di Bruno Scapini, già Ambasciatore d’Italia, Presidente Onorario e Consulente Generale Ass. Italo-armena per il Commercio e l’Industria
Che esista una geopolitica della “giustizia” è fuori di dubbio. Lo dimostrerebbe il comportamento tenuto dal Procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, nel richiedere, in esito alla sua attività istruttoria, l’emissione di mandati di arresto nei confronti di quei leader politici macchiatisi più recentemente di presunti crimini di guerra o contro l’Umanità: è il caso questa volta del Premier israeliano Benjamin Netanyahu e del capo di Hamas Yahya Sinwar.
A ben guardare, e senza rischi di venire smentiti, la richiesta avanzata dal Procuratore risulterebbe perfettamente bilanciata, ovvero in un equilibrio di economia giuridica in cui colpe e responsabilità verrebbero equamente ripartite tra le parti in causa. E ciò varrebbe non solo per i profili soggettivi degli accusati, ma anche, e soprattutto, per gli esiti politici della stessa iniziativa giudiziaria. Circostanza, quest’ultima, non di certo ininfluente sulla capacità dell’azione di conseguire una riconosciuta giustizia anche se zoppa nella sua effettività.
La Corte, infatti, nonostante la autorevolezza del suo ruolo derivante dal riconoscimento di giurisdizione ottenuto da parte di un rilevante numero di Stati, stenterebbe ad affermarsi come foro giurisdizionale universalmente riconosciuto, e si affatica e affanna purtroppo nel raggiungere quei fondamentali obiettivi che, previsti dal suo Statuto, vorrebbero, almeno nel pensiero dei suoi ideatori, riflettere la pura coscienza etica e morale dell’Umanità.
È il senso di una sostanziale giustizia che si vorrebbe esprimere attraverso la Corte dell’Aja; una giustizia di respiro totalizzante, ma che, non risultando esente dalla inevitabile relatività della politica, resterebbe, tuttavia, condizionata al punto da esautorare se stessa squilibrandosi in favore di valutazioni critiche da parte di talune eminenti figure istituzionali fino ai limiti del vilipendio!
Notevoli i fattori che restringono l’efficacia di ruolo della Corte. Innanzitutto è l’ambito della sua attività a soffrirne per i limiti territoriali imposti alla sua competenza. La Corte, infatti, non ha giurisdizione al di fuori degli Stati che vi hanno espressamente aderito sottoscrivendone lo Statuto. Una condizione, questa, accettabile in fondo, se consideriamo l’ampiezza della Comunità internazionale. Ma, guarda caso, a mancare all’appello degli Stati firmatari risultano proprio quelli che, in virtù del loro ruolo di grande-media potenza, avrebbero preferito defilarsi da regimi giuridici vincolistici suscettibili di precettarne le condotte al di là di una superiore, quanto irrinunciabile, libertà d’azione sul piano internazionale.
Ma esistono ancora due altri limiti al ruolo della Corte, e li ravvisiamo nella esecutività del mandato di arresto e addirittura nella stessa azione processuale della Corte. Circa il mandato di arresto, è da osservare, infatti, che, nonostante l’obbligo per i firmatari di procedervi, il provvedimento viene di fatto rimesso alle sottili argomentazioni della cooperazione internazionale, con la conseguenza che la sua esecutorietà potrà dipendere dalle valutazioni politiche operate dagli Stati via via interessati, in funzione di un loro interesse alla sua eseguibilità (vedasi il caso del Sudafrica nei confronti di Putin costretto a partecipare in video-conferenza al vertice dei BRICS del 2023).
Ma il limite forse più rilevante, e che più di altri rivestirebbe un indubbio portato politico è, a nostro avviso, quello derivante dalla contumacia del ricercato.
La Corte non potrebbe in ogni caso esercitare la propria giurisdizione in contumacia del soggetto interessato. Una condizione destinata a minare l’effettività della sua funzione esaltandone per contro i prevalenti profili geopolitici. Una conseguenza che ci è dato rilevare proprio nella varietà delle posizioni che i diversi Governi vengono ad esprimere a seconda del prospettivismo politico in cui si pongono. Lo abbiamo visto chiaramente nel caso del mandato di arresto per Vladimir Putin nel 2023, giudicato fondato dal Cancelliere tedesco Scholz, ma negato nella sua fondatezza dal Premier ungherese Orban. E ancora oggi lo vediamo nel caso di Netanyahu e dei capi di Hamas. Il mandato, infatti, chiesto nei loro confronti dal Procuratore Khan, viene da Israele stigmatizzato come una forma di nuovo antisemitismo, mentre “oltraggioso” viene definito da Joe Biden per assenza di una “equivalenza” tra il Premier israeliano e i terroristi di Hamas. Per contro, Mosca taccia Washington di ipocrisia per la sua posizione sulla Corte, mentre Pechino, più prudentemente, richiama quest’ultima ad una non meglio precisata “imparzialità”.
Orbene, questa variopinta eterogeneità delle critiche e dei giudizi rilevati a riguardo della Corte dell’Aja vengono a riflettere certamente una sua fragilità costitutiva, per lo meno quale organo giurisdizionale. Per contro, la veemenza con cui certi Governi tendono ad esprimersi, scagliandosi contro il suo operato, a ben guardare, sembrerebbe condurre ad un risultato inevitabile, ma comunque bene accetto: il tentativo di screditare il ruolo e la funzione del Tribunale diventa giusta pretesa per portare i casi giudiziari davanti non ad un magistrato togato, bensì di fronte a un’opinione pubblica internazionale (giudice ben più informato al rispetto dei diritti umani e delle pertinenti sensibilità che certi Governi), col risultato – e questo rileverebbe al di sopra di qualunque formalismo giuridico – che si trasferirebbe ad essa in fondo il potere di emettere una sentenza, certamente priva di esecutorietà, ma capace di esercitare molto più peso in quanto espressione di una coscienza universalmente condivisa dai popoli e non da singoli gruppi selettivi di potere.
Finché esisteranno i prepotenti e i non prepotenti non verranno difesi e aiutati nella loro difesa, non ci potrà essere giustizia. E finché non ci sarà memoria storica per n motivo di opportunità o l’altro, nulla di buono potrà inserirsi nella cosiddetta civiltà umana. Detto in breve ovviamente.