Diplomatico, giornalista, manager: Giuseppe Scognamiglio, Presidente del Circolo degli Affari Esteri, è divenuto negli anni una figura di riferimento per la diplomazia italiana. Già membro del Management Board di UniCredit e Presidente della società editoriale Europeye, editrice della rivista di politica ed economia internazionale “Eastwest”, come diplomatico si è occupato di Nazioni Unite, per poi rappresentare l’Italia in diversi Paesi del mondo. È attualmente Direttore Generale del Comitato Promotore Roma Expo2030 e Professore in “Geopolitical Scenarios and Political Risk” alla Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli. Affabile e gentile, con idee sempre originali, di lui colpiscono la grande capacità di ascolto, dialogo e mediazione.
Da circa un anno Presidente del Circolo degli Affari esteri, carica senz’altro di grande prestigio. A lei il merito di aver arricchito l’elenco delle attività riservate ai soci con un programma di eventi culturali molto ricco.
“L’obiettivo strategico dei miei tre anni da Presidente del Circolo degli Esteri è quello di migliorare sempre più la sua centralità rispetto alla comunità internazionale di residenti a Roma, una rete importante forte di 18.000 professionisti, diplomatici e manager. Per ottenere questo risultato la volontà del Circolo è quella di aprirsi maggiormente alla società civile, in modo che il dibattito sulla politica internazionale non sia gestito solo da diplomatici italiani, ma anche dai colleghi stranieri e che coinvolga giornalisti, imprenditori e opinion maker. Non secondario poi, è l’obiettivo di attrarre i giovani, per dare una prospettiva nuova a un luogo il cui concetto ha origine nell’ottocento e che è probabilmente oggi affaticato da certe caratteristiche tipiche di una socialità antica. Abbiamo infatti promosso iniziative di richiamo per gli under 40, introducendo nuove strutture sportive più attuali e di grande appeal come il padel e allestito aree business dotate di video conference e Wi-Fi, funzionalità indispensabili per professionisti e manager”.
Diplomatico, giornalista, manager. A quale titolo si sente più legato e perché?
“Faccio fatica a indicare una preferenza perché i primi due ruoli si riferiscono alle mie grandi passioni: da giornalista ho cominciato il mio impegno professionale e sono riuscito a presentarmi come comunicatore alla mia comunità di riferimento. In effetti, ho sempre trovato i media, come la carta stampata, il modo più autorevole di stimolare riflessioni e fornire contributi per il progresso della società. Il diplomatico, invece, mi ha permesso di fare politica per il mio Paese all’estero, promuovendo sempre il dialogo, all’insegna della pace e della composizione delle divergenze: un obiettivo alto, che mi sono posto fin dall’inizio con passione ed entusiasmo, probabilmente assecondando anche mie caratteristiche personali, essendo naturalmente portato a smussare i diverbi. Il manager è invece un impegno che ho assunto più tardi, decidendo di cogliere un’opportunità che mi ha spinto a misurarmi con obiettivi nuovi, che infatti hanno richiesto non poca applicazione e studio. In conclusione, se devo definire i tre ambiti direi: il giornalismo è stato il mio primo amore, la diplomazia è stata una passione meditata e la finanza è stata una scelta ragionata”.
A proposito di diplomazia, a quale ricordo lega la sua soddisfazione più grande?
“Certamente ad un episodio che si è svolto quando ero un giovane Console a Smirne, in Turchia: dei cercatori dell’arca di Noè, Testimoni di Geova, furono rapiti dai terroristi curdi del PKK e io fui designato dal Ministero degli Esteri come il funzionario diplomatico che doveva recarsi al confine con l’Iran, in quanto ero riuscito a identificare, attraverso alcuni imprenditori di origine curda, i giusti contatti per riuscire a dialogare con i terroristi. Era il 1992, avevo 28 anni, in un territorio controllato con difficoltà dal governo turco, e recarmi lì a negoziare con l’obiettivo di liberare i prigionieri è stata un’avventura rocambolesca. Salii infatti su un volo di Stato e, con il supporto di un Prelato e di un rappresentante dei Servizi Segreti, riuscimmo ad identificare gli interlocutori giusti, tra telefoni fissi e poco funzionanti, giornalisti e parlamentari alle costole e l’esercito turco a farci da scorta. Ricordo questo episodio con orgoglio, come una bella operazione di diplomazia politica e di dialogo che ci ha permesso di salvare vite umane”.
