Icona della diplomazia albanese, Arben Pandi Cici ha rappresentato il suo Paese come Ambasciatore per più di vent’anni per poi diventare il Direttore del Gabinetto del Presidente dell’Albania e suo Consigliere sulla Politica Estera fino al 2022. Capo Missione nella Federazione Russa, in Croazia e Danimarca, professore universitario in Scienze storiche, Relazioni internazionali e Diplomazia, oggi è Prorettore e direttore della scuola di dottorato presso l’Università Mediterranea d’Albania e direttore esecutivo dell’Albanian Diplomatic Forum.
Considerato uno dei massimi esperti in tema di Relazioni Internazionali nel suo Paese, dove è molto conosciuto e apprezzato, persona affabile e gentile, fra le sue qualità maggiori spicca senz’altro la capacità di saper leggere e analizzare i fatti contemporanei alla luce soprattutto di un bagaglio di profonda conoscenza storica.
A lui fu affidato nel 1992 il difficilissimo compito di ricostruire le relazioni diplomatiche con Mosca, dopo il riallineamento post-Guerra fredda, “una sfida monumentale, piena di intense negoziazioni, diplomazia ad alto rischio e momenti di grande significato emotivo”, ricorda oggi Cici, che al contempo fu il direttore del Protocollo diplomatico dello Stato durante la storica visita del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush in Albania.
Ambasciatore, inizierei questa intervista parlando dell’Albania. Se dovesse scegliere tre aggettivi per descrivere il suo Paese, quali userebbe? “Il primo non può che essere straordinario, essendo l’Albania famosa per i suoi paesaggi naturali mozzafiato, tra cui montagne spettacolari, profondi canyon e pittoresche coste lungo il Mar Adriatico e il Mar Ionio. Poi direi resiliente, considerando la sua storia, fatta di un continuo superamento di sfide e conflitti, che dimostrano un forte spirito nazionale e grande orgoglio di appartenenza. E infine strategico, essendo il Paese da tempo un ponte storico tra l’Occidente e l’Oriente, grazie alla sua posizione geografica, che ha facilitato gli scambi culturali ed economici per secoli, rendendolo un crocevia di varie civiltà. Dai tempi antichi, attraverso gli imperi romano e bizantino fino al periodo ottomano, l’Albania è stata un crogiolo di culture, religioni e idee. Il suo patrimonio diversificato si riflette nella sua architettura, nelle sue tradizioni e nelle sue lingue, mostrando una miscela unica di influenze orientali e occidentali che continuano a plasmare la sua identità oggi. In tempi moderni, il ruolo dell’Albania come ponte tra le due regioni è diventato sempre più significativo. Come membro della NATO e candidato all’adesione all’Unione Europea, l’Albania sta attivamente perseguendo l’integrazione con le istituzioni occidentali, mantenendo al contempo i suoi collegamenti con i Paesi vicini nei Balcani e nel più ampio Mediterraneo orientale. Questo duplice impegno consente allo Stato di facilitare il dialogo e la cooperazione tra i Paesi occidentali e orientali, promuovendo la stabilità e favorendo lo sviluppo economico. Sfruttando i suoi legami storici e la sua posizione strategica, l’Albania aspira a essere un attore chiave nella sicurezza regionale e un promotore della comprensione interculturale in un mondo sempre più interconnesso”.
Cosa pensa delle Relazioni diplomatiche tra Italia e Albania oggi? “La storia delle relazioni tra Albania e Italia, separate dal Mar Adriatico, è ricca di eventi e connessioni. La loro vicinanza geografica ha favorito forti legami storici, economici e culturali, che si sono trasformati in una partnership stabile di reciproco interesse su entrambe le sponde del nostro mare. Oggi, le relazioni tra Albania e Italia operano su due livelli: bilaterale e multilaterale. È fondamentale che entrambi i Paesi abbiano affermato la natura strategica delle loro relazioni e il loro impegno condiviso nell’affrontare le sfide della sicurezza e della stabilità. Questi legami sono intrinsecamente forti, con l’Albania che rimane una priorità nella politica estera italiana. L’Italia vede l’Albania non solo come un mercato in espansione, ma anche come una porta cruciale per i Balcani, fondamentale per mantenere stabilità politica e sicurezza economica. Inoltre, l’Albania ha trovato un alleato di supporto nell’Italia nel suo percorso verso l’adesione all’Unione Europea, condividendo un impegno geostrategico per la sicurezza nella regione e in tutta Europa. Tuttavia, nonostante l’Italia sia stata il più grande “donatore” bilaterale negli ultimi due decenni in Albania e il suo principale partner commerciale, registriamo che non ha ancora raggiunto il livello di investitore necessario, sia nei settori economici che strategici. Per quanto mi riguarda, sono favorevole a investimenti italiani più sostanziali in Albania che portino nuovi posti di lavoro e prosperità, piuttosto che all’istituzione di campi per i rifugiati del Mediterraneo che provocherebbero accesi dibattiti e potenziale instabilità”.
