Girano il mondo in lungo e largo, da anni, a bordo della loro Totò, non solo per appagare un inguaribile desiderio di visitare nuovi posti, ma anche per lanciare, attraverso i propri canali social, chiari messaggi che suonano come un grido: l’ambiente va rispettato. “Vera aveva un sogno nel cassetto”, ama dire Aldo, “e io l’ho realizzato”. Da una rendita creata negli anni con degli immobili e un fast food in Inghilterra i soldi per portare avanti il progetto. Ottomila gli alberi piantati, 360mila i chilometri percorsi, sei i continenti visitati. E’ un vero piacere conoscere due ragazzi che hanno saputo fare delle loro passioni una ragione di vita. L’ultima esperienza, però, è purtroppo triste.
Partiamo dalla storia recente, vostro malgrado nei giorni scorsi vi siete trovati a essere testimoni diretti di quanto sta accadendo in Sudan. Come state? Quale situazione avete trovato?
“Fortunatamente adesso stiamo bene, ma abbiamo trascorso settimane davvero difficili. Fin dal primo momento in cui abbiamo messo piede in Sudan, abbiamo infatti capito di trovarci in un Paese con un Governo militare corrotto, nel quale il distacco tra politica e cittadini è abissale. L’arrivo a inizio aprile era stato molto problematico, basti pensare che ci sono serviti ben tre giorni al confine con l’Egitto solo per sbrigare le pratiche di visti e permessi alla frontiera, e pagare oneri spropositati (700euro) per due persone e un veicolo. Abbiamo viaggiato per circa dieci giorni nel nord del Sudan, durante il periodo del Ramadan, passando numerosi posti di blocco militari tra le varie cittadine. Le persone che abbiamo incontrato lungo la strada sono state gentilissime e amichevoli, abbiamo subito notato molta povertà, ma allo stesso tempo non ci sentivamo in pericolo. Abbiamo sostato nel Sahara, lungo il Nilo, di fronte alle piramidi Nubiane e persino in una foresta pietrificata. Tutto è filato liscio fino al 6 aprile, quando poco dopo essere entrati in Khartoum, la Capitale, siamo finiti nel bel mezzo di una protesta durante la quale le forze dell’ordine lanciavano lacrimogeni ai manifestanti armati di bastoni e pietre. Inizialmente avevamo pensato che fosse una cosa normale, perché sapevamo che il Sudan soffriva di questi alti e bassi, ma non immaginavamo che quella sarebbe stata la scintilla in grado di accendere una guerra civile, con annesso tentativo di colpo di stato. Dovevamo sbrigare alcune faccende burocratiche nella Capitale, ma fortunatamente abbiamo deciso di andar via per festeggiare la Pasqua in tranquillità, a circa 50km a nord da Khartoum. Qui siamo stati raggiunti da un amico Italiano, R. Maschietto, anche lui viaggiatore overland a lungo termine. Con lui avevamo pianificato di attraversare assieme l’Etiopia, Paese che ha imposto delle regole molto severe per entrare con un veicolo straniero. Avremmo quindi diviso i costi necessari per pagare un’agenzia turistica. L’ 11 aprile abbiamo fatto ritorno nella Capitale per sbrigare le faccende in sospeso, notando tuttavia nell’aria un’atmosfera strana, in virtù della quale abbiamo fatto il possibile per andar via prima del tramonto. Assieme al nostro amico abbiamo così deciso di dirigerci velocemente verso il confine con l’Etiopia e, dopo tre giorni, siamo arrivati nel paesino di Al Gallabat, confinante con Metema. Nell’attesa di ultimare i documenti, lì ci giungeva notizia del tentativo di colpo di Stato, purtroppo però, nel weekend gli uffici erano chiusi, quindi non potevamo ancora lasciare il Sudan. Quelle giornate in particolare sono state molto lunghe, in quel paesino infatti non ci sono alberghi, l’acqua è scarsa e anche il cibo è poco, per noi diventava difficile anche fare una doccia. Al confine nel frattempo avevamo appreso che le proteste e gli scontri armati erano ormai arrivati alla città più vicina, Alqadarif e che, oltretutto, c’erano sparatorie e proteste anche nel nord dell’Etiopia. Anche a causa di tutto questo, la dogana etiope richiedeva una lettera di supporto rilasciata da un’Ambasciata, nel nostro caso a Khartoum, ma di ritornare nella Capitale, con quello che stava succedendo non se ne parlava proprio. Col timore di rimanere bloccati in Sudan per chiusura di frontiere o documenti invalidati da un governo sull’orlo di un collasso, alla fine abbiamo deciso di uscire dal Sudan, fermandoci nella terra di nessuno, ovvero in un “fazzoletto” tra due Stati dove non c’è giurisdizione, con la speranza di ricevere al più presto il lasciapassare dal nostro agente etiope”.
