Una vita spesa a servire il suo Paese. Prima come pilota dell’Aeronautica Militare, “uno dei migliori in assoluto” ci garantiscono. Poi come Console d’Italia a Norfolk, in Virginia. Ad animarlo la stessa passione, che ha caratterizzato tutto il suo percorso professionale. Il Generale Gianmarco Bellini di storie da raccontare ne ha, e come.
Medaglia d’argento al valor militare, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, Medaglia militare aeronautica per lunga navigazione, promosso Generale di Brigata Aerea, si è ritirato dal servizio attivo nel 2012, per sopraggiunti limiti di età. Oggi vive a Virginia Beach, dove fa l’istruttore di volo ed è proprietario di un ristorante di cucina rigorosamente italiana.
Fra le imprese nel suo curriculum molti ricordano quella del gennaio 1991, quando con il capitano Maurizio Cocciolone, a bordo del loro cacciabombardiere, in missione con la loro squadriglia nell’Iraq meridionale, a nord-ovest di Kuwait City, difeso da artiglieria contraerea radar-asservita, furono gli unici a portare a termine il rifornimento in volo, mentre tutti gli altri velivoli, 7 Tornado italiani e circa 30 aeromobili di vari Paesi, vennero ostacolati dalle condizioni meteorologiche, fallirono l’approccio all’aerocisterna e dovettero rientrare alla base.
Bellini, in qualità di capo equipaggio, decise che il loro velivolo avrebbe dovuto proseguire in solitaria, quale che fosse lo schieramento difensivo del nemico. Ricevuto il consenso da parte del comando aerotattico, livellò a circa 250 piedi di quota, attivò il controllo automatico TF e colpì l’obiettivo attorno alle 4.30 del mattino.
L’aereo sui cui i due ufficiali italiani viaggiavano venne colpito dall’artiglieria contraerea irachena, addestrata alla difesa contro attacchi a bassa quota. I due piloti dovettero lanciarsi con il seggiolino eiettabile, l’aereo impattò col terreno a circa 20 km a nordovest della capitale kuwaitiana, a poche centinaia di metri da una caserma della Guardia repubblicana. I due aviatori vennero immediatamente catturati dalle truppe irachene, furono separati, e dovettero affrontare poi 47 lunghi giorni di prigionia.
“Un ricordo indelebile, che ha cambiato per sempre il mio modo di pensare” spiega oggi Bellini che, anche nella sua nuova vita negli States, mantiene integre le sue due più grandi passioni: per il volo e per l’Italia.
Generale, cosa significa per lei rappresentare l’Italia come Console Onorario a Norfolk? “Mi è stato concesso un privilegio che sicuramente non capita a tutti, quindi ne sento ancora di più il peso della responsabilità. Credo che questo mio nuovo ruolo sia la giusta prosecuzione del mio percorso di tanti anni, durante i quali ho sempre servito l’Italia. Prima ho avuto modo di farlo con divisa e stellette, ora in questa nuova dimensione. Che dirle, mi sento onorato. Anche se dal punto di vista diplomatico sono consapevole di rappresentare solo una piccola componente, poter essere un Console Onorario d’Italia mi lusinga”.
Preferisce essere chiamato Generale o Console? “A dire la verità preferisco Gianmarco oppure Bellini”.
Come si trova a Norfolk? “Molto bene, sono arrivato qui nel 2005, quando ero ancora in servizio attivo nell’Aeronautica Militare italiana, assegnato per circa cinque anni a un comando strategico NATO, che si trova appunto a Virginia Beach, proprio a due passi da dove abito adesso. Qui ho conosciuto mia moglie, anche lei italiana, di Napoli, ma che vive in America da tanti anni. Ci siamo sposati nel 2009. Quando mi sono congedato, nel 2011, ho deciso di rientrare definitivamente negli Stati Uniti, dove vivo stabilmente da allora”.

A suo avviso è possibile tracciare un profilo che ben rappresenti gli italiani che vivono in Virginia? “Anche se qui gli italiani sono moltissimi, purtroppo devo dirle che non abbiamo modo di incontrarci con una certa frequenza, come fanno ad esempio altre comunità, come quella greca o quella turca che, sicuramente, hanno molti più momenti di aggregazione. I nostri connazionali qui generalmente sono militari italiani o familiari di militari americani, che si sono legati sentimentalmente nei periodi in cui erano in servizio nei Comandi USA in Italia, dove trascorrono generalmente due o tre anni. Principalmente registriamo una forte presenza di siciliani e napoletani, e abbiamo anche molti veneti, proprio perché nella zona di Vicenza c’è un importante Comando americano”.
Qual è il suo ricordo più significativo da Console Italiano negli States? “Ricordo in particolare la storia di un cittadino americano, che mi chiese tempo fa un appuntamento perché voleva attivarsi per vedere suo figlio molto piccolo, in Italia con la madre, dalla quale si stava separando. Ci confrontammo a lungo sulla sua situazione. Dopo un paio di mesi mi richiamò, dicendomi: “Guardi, mi piange il cuore, ma ho deciso che sia meglio per tutti far riconoscere mio figlio al nuovo compagno della mia ex moglie per garantirgli una famiglia”. Sono rimasto molto colpito da questa presa di posizione, soprattutto per come questo uomo si era presentato inizialmente. Ho capito quanto volesse bene a quel bambino, per il quale nutriva il profondo desiderio di regalargli una vita familiare normale, a costo di annullarsi lui stesso come padre. Probabilmente questo bambino non conoscerà mai il suo vero papà, però vivrà in una famiglia completa. Ecco, questo episodio mi ha colpito molto umanamente”.