Cosa pensa della politica italiana di oggi? “Vorrei anzitutto sottolineare il fatto che le relazioni Italia-Albania non sono mai state influenzate dal cambiamento di colore politico dei rispettivi Paesi. Con sfumature trascurabili, hanno seguito la loro tendenza tradizionale volta a sviluppare e rafforzare le relazioni bilaterali, regionali o multilaterali. Il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni e il suo partito di destra, Fratelli D’Italia, hanno adottato una posizione più moderata sulla scena internazionale, in molte questioni. Questo cambiamento ha permesso al Premier di fungere da prezioso intermediario tra la politica europea di estrema destra e altri leader dell’UE, facilitando il dialogo e la cooperazione, colmando potenzialmente i divari tra diverse forze politiche, il che potrebbe avere importanti implicazioni per l’unità europea, per le relazioni transatlantiche e per il processo di integrazione nell’UE dei Paesi dei Balcani occidentali. Ciò è molto importante per l’Albania e anche per l’Italia. L’approccio più forte, sia politicamente che economicamente, verso i paesi del Mediterraneo mostra l’aspetto fermo dell’attuale politica estera del Primo Ministro Meloni e della sua maggioranza”.
Qual è il suo ricordo più bello legato alla sua carriera diplomatica? “Mi sentirei di indicare due dei momenti più significativi della mia carriera diplomatica, in oltre tre decenni. Innanzitutto, il mio mandato come primo Ambasciatore albanese in Russia rimane profondamente impresso nella mia memoria. Il compito di ricostruire le relazioni diplomatiche con Mosca, dopo il riallineamento post-Guerra fredda, ha rappresentato una sfida monumentale, piena di intense negoziazioni, diplomazia ad alto rischio e momenti di grande significato emotivo. Orientarsi nel complesso panorama di un ordine globale emergente, promuovendo al contempo la fiducia e il dialogo con le controparti russe, è stata un’esperienza che ha lasciato un segno indelebile nella mia carriera. Altrettanto indimenticabile è stato il mio ruolo di Direttore del Protocollo diplomatico dello Stato durante la storica visita del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush in Albania. La preparazione e l’esecuzione di questo evento sono state senza pari nella loro complessità e importanza. Lo sforzo diplomatico collettivo che ha richiesto, le notti insonni e gli stretti legami personali forgiati con funzionari sia albanesi che americani, a mio avviso, spiccano come una testimonianza del lato umano della diplomazia. Questa visita non è stata solo un risultato “logistico”, ma un momento di profondo significato per la posizione internazionale dell’Albania. È stato un promemoria di come un singolo evento diplomatico possa plasmare il corso della storia di una nazione, riflettendo il potere e l’impatto di un impegno diplomatico di successo”.
Ricordi negativi? “La diplomazia non conosce momenti negativi; ogni sfida che presenta è un’opportunità di crescita, creatività e risoluzione di problemi. L’essenza stessa della diplomazia sta nel trasformare gli ostacoli in innovazioni e le sue sfide più grandi spesso portano ai successi più gratificanti”.
A fronte del momento particolarmente complesso a livello geopolitico su scala globale, molti si chiedono però quale sia il vero potere della diplomazia oggi. “E’ vero, la diplomazia sembra essere limitata in molti modi oggi. La politica di potere, il nazionalismo e la rinascita di regimi autoritari spesso sfidano gli sforzi dei diplomatici. E, oltretutto, l’influenza di attori non statali, interessi aziendali e social media molto spesso oscurano o complicano i canali diplomatici tradizionali. Inoltre, la fiducia nel multilateralismo si è indebolita in alcune regioni, portando a un aumento degli approcci unilaterali o bilaterali. L’aumento delle crisi globali, come la guerra in Ucraina, a Gaza e in Libano, le tensioni tra Iran e Israele e nel Mar Cinese Meridionale, stanno mettendo alla prova la forza della diplomazia. Tuttavia i canali diplomatici sono essenziali nella gestione delle crisi, in quanto facilitano gli aiuti umanitari, mediano i cessate il fuoco e guidano i colloqui di pace. Mentre il ruolo della diplomazia può affrontare delle sfide, la sua capacità di adattarsi alle nuove realtà e di portare soluzioni pacifiche fa sì che lo stesso sia più vitale che mai per affrontare le questioni globali. È probabile che gli sforzi diplomatici si concentrino ora su preoccupazioni più immediate, come la riduzione del rischio di escalation nucleare, la garanzia del flusso di aiuti umanitari e la gestione delle crisi energetiche e alimentari esacerbate dalla guerra. Un accordo di pace completo può sembrare lontano, ma la diplomazia rimane l’unica strada praticabile per risolvere un conflitto a lungo termine. Mentre la guerra si trascina, c’è una crescente pressione sulle potenze globali per perseguire soluzioni diplomatiche che possano porre fine alla guerra senza destabilizzare ulteriormente l’Europa, il Medio Oriente e l’ordine globale. Indubbiamente, quando la diplomazia fallisce, i generali intervengono; ma ogni battaglia combattuta, a mio avviso, rappresenta un promemoria per ricordare a tutti che la diplomazia, non certo la forza, rappresenta la vera misura del successo”.