La Diplomazia italiana si è prodigata per mettere subito in sicurezza gli italiani sul posto. Voi avete avuto contatti ufficiali? “Il 17 aprile, mentre eravamo bloccati al confine etiope, quando purtroppo l’agenzia a cui ci eravamo affidati ci aveva confermato che senza una lettera di supporto da parte di un’Ambasciata etiope non ci avrebbero fatto entrare, il nostro amico, R. Maschietto, ha contattato un conoscente in Italia che era riuscito a metterci in contatto con l’Ambasciata Italiana in Addis Abeba, alla quale abbiamo chiesto subito supporto e assistenza. Al confine abbiamo incontrato anche dei ragazzi russi, che erano bloccati lì da quasi due settimane e con i quali avevamo comunicato attraverso i nostri canali social. Avevamo istruito il nostro agente al fine di formare un gruppo di tre veicoli per ottenere i permessi di entrata in Etiopia; anche i ragazzi russi erano in contatto con la loro Ambasciata in Etiopia che fino a quel momento non era riuscita ad aiutarli. Mentre la situazione cominciava ad aggravarsi, e al confine sentivamo anche degli spari, cercavamo di mantenere la calma e restare ottimisti. Dopo un giorno, la Console Arianna Catalano della nostra Ambasciata si è mobilitata in maniera impeccabile, senza perdite di tempo, mettendosi in contatto con il Ministero dei Trasporti etiope, chiedendo la lista di tutti i nostri documenti, e aprendo l’eventualità di un possibile corridoio umanitario per farci passare. Eravamo increduli, specialmente dopo i tentativi andati a vuoto dell’Ambasciata russa per far entrare i loro connazionali. Dal canto nostro ci preparavamo ormai a sostare a lungo termine, pronti al peggio, avevamo trovato un angoletto dove parcheggiare e poter aprire i nostri pannelli solari per avere energia per caricare la batterie, e cambiato degli Euro in valuta etiope per poter comprare del cibo. Infine avevamo provveduto a rifornirci di acqua potabile (per modo di dire) venduta per un centesimo al litro e portata da un pozzo lì vicino con dei carretti tirati da asinelli. Ad ogni modo, nel tardo pomeriggio, la Console Catalano ci inviava una lettera scritta dal Ministro dei Trasporti che autorizzava l’entrata dei nostri due veicoli. Tuttavia, nonostante fosse stato specificato nella lettera che ci trovavamo in una situazione di assoluta emergenza dovuta al colpo di stato in Sudan, la dogana ci ha creato ulteriori problemi, fortunatamente risolti a breve grazie ancora all’intervento della nostra Console che ha contattato direttamente il Capo della Dogana etiope al quartier generale di Addis Abeba. Quella notte, finalmente, venivamo messi in stato di massima sicurezza, riuscendo a parcheggiare all’interno del complesso della Polizia d’Immigrazione sotto la sorveglianza dei militari. Arrivato l’ordine di farci passare, una scorta armata ci ha guidato fino alla cittadina di Gondor, fra le proteste e gli scontri del nord Etiopia, accompagnati da un ufficiale di dogana. Impiegheremo ben due giorni e mezzo di viaggio per raggiungere la Capitale. Anche l’Ambasciata Russa, nel frattempo, continuando a fare pressioni, era riuscita a fornire ai loro connazionali il lasciapassare per unirsi al nostro convoglio. Una volta raggiunta la Capitale abbiamo incontrato di persona la Console Arianna Catalano, così come l’Ambasciatore Agostino Palese, per ringraziarli calorosamente per quanto fatto per noi. Durante tutta la nostra permanenza in Etiopia siamo stati in stretto contatto con loro, condividendo la nostra posizione in tempo reale”.