E il suo ricordo più brutto?
“Il ricordo più brutto è probabilmente quello relativo ad un, fortunatamente, breve periodo di permanenza all’estero al fianco di un Ambasciatore poco coraggioso. Accanto a lui mi sentivo come costretto a tenere il freno a mano tirato, incapace di sviluppare tutta la mia voglia di allacciare rapporti con gli interlocutori locali e di realizzare iniziative in grado di animare concretamente i rapporti politici, economici e culturali. La ricordo come una brutta sensazione per un giovane con tanta voglia, costretto a ridimensionare la propria energia a causa della troppa cautela di chi governa la macchina”.
Passiamo a Expo 2030, una sfida da vincere per Roma…
“Ci sono almeno due buoni motivi per giocare fino in fondo la sfida Expo a Roma. il primo è perché Roma vanta un grande credito con la storia: infatti nel 1939 aveva già ottenuto un Expo che si sarebbe dovuto realizzare nel 1942 ma la II Guerra Mondiale lo impedì; il secondo è che Expo rappresenta oggi una potentissima piattaforma di dibattito in cui si affrontano i grandi temi internazionali e l’Europa e l’Occidente hanno il diritto e il dovere di farsene i promotori. Ospitare Expo sarà per noi avere la possibilità di far valere i nostri valori, la nostra cultura del lavoro, il nostro rispetto dei diritti: un patrimonio sicuramente non comune in altre aree geografiche”.
A proposito di sfide, Eastwest è una rivista distribuita in 23 Paesi e 3 continenti. Ci racconta di questo progetto?
“L’avventura Eastwest è nata 20 anni fa, perché mi sembrava assurdo che l’Europa continentale non avesse una rivista di geopolitica distribuita anche in lingue e Paesi diversi da quelli di produzione. Per tanti anni abbiamo così goduto di una distribuzione articolatissima, che ci ha permesso di raggiungere in italiano, inglese e tedesco, oltre 50 Stati nel mondo. Oggi, per la politica del controllo dei costi cui è soggetta tutta la carta stampata, distribuiamo in italia la versione cartacea e sul web la versione anche in inglese. A distanza di 20 anni l’obiettivo di Eastwest resta comunque lo stesso: mantenere la capacità di stimolare dibattiti e processi di sviluppo economico. Lo facciamo con la rivista, mediante il contributo dei migliori analisti e ricercatori, e con le attività collaterali dell’Istituto, l’Eastwest European Institute, che, da un lato, forma studenti in scenari e carriere internazionali, dall’altro, fornisce supporto a imprese che vogliono internazionalizzare il proprio business e consulenza finanziaria ai giovani, promotori di start-up. Le iniziative che coniugano valori e business sono consuetudine nel mondo americano, meno diffuse invece in Europa: la sfida del futuro quindi è riuscire a porre Eastwest come un promotore di rinnovamento, in un Paese tradizionale come l’Italia”.
Un’ultima curiosità, sempre di carattere biografico, e a proposito dei suoi hobby. Curiosando sul suo profilo Instagram, si intuisce una grande passione
per il calcio…
“Per un napoletano che ha vissuto i suoi primi 25 anni a Napoli, città da sempre affaticata nella sua ricerca di un’affermazione sportiva, e che ha avuto la fortuna di vivere l’epoca folle e geniale dominata da Diego Armando Maradona, l’amore per il calcio è una pulsione generazionale… senza tralasciare che da ragazzo ho fatto per 10 anni anche l’arbitro di calcio, ereditando questo impegno da mio padre! Ho quindi sempre cercato di coniugare la competenza tecnica (derivante da 100 partite arbitrate nelle serie minori) con una grande passione, la stessa che vedo oggi in mio figlio Francesco, calciatore e compagno di emozioni sportive”.