Cosa si aspetta dalle ormai prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti? “Le elezioni statunitensi del 2024 si stanno delineando come una delle tornate elettorali più imprevedibili e al contempo osservate nella storia recente. La gara sarà probabilmente una rivincita tra il presidente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump. La candidata Kamala Harris, infatti e come mai prima d’ora, sta a mio avviso difendendo la candidatura quadriennale del presidente Biden, durante la quale è rimasta per lo più nell’ombra. Diversi temi come ad esempio l’inflazione, l’immigrazione, l’assistenza sanitaria, il cambiamento climatico e l’aborto svolgeranno un ruolo fondamentale nel plasmare il sentimento degli elettori. E anche le preoccupazioni dei cittadini americani sulla democrazia e sulla polarizzazione potrebbero essere cruciali. Gli elettori indecisi nelle aree suburbane, insieme agli elettori delle minoranze, in particolare le comunità latine e nere, probabilmente decideranno l’esito finale. Da non sottovalutare poi la componente degli elettori più giovani, che sono stati significativi nel 2020, e potrebbero nuovamente svolgere un ruolo decisivo. I dibattiti sulla politica estera degli Stati Uniti diventano cruciali, parlando di guerra e pace, di Russia, Ucraina, Israele e Cina. Se Donald Trump dovesse diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti, la sua politica estera avrebbe probabilmente un impatto significativo su Europa, Asia e Medio Oriente: probabilmente indebolirebbe le relazioni con la NATO, lasciando “tese” quelle con i paesi europei, in particolare con gli stati dell’Europa orientale, che si affidano alle garanzie di sicurezza degli Stati Uniti in mezzo alle tensioni con la Federazione russa. Relazioni sicuramente più forti si avrebbero proprio con la Russia, il che potrebbe portare a un cambiamento nel sostegno degli Stati Uniti all’Ucraina, con un impatto chiaramente sulla risposta europea alla crisi ucraina. Resterebbe incertezza nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina, in particolare in materia di commercio e sicurezza, con potenziali conseguenze per le economie degli alleati regionali come Giappone e Corea del Sud, in ogni caso si avrebbero legami più stretti con Israele e gli Stati del Golfo, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Resterebbe infine una posizione dura nei confronti dell’Iran, con possibili crescenti tensioni nella regione e rischio di ulteriore destabilizzazione o conflitto. In breve, una presidenza Trump significherebbe probabilmente più imprevedibilità nella diplomazia globale, alleanze tese e una competizione geopolitica intensificata, soprattutto in Europa e Asia. La mia previsione, basata sulle dinamiche attuali, è che queste elezioni saranno vinte comunque con poco scarto, e con un’elevata polarizzazione che renderà più difficile prevedere risultati chiari”.
Chiuderei questa intervista parlando del Progetto “Albanian Diplomatic Forum”. “L’Albanian Diplomatic Forum, fondato presso la Mediterranean University of Albania, è dedicato alla ricerca, all’esplorazione e all’analisi degli sviluppi della politica estera, nonché delle sue tendenze e dei fenomeni significativi a livello nazionale e internazionale. Esamina le loro conseguenze per la società albanese e i loro collegamenti con gli sviluppi regionali, europei e globali. Il forum promuove studi, analisi e dibattiti, facilitando discussioni sia aperte che chiuse. Funge da piattaforma in cui personaggi di spicco della politica estera, insieme a diplomatici stranieri e locali, condividono le loro intuizioni e prospettive su argomenti di politica estera, diplomazia, integrazione europea, dinamiche regionali, il ruolo dell’Albania e questioni di sicurezza sia a livello regionale che globale, nonché all’interno di organizzazioni internazionali, europee e mondiali. Nel corso dell’ultimo anno hanno partecipato attivamente al forum politici albanesi e Ambasciatori stranieri accreditati in Albania”.
Intervista di Marco Finelli