Sempre sorridente ed estremamente professionale, per i giornalisti che interagiscono con l’Ambasciata del Marocco in Italia Abdessamad Eljaouzi è un punto di riferimento sicuro. Una certezza. Facile vederlo al fianco degli Ambasciatori che si avvicendano nella sede diplomatica del Quartiere Coppedè di Roma, perfino alle Feste Nazionali, sempre pronto a recitare un ruolo di primo piano, ma mai sopra le righe. Ricercatore e conferenziere attivissimo, attento osservatore della realtà, accetta di buon grado l’invito a raccontarsi.
Comunicare il Marocco in Italia. Che lavoro è?
“E’ una domanda difficile da esaurire in poche righe, ma senza altro è una sfida affascinante, che coinvolge diverse dimensioni a partire dal contribuire alla creazione di ponti tra due Nazioni così antiche e ricche di storia. Per me lo è ancora di più avendo una doppia cultura. E’ un indubbio privilegio essere parte, e al centro, di quel complesso dinamismo finalizzato a promuovere l’immagine e l’identità del Paese in Italia e di renderlo accessibile agli italiani attraverso molteplici strumenti, che spaziano in diversi settori. Assistere allo sviluppo delle relazioni e contribuire al rafforzamento dei legami diplomatici, commerciali e culturali tra le comunità è per me una fonte di orgoglio e di grande soddisfazione. In generale questo lavoro richiede sensibilità culturale, capacità di dialogo e di adattamento e una profonda comprensione delle sfumature tra le due Nazioni, oltre evidentemente a conoscenze specifiche in un mondo sempre più connesso e dove l’evoluzione della comunicazione sotto la spinta della rivoluzione digitale continua a plasmare profondamente le nostre società aprendo nuove opportunità ma anche sfide”.
Lei è solito accompagnare gli Ambasciatori ad eventi importanti in Italia. In linea generale, come definirebbe oggi i rapporti fra Italia e Marocco?
“Grazie per la domanda che mi offre l’occasione di riaffermare l’onore di imparare e crescere professionalmente e umanamente grazie ad Ambasciatori di altissimo profilo. Un grande privilegio per me. Per usare termini calcistici di cui siamo appassionati, mi offre un’opportunità “in zona cesarini” e non posso che raccogliere l’occasione per ricordare le parole dell’Ambasciatore nei primi giorni dal suo insediamento, sottolineando come l’attuale amicizia è il frutto della continua evoluzione di antiche relazioni tra le due grandi Nazioni, basato sulla fiducia e sul rispetto condiviso. In effetti si tratta di un Paese strategico per l’Italia, e viceversa, uno Stato-Nazione tra i più antichi al mondo e nel Mediterraneo. Ricordo ad esempio che parliamo di relazioni che risalgono al periodo delle Repubbliche Marinare e del Regno della dinastia almoravide (1053-1147). La profondità dei rapporti è stata consolidata nel tempo e più recentemente il 25 novembre del 1991 con la firma a Roma del Trattato di amicizia e cooperazione tra i due Paesi per conferire a questa relazione italo-marocchina un carattere esemplare di ispirazione per i popoli del Mediterraneo, e per conservare, rafforzare e praticare quella via individuata più di trent’anni prima dall’allora Sindaco di Firenze Giorgio La Pira e l’allora Re Mohammed V. Basti pensare alla straordinaria sintonia e alla perfetta simmetria di visione tra i due, tanto che la prima visita del Re del Marocco, Mohammed V, dopo l’indipendenza venne riservata proprio all’Italia nel 1957 come forte segno di amicizia e di antichi legami. Per altro nella stessa occasione il Re conobbe anche Enrico Mattei. Come l’Italia, il Marocco è una realtà straordinariamente complessa, un melting pot di religioni, di etnie e di culture diverse e sono felice delle relazioni eccellenti di oggi”.
Come si è integrata la comunità marocchina in Italia?
“I rapporti tra i due paesi sono consolidati. I primi cittadini del Marocco arrivarono in Italia negli anni Sessanta e oggi forse quella marocchina è la comunità che è riuscita a integrarsi meglio nella società e nell’economia italiana. E non è un caso che la maggiore comunità imprenditoriale straniera in Italia sia proprio quella marocchina, con quasi 70.000 imprenditori (circa il 16,7%). L’integrazione dunque è dovuta a diversi fattori e certamente al fatto che condividiamo un patrimonio storico, culturale ed economico di grande rilevanza. Dopo 40 anni la comunità marocchina in Italia è stratificata e sempre più una parte integrante della società in cui è immersa. Oggi la terza generazione, e più, è pienamente la prova tangibile di questa evoluzione e lo possiamo osservare in tanti campi, incluso lo sport. Italia e Marocco si somigliano perché sono entrambi Paesi di emigrazione e di immigrazione. Basti pensare che la presenza della comunità italiana in Marocco inizia nel 1800, con proprie associazioni, luoghi di culto e con le prime scuole italiane a Tangeri e a Casablanca, nate rispettivamente nel 1914 e nel 1920”.
A proposito di sport, la nazionale del Marocco è stata la sorpresa dell’ultimo mondiale di calcio. Come si spiega questa che molti hanno definito una vera e propria favola?
