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“Ferragosto ad Anchorage in Alaska: il nuovo disgelo”, l’Editoriale dell’Ambasciatore Bruno Scapini

Redazione by Redazione
15 Agosto 2025
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“Meglio stupidi che inetti. La reazione della Farnesina alla lista dei russofobi”, l’Editoriale dell’Amb. Bruno Scapini
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di Bruno Scapini 

Sembra un invitante slogan pubblicitario di qualche operatore turistico pronto a promuovere esperienze uniche tra le nevi dell’Alaska. In realtà trattasi più semplicemente della località concordata tra Trump e Putin per il loro prossimo vertice di mezza estate.  

Alaska, un luogo cui si vuole attribuire da parte di tanti osservatori politici un significato simbolico. Si fa tanto parlare, infatti, del senso che avrebbe  la scelta di questo luogo ai fini del vertice: terra di stretto confine tra le due superpotenze, regione un tempo appartenuta agli Zar e poi venduta agli Stati Uniti nel 1867; non solo, ma in occasione della II Guerra mondiale anche terra di transito per armi americane da trasferire ai russi onde combattere la Germania nazista.  Per la scelta del giorno, poi, con una dose di discreta fantasia, si potrebbe immaginare anche la trama dell’opera di William Shakespeare: “Sogno di una notte di mezza estate”. Eh sì, perché proprio di un sogno si potrebbe trattare se solo immaginassimo quante speranze potrebbe aver suscitato questo vertice.

Ebbene, un incontro storico lo si potrebbe definire, e non soltanto per la sua intrinseca natura istituzionale, ma soprattutto per le motivazioni politiche che lo sottendono. Del resto, tutti i grandi incontri tra i leader delle due massime potenze del mondo hanno sempre segnato qualche passo nella Storia dell’Umanità, e oggi tutto il mondo, al cospetto di una profonda instabilità foriera solo di possibili risvolti apocalittici, dovrebbe poter guardare a questo vertice con fiducia e profonda speranza.  Ma c’è qualcuno purtroppo in Europa che si pone di traverso e tenta in ogni modo e con ogni mezzo di sabotare, non solo il processo di pacificazione avviato da Trump fin dall’indomani del suo insediamento alla Casa Bianca, ma anche lo stesso nascente dialogo tra Stati Uniti e Russia, le due superpotenze dalle cui intese soltanto – e ce lo suggerisce il buon senso – potrà derivare uno spiraglio di speranza per una coesistenza pacifica tra le Nazioni.

Per contro, non è da attendersi un tale risultato dalle potenze europee che, eredi dell’antico colonialismo, ancora credono di potersi imporre ricorrendo agli antichi metodi di persuasione armata in nome di un suprematismo ampiamente superato dalle più attuali sensibilità.  E’ dunque convinzione chiara oggi, ed è inutile negarla: i leader europei non vogliono la pace in Ucraina, ma il proseguimento della guerra, e non per difendere la democrazia di Kiev – semmai quello sarebbe il pretesto – bensì per combattere la Russia fino al raggiungimento della sua sconfitta strategica.  Del resto, è quanto emerge dalla posizione assunta dai “volenterosi”, ovvero dai fabulatori di Bruxelles che fino all’ultimo si ostinano a reclamare un posto al tavolo del negoziato pretendendo che nessuna decisione possa avere riconoscimento e valore politico senza la loro accettazione. E così costoro persistono nelle loro posizioni massimaliste: nessuna cessione territoriale dell’Ucraina alla Russia, rispetto della sua sovranità e riconoscimento del suo inalienabile diritto di essere ammessa come membro nell’Unione Europea e perfino nella NATO. Il tutto dimenticando che dopo una guerra costosa in vite umane e in distruzione la parte vincitrice dovrebbe avere, almeno per un legittimo universale principio di Diritto internazionale, la giusta aspettativa a vedersi riconoscere dei vantaggi. Infatti, in nome di quale criterio giuridico la Russia dovrebbe rinunciare alla sua (prevedibile, quasi scontata) vittoria? In nome forse di una integrità territoriale violata disconoscendo tutte le vere cause che avrebbero portato Mosca ad optare per la soluzione armata della crisi? E allora perché non far valere lo stesso principio in altri scenari di guerra come quello del recente conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaijan conclusosi con la vittoria di Baku e la capitolazione del Nagorno Karabagh? In questo caso non si parla di cancellare la vittoria degli azeri, nè si prevede la restituzione delle terre occupate perché nessuno a Bruxelles ha osato alzare un dito in difesa degli armeni!  Ecco, questa è la disgustosa morale a doppio standard tipico dell’Europa del nostro tempo. E così, oggi, in vista del vertice tra Trump e Putin, voluto strettamente e legittimamente sul piano bilaterale, quegli stessi leader europei pretendono di far sentire la loro voce imbrigliati come sono da interessi superiori che li connettono direttamente alle elite sovranazionali del Deep State. Quella cupola di oligarchie dalle quali traggono il coraggio di opporsi a un Presidente degli Stati Uniti che le sta combattendo anche sul proprio territorio nazionale.

Ed ora, con manifesta illogicità e illusa ipocrisia questi mentitori della nostra Europa si dimostrano così ancora una volta servi delle cosche guerrafondaie sovranazionali, ma soprattutto nemici dei popoli europei non accorgendosi che agendo in tal modo alimentano sempre più la disaffezione dei Paesi membri e della stessa nuova emergente Comunità internazionale.

Probabilmente, i due massimi leader mondiali non parleranno in Alaska solo di Ucraina. Verosimilmente concorderanno sulla indivisibilità della sicurezza nell’area dell’Europa Orientale, con buona pace per gli europei “volenterosi”. Piuttosto, affronteranno temi di più stretta pertinenza degli interessi bilaterali  e primariamente la messa a punto di una strategia di cooperazione per la  creazione di una cintura di collegamento che unisca in futuro – quale realizzazione di un sogno vagheggiato già da decenni da eminenti personalità russe (Accademia Russa delle Scienze) – la Siberia all’Alaska creando un percorso strategico non solo per i flussi commerciali tra i due continenti, ma anche di rilievo geopolitico nella prospettiva – peraltro molto gradita agli Stati Uniti – di realizzare un accerchiamento-contenimento della Cina, unico vero primario obiettivo perseguito da Washington nell’indo-pacifico.

Per l’Ucraina, purtroppo, non ci sarà gran spazio tra le tematiche di Anchorage. Accertata l’impossibilità che la soluzione – qualora trovata – possa essere accettata da Kiev e dai suoi sostenitori europei, Trump probabilmente continuerà per la sua strada nella duplice consapevolezza che chi si schiera con l’Europa sarà un perdente, in quanto la scacchiera sulla quale la partita ora si gioca è l’intero Pianeta, e che per tenere a bada le teste calde di Bruxelles basterà allontanarle dalla Russia e dalle sue fonti energetiche (impedendo la riattivazione delle condotte Stream 1 e 2), assicurandosi al contempo la loro fedeltà nel tempo attraverso una formuletta di politica militare che consenta la militarizzazione dell’Unione ma, ben inteso, inserendone le strutture nel contesto di una NATO a conduzione e guida ancora americane.  Sarà questo forse il sogno di una notte di mezza estate cui si concederanno in Alaska i due massimi leader?

Bruno Scapini

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