Viaggiando così tanto nel mondo, in generale, che idea vi siete fatti in merito al supporto e all’assistenza offerta ai connazionali dalle Autorità italiane? “Premesso che, in linea generale, ci informiamo sempre sulle regole di entrata in un Paese straniero per rispettare tutte le leggi in vigore, devo dire che in due occasioni, purtroppo, ci siamo trovati in difficoltà e ci siamo rivolti ad Ambasciate Italiane che, ahimè, come ci aspettavamo non sono riuscite a far nulla e ce la siamo dovuta cavare con le nostre forze. La prima volta fu in Thailandia nel 2017 e la seconda volta nel 2020, durante il Covid. Dobbiamo ammettere che dopo questa esperienza in Sudan ed Etiopia, apprezzando particolarmente il lavoro svolto dall’Ambasciatore Palese e dalla Console Catalano, abbiamo riacquistato fiducia nel Governo Italiano, rivedendo il nostro giudizio sull’assistenza dei connazionali all’estero. Speriamo comunque che per il futuro non avremo più bisogno di chiedere aiuto alle Ambasciate di competenza”.
Parliamo del Vostro progetto, com’è nata l’idea di girare il mondo in lungo e in largo? “L’idea è stata di Vera, che aveva questo sogno nel cassetto e io, Aldo, sono riuscito a renderlo realtà. Entrambi amiamo viaggiare e, un primo tour inizialmente pensato per sei mesi con lo zainetto in spalla, è poi diventato quello che è adesso: da sette anni andiamo in giro per il mondo con un’auto modificata in un piccolo camper, con la ALVETO Expedition. ALVETO non è nient’altro che l’acronimo dei nostri nomi Aldo, Vera, che si sommano a quello di Totò, nome che abbiamo dato alla nostra Toyota Landcruiser camperizzata, una vera e propria casetta su ruote. Inoltre quello che inizialmente era nato come un viaggio di piacere, è adesso una missione mirata alla salvaguardia della nostra vera casa, il Pianeta Terra. Attraverso i nostri canali Social “Alveto Expedition” su Instagram, Facebook e Youtube diffondiamo infatti messaggi di sostenibilità e rispetto per l’ambiente, parliamo di tematiche relative all’inquinamento e soprattutto mostriamo anche l’altra faccia della medaglia del viaggiare, non solo il bello che oggigiorno viene filtrato nascondendo quelli che sono i problemi reali. Inoltre, nel 2020, abbiamo aperto una vera e propria Onlus che si chiama Trytogiveback.org, e utilizziamo i ricavati del nostro canale Youtube Alveto Expedition per raccogliere fondi da devolvere a scopo umanitario. Ad oggi abbiamo piantato più di 8000 alberi e aiutato diverse cause attorno al mondo, piccole realtà che abbiamo incontrato personalmente portando aiuti come cibo o materiali di prima necessità”.