A proposito di ricordi, se possibile, trascorsi molti anni, le chiederei di tornare sulla notte del 17 gennaio 1991. Che ricordo ha di quel giorno? “Beh, quella notte, come del resto quell’intero giorno, restano impressi nella mia mente, ormai da 33 anni, e non vanno più via. Fanno parte ovviamente della mia storia e del mio bagaglio psicologico. Il mio è un ricordo ancora vivo, vivissimo. Quello che è accaduto mi ha consentito di vedere le cose anche in una maniera molto diversa da come ero abituato precedentemente. Sono cresciuto molto in quella notte e poi in quei 47 giorni di prigionia. Che dirle, ho provato qualcosa che non potrò mai dimenticare, dal punto di vista psicologico, morale e professionale”.

E’ rimasto in contatto con il Capitano Maurizio Cocciolone? “Si, ci siamo sentiti qualche volta. Non recentemente, però un po’ di tempo fa sì. So che lui abita adesso in Brasile e quindi non abbiamo avuto modo di incontrarci di nuovo”.

Medaglia d’Argento al Valor Militare, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana… Tantissimi i riconoscimenti ricevuti per quella che è stata una missione complicatissima dal punto di vista militare e, come si è rivelato, decisamente pericolosa. Potendo tornare indietro, rifarebbe tutto? ”Penso di sì, perché mi sembrava la cosa più giusta da fare in quel momento. Ecco, magari con il senno del poi, alcune scelte, com’è nella natura dell’essere umano, possono essere riconsiderate sotto molto aspetti, mentre uno quando si trova a dover decidere nel momento si basa sulle conoscenze che ha in quell’istante e sulle situazioni a lui note. Al tempo, noi abbiamo agito proprio perché pensavamo che quella fosse la cosa più giusta da fare e oggi ne sono ancora convinto. Quindi, rispondendo alla sua domanda, posso dirle che sì, rifarei le stesse cose”.

Cosa significa per lei volare? “Le racconto un aneddoto: all’inizio della mia carriera mi presentai alla scuola di volo di Latina, quando ero già entrato in Aeronautica, prendendo i brevetti solo tre mesi dopo aver conseguito la patente di guida. In pratica ho pilotato aerei gli stessi anni che ho guidato la macchina. Ho sempre fatto solo questo, il volo è “qualcosa” di fondamentale nella mia vita. Essere pilota per me è come una prerogativa di felicità. Ho proprio questa sensazione, quando piloto aerei sono felice. Avrei fatto l’aviatore anche senza stipendio. Oggi ricordo spesso che quando ero in servizio in Aeronautica, al Comando e al gruppo di volo al quale appartenevo, in tanti anni di servizio non ho mai preso tutti i giorni di licenza che mi spettavano per legge. Un po’ perché saltava sempre fuori qualcosa che mi teneva legato al gruppo, ma un po’ anche perché io stesso preferivo restare in servizio e non andare in ferie”.
Oggi vola ancora? “Sì, anche se ovviamente adesso non più sui jet. Sono un istruttore e collaboro con una scuola di volo qui in Virginia. Ho diversi allievi, ed è molto bello vedere un ragazzo che magari a soli 16 anni inizia a volare senza aver mai toccato un aeroplano prima, e poi dopo quattro mesi è da solo in giro sui cieli degli Stati Uniti… e magari finisce anche a fare il pilota di linea per qualche Compagnia aerea. Mi creda, per me, è una grossa soddisfazione questa”.

Chiuderei questa intervista parlando delle attività del Consolato. “Cerchiamo di fare il possibile per essere d’ausilio ai nostri connazionali che sono qui, con servizi a richiesta. Chiaramente, mi occupo principalmente di attività legate al rinnovo dei passaporti, per le quali ho attivato anche una postazione mobile, anche per la raccolta delle impronte digitali, secondo le nuovi disposizioni di legge, che invio poi al nostro Consolato di Filadelfia, dove viene prodotto il passaporto vero e proprio. Sbrighiamo anche molte attività di assistenza alle nostre imprese che sono qui, e pratiche legate soprattutto a compravendita di immobili in Italia. Una volta eravamo anche più attivi nell’organizzazione di eventi, poi però purtroppo il COVID nel 2020 ha un po’ frenato tutto, ed è cambiata la nostra routine. Riprendere è sempre complicato, ad ogni modo ci sono attività che facciamo insieme al Consolato Generale di Filadelfia”.
Intervista di Marco Finelli