di Paolo Giordani
Non so quali risultati avrà il faccia a faccia tra Donald Trump e Vladimir Putin in Alaska, ma una cosa è certa: per le caratteristiche dei protagonisti, il luogo dove si svolgerà, i temi che saranno trattati (Ucraina e Medio Oriente sono solo punti di un’agenda ben più vasta), il summit avrà un posto nella Storia come simbolica conclusione del lungo processo di marginalizzazione dell’Europa nella guida del pianeta.
Due devastanti guerre mondiali, originate nel nostro continente, non ci hanno insegnato ad essere uniti. Né abbiamo tratto le conseguenze dalla dissoluzione della “cortina di ferro” che chiaramente annunciava un nuovo assetto geopolitico globale. Al contrario, la lunga “pax americana” dopo il 1945 e la diffusa convinzione che – con la repentina fine dell’URSS, l'”Impero del Male” di reaganiana memoria – non una fase storica, ma la Storia stessa avesse raggiunto il capolinea, ha obliterato dalle menti dei leader europei la lezione dei fondatori del pensiero politico moderno.
“Concludo adunque – ammonisce Niccolò Machiavelli – che, senza avere arme proprie, nessuno principato è securo, anzi è tutto obligato alla fortuna, non avendo virtù che nelle avversità con fede lo difenda”. La condizione naturale, aggiunge Thomas Hobbes, è quella del “bellum omnium contra omnes”, “guerra di tutti contro tutti”, e di per sé l’uomo è sempre “homini lupus”, “lupo per l’altro uomo”.
Gli europei hanno preferito cullarsi nell’illusione dello sviluppo economico “senza limiti”, nella folle idea che il sistema occidentale (democrazia + consumismo) fosse esportabile dovunque e tra gli eccessi del “politically correct” e della cultura “woke”. Intorpiditi, e allo stesso tempo incapaci di superare vecchie rivalità e di formulare politiche fondate sui propri interessi reali (per esempio non “perdere contatto” con la Russia e le sue immense risorse naturali), hanno vissuto anche gli ultimi decenni da spettatori inerti o, peggio, da attori velleitari. Ecco, sulla scena del mondo, l’inarrestabile ascesa della Cina, il prevedibile revanscismo russo, l'”America first” di Trump (che non è il capriccio di un mattoide ma espressione di un’antica e profonda tendenza di quell’immenso Paese), il profilarsi all’orizzonte di nuovi giganti, come l’India. Ora, all’improvviso solo per chi non ha mai voluto vedere, l’Europa si scopre irrilevante, degna tutt’al più di una videoconferenza. E – letteralmente – paga dazio.
Rimediare non è impossibile, ma non sarà facile. Non basterebbe una generazione, anche se fossimo tutti d’accordo ( e non lo siamo) e avessimo a disposizione politici lungimiranti (e non li abbiamo).
Paolo Giordani
Presidente Istituto Diplomatico Internazionale