quanto inarrestabile accerchiamento della Federazione Russa. Ne è prova l’allargamento operato verso Est dalla NATO in sette successive tappe a partire del 1999, fino ad inglobare nel suo progetto di deterrenza tutti quei Paesi che si distribuiscono lungo l’intero arco dei suoi confini dal Baltico al Caucaso.
L’Ucraina è stato l’ultimo tassello di questa ignobile strategia, risultando la sua “occidentalizzazione” la provocazione finale di un esercizio di sfida concepito ed attuato dall’America e che Mosca non avrebbe mancato di ritenere una minaccia dell’Occidente diretta a minare la sua propria sicurezza ed integrità territoriale alla porte di casa.
Se, dunque, per gli Stati Uniti una guerra combattuta in Europa altro senso non avrebbe se non quello di evitare l’indebolimento della propria leadership in una prospettiva di egemonia universale riconducibile a quella idea provvidenzialistica di una missione americana di “civilizzazione” del mondo (peraltro assunta a vero dogma dal Manifest Destiny fin dall’800), per Mosca, al contrario, non si tratterebbe di un capriccio imperialista, bensì di una necessità storicamente percepita dalla Nazione russa intesa a salvaguardare la propria difesa e sopravvivenza.
Inquietanti, dunque, questi venti di guerra che vengono oggi agitati in Europa e che nessuno avrebbe mai immaginato potessero soffiare ancora una volta sulle nostre teste. “Siamo nell’era del riarmo – dichiara con toni da narrazione epica Ursula von der Leyen – e l’Europa non può rimanere indietro!”. Vogliono veramente andare alla guerra questi interpreti del male? La pietà per i popoli, uniche vere vittime inconsapevoli di un conflitto, viene calpestata dalle suole di chi persegue nella guerra i propri interessi e non vede in essa invece la negazione della solidarietà umana. Opponiamoci, dunque, a questa visione nichilistica della società; evitiamo di soffocare le urla di dolore con il rumore dei cingolati e delle bombe, fermiamo il delirio di chi vuole la vittoria a tutti i costi e dimentica che la guerra è già di per sé una sconfitta. L’occasione ora ce l’abbiamo. Non rimane che sperare in un segnale confortante che scaturisca da queste elezioni europee!