Come riuscite a sostenere i costi di una sfida così avvincente? “Abbiamo seminato bene. Sia io che mia moglie abbiamo lavorato duro per molti anni, prima di partire la prima volta avevamo messo un po’ di risparmi da parte e oggi abbiamo una piccola rendita ricavata da appartamenti in affitto e dalla gestione di una mia attività di fast food in Inghilterra. Comunque parliamo di piccole cifre, il nostro budget è di circa 10 euro al giorno per persona, a volte anche meno. Ci accontentiamo di una vita molto semplice , senza le comodità a cui tutti siamo abituati, una vita minimalista ma piena di avventure e questo ci rende felici. Non ci manca niente. Abbiamo tagliato i tre costi principali di quando si viaggia: trasporto, albergo e ristorante, per questo possiamo viaggiare così a lungo, non siamo turisti, ma viaggiatori… e poi se proprio ci manca un po’ di comfort, di tanto in tanto ci concediamo una o due notti in albergo e proviamo le specialità di un Paese nuovo andando al ristorante. Vera dice sempre: i soldi, quelli si possono sempre fare… ma il tempo, quello no, non torna indietro”.
Ricordo più bello? “Ce ne sono tanti, non basterebbe un libro. I primi che mi vengono in mente sono relativi alla prima volta che vedemmo l’aurora boreale in Alaska, campeggiando vicino a un lago col fuoco acceso, da soli nel nulla. Poi quando abbiamo nuotato fianco a fianco con diversi squali balena in Messico. Uno più che risale a qualche mese fa, all’ingresso nel continente africano, in Egitto, quando finalmente ufficialmente avevamo messo piede su tutti e sei i Continenti percorribili”.
E quello più brutto? “Fortunatamente ce ne sono pochi, ovviamente l’ultima esperienza In Sudan, ma abbiamo imparato che tutto succede per un motivo, quindi, anche se all’inizio qualcosa va storto, già sappiamo che lungo la strada qualcosa succederà per cui c’era un motivo a monte; così ad esempio è stato durante la pandemia nel 2020, all’epoca eravamo a Miami pronti per spedire il nostro Totò in Sudafrica e completare il viaggio. Con i visti in scadenza, senza strutture pubbliche a cui appoggiarsi, le prime due settimane furono dure, sembrava ci stesse cascando il mondo addosso, ma poi pian piano siamo riusciti a venirne fuori a abbiamo stretto tantissime amicizie che portiamo ancora oggi nel cuore”.
Prossime tappe in programma?
“Al momento ci troviamo nel Corno d’Africa e vogliamo arrivare a Città del Capo passando lungo il lato est africano, una volta raggiunta la fine della strada in Sudafrica risaliremo il continente africano lungo la costa Ovest, rientrando in Europa dal Marocco col traghetto che va in Spagna. Abbiamo lasciato in sospeso tutta l’Europa dell’Ovest e poi, se riusciremo a far quadrare i conti, ci piacerebbe arrivare in Islanda, un Paese che per noi rappresenta un posto molto speciale. Insomma diciamo che ne abbiamo ancora per un paio d’anni, poi forse, ci prenderemo una piccola pausa… prima di ripartire per la prossima avventura”.
Biografie
Aldo Giaquinto
Viaggiatore Overland , Pilota e Fondatore della Alveto Expedition, 41 anni, napoletano, prima di diventare un vagamondo a tempo pieno aveva una piccola attività ristorativa. Amante dell’avventura, appassionato di foto, video editing e meccanica.
Vera Kozlovskaia
Viaggiatrice Overland, Navigatore e Fondatrice della Alveto Expedition, 38 anni, Chisinau, Moldavia. Prima di lasciare tutto alle spalle e inseguire il suo sogno, lavorava in una compagnia di IT, amante della natura e degli animali, appassionata di lingue straniere, culture diverse e cucina.
Toto’
Veicolo Overland Camperizzato, Toyota Landcruiser, 19 anni, 360mila Km, Inghilterra, blue con tante bandierine adesive da tutto il mondo, 2 posti letto, cucina con forno e doccia con acqua calda.
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