“Sicuramente è stata una fortissima emozione e devo dire che questa favola a occhi aperti è stata vissuta intensamente per noi in Italia. Nessuno probabilmente avrebbe mai immaginato che il Marocco sarebbe diventato una tra le quattro nazionali più forti del mondo, eliminando giganti del Calcio come il Belgio di Lukaku, la Spagna di Messi e il Portogallo di C. Ronaldo. A mio avviso la squadra ha meritato pienamente questo posto, dimostrando qualità e solidità. La difesa di ferro del Marocco è stata la migliore ai Mondiali. Evidentemente questo storico traguardo raggiunto della nazionale di calcio marocchina non è il risultato del caso, ma di intenso lavoro e di una visione, in particolare grazie alla strategia voluta dal Re. Una strategia innovativa che ha abbracciato diversi altri ambiti, a partire dalle infrastrutture, che ha permesso di far emergere campioni. Certamente il lavoro svolto dal CT Walid Regragui è stato “colossale”, essendo riuscito a costruire una squadra multiforme ed estremamente coesa, considerando soprattutto che nella rosa portata ai mondiali 17 dei 26 calciatori sono nati fuori dal Marocco. E, forse,
la presenza di giocatori nel campionato italiano ha alleviato l’amarezza di non vedere gli Azzurri nella competizione. Su tutti, mi piace raccontare la storia di Walid Cheddira, nato a Loreto, italomarocchino come me, che ha giocato per la prima volta con la nazionale dei Leoni dell’Atlas con buone prestazioni. Da quest’anno il campione veste la maglia Giallo-Blu della mia città di Frosinone, di cui sono ovviamente molto tifoso (guarda caso il simbolo della città è proprio un Leone), neo promossa in massima serie dopo aver dominato il campionato di serie B. Sono convinto che farà molto bene e naturalmente per me è un motivo in più per tifare “i leoni del Frosinone”.
Qual è il ricordo o l’aneddoto più bello legato al suo lavoro?
“Francamente non saprei quale menzionare. Ricordo ad esempio qualche anno fa un divertente momento quando, in occasione di un importante evento istituzionale a Roma, ho conosciuto un giornalista italiano che mi ha sorpreso con un buon livello di lingua araba, e qualche simpatica parola di dialetto marocchino, evidentemente convinto che non fossi di qui e per facilitare la conversazione. A mia volta ho risposto in italiano e siamo rimasti felicemente e reciprocamente sorpresi, tanto da coltivare una bella amicizia. Questo episodio mi ha ricordato una persona speciale, di cui non ricordo il nome essendo all’epoca un bambino, un funzionario del Consolato italiano a Casablanca che mi aiutò moltissimo e a cui sono legato da una promessa”.
Un’ultima domanda sul tema, da lei molto sentito, della ‘fratellanza’ religiosa, sul quale, da ricercatore, ha avuto modo di scrivere diversi saggi.
“Questa domanda è importantissima. Il dialogo assume un ruolo cruciale nelle relazioni, come fondamentale strumento di comunicazione, conoscenza e pacifica convivenza. La tolleranza religiosa in Marocco è un principio solido della costituzione garantita dal Re in qualità di “comandante dei credenti”: lo testimoniano i tantissimi luoghi di culto diffusi nel Paese, tra i quali moltissime chiese e sinagoghe. Nel 2019 anche la visita apostolica di due giorni di Papa Francesco in Marocco ha evidenziato l’impegno comune per la fratellanza religiosa e la promozione della pace nel mondo. Ma quasi 40 anni fa ci fu la storica visita apostolica di Papa Giovanni Paolo II in Marocco, prima in assoluto un Paese musulmano. Potrei citare due importanti passaggi, che a mio avviso racchiudono molti significati.
“Voi siete responsabili del mondo di domani. Dovete costruire il mondo, e non solo sognarlo” disse il Santo Padre a Casablanca il 19 agosto del lontano 1985 davanti a 80.000 giovani. Io all’epoca avevo appena 5 anni. Poi le parole di SM il Re Mohammed VI in occasione dell’adozione nel 2016 della Dichiarazione di Marrakech sui diritti delle minoranze religiose nel mondo islamico, sull’importanza dei valori religiosi e dei valori comuni: “abbiamo bisogno, non solo per essere ispirati dall’ideale di tolleranza, ma anche per attingere da esso le risorse necessarie per una rinnovata costruzione dell’umano, della capacità di mobilitazione per poter godere di una vita priva di guerre, bramosie e inclinazioni all’estremismo e al rancore, una vita in cui l’umanità vedrebbe svanire le sue sofferenze e le sue crisi come preludio all’eliminazione dei rischi di uno scontro di religioni”. Insomma, le storiche radici comuni, in particolare nel Mediterraneo, possono servire a comprendere meglio e le diverse fonti possono darci testimonianza di sfide importanti. Ad esempio nel ricordare l’impegno profuso da Giorgio La Pira, con un nuovo modo di intendere il rapporto con l’altro avviando un dialogo innovatore partendo dall’idea di “incontro tra le nazioni” come premessa indispensabile facilitato dall’appartenenza (Ebrei, Cristiani e Musulmani) alla “famiglia di Abramo”.