Arduo cimentarsi, ad esequie ormai concluse di Papa Francesco, in esercizi predittivi sugli esiti del prossimo Conclave. Non è esagerato, infatti, affermare, nell’assenza di affidabili segni prodromici, come l’elezione del successore di Bergoglio venga a rivestire aspetti di innegabile criticità costituendo in fondo la scelta del nuovo Pontefice la pietra angolare di un processo di transizione in atto oggi nel mondo e al quale neanche la Curia romana sarebbe riuscita a sfuggire.
Non è per intenzionale genericità se affermiamo che il mondo, il nostro mondo stia vivendo ora una fase sostanzialmente discrasica. Il disordine regna ovunque. E ovunque si manifesta per contrapposizioni e dicotomie apparendo sotto varie e differenti forme secondo schemi cognitivi capaci di risolversi unicamente nella estremizzazione delle percezioni. Trattasi di una polarizzazione pervasiva e diffusa che, muovendo da contrastanti premesse politiche e ideologiche, ha investito in questi ultimi decenni tutti i settori dell’attività umana riflettendosi perfino, ed inevitabilmente, anche nel dominio del “trascendente”. In questa prospettiva, la Chiesa romana, pietrina e mariana, non ne è uscita indenne e tanto meno immune. Anzi, le tensioni ideologicamente orientate si sono fatte sentire all’ombra del Cupolone e hanno travolto la Curia con l’imposizione di interpretazioni sinodali divaricanti, per le quali ognuna delle parti in causa si è ritenuta depositaria in via esclusiva di impedimenti dirimenti che ne legittimavano la reciproca contestazione.
È chiara, dunque, la dicotomica concezione del nostro vivere moderno. Lo dimostrerebbe anche il simbolismo assunto dagli schieramenti. C’è un mondo disegnato su modelli imposti da forze liberal-globaliste, meglio qualificabili come “progressiste”, e un altro mondo che vi si oppone suggerito da modelli tradizionalisti, ovvero di matrice “conservatrice”. In questo gioco delle opposizioni ecco che si colloca la missione della Chiesa di Roma delle cui contraddizioni sarebbe stato, quale primario condensatore emblematico, proprio Papa Francesco. Del resto, al di là delle considerazioni di circostanza che ne hanno esaltato gli aspetti più eminentemente lodevoli dell’operato pastorale, Papa Francesco è figura certamente controversa quanto ai modi di conseguire gli obiettivi del suo “magistero”. Elogiato, encomiato, osannato per le qualità evangeliche legate al ruolo del “buon pastore”, Bergoglio è stato per contro anche criticato, denigrato e perfino biasimato ai limiti dell’accusa di eresia. Sarebbe lecito, allora, ipotizzare nel ruolo di Papa Francesco, una certa dose di irrisolta ambiguità riconducibile proprio a quel fenomeno di polarizzazione ideologica che, tipica della moderna società, è venuta inevitabilmente ad inficiare la stessa “ecclesia” se non altro per via di una pretesa mondificazione progressista della propria spiritualità. Diversi i momenti sospetti della Chiesa di Bergoglio. Potremmo ricordarne alcuni tra i più significativi come: la insocievole socievolezza della convivenza con Papa Ratzinger, il caso della riammissione al sistema SWIFT dello IOR non appena eletto, la circostanza di essere il primo Papa gesuita della S. Sede, le sue aperture alle prospettive progressiste della società senza al contempo disdegnare né l’incontro con i vertici del capitalismo globalizzato (ricordiamo l’istituzione nel 2020 del Consiglio per un Capitalismo Inclusivo con il Vaticano), né con esponenti politici macchiatisi di crimini di guerra o di violazione dei Diritti Umani (è il caso dell’Azerbaijan). Ma l’elemento forse che con più evidenza esplicita la forte polarizzazione oggi presente nella Chiesa, e che si appunterebbe proprio nella figura di Bergoglio, è l’acerrima critica a lui rivolta da Monsignor Carlo Maria Viganò, già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti e scomunicato nel 2024 con la accusa di scisma. Viganò, avrebbe infatti accusato Papa Francesco non solo di eresia, per aver accettato di accedere al soglio pontificio nella consapevolezza della azione distruttiva della Chiesa che avrebbe operato, ma anche per aver tollerato la corruzione di prelati disapplicando le sanzioni che proprio Benedetto XVI aveva comminato. Ma è sul terreno del Concilio Vaticano II che Viganò spinge ancor più il suo affondo, e lo fa allorché rimprovera a Francesco il fatto di essersi concesso ad interpretazioni arbitrarie e tendenziose dei testi conciliari fino a travisarne i messaggi fondamentali dell’insegnamento cristiano.
Per contro, è sul terreno pastorale che invece l’opera di Bergoglio ha ottenuto il massimo riconoscimento. La prossimità ai più deboli, agli emarginati e ai poveri è indubbiamente l’aspetto più significativo della sua missione pontificale, come, parimenti, di altissimo valore etico e morale si è rivelata la condanna continua della guerra, del commercio delle armi e dell’uso iniquo delle ricchezze del Pianeta. Insomma, osservando lo spettro dei giudizi espressi sul conto della sua figura, non v’è dubbio come il ruolo svolto da Papa Francesco abbia rivelato una certa innegabile contraddittorietà. C’è chi lo ha visto a braccetto con Marx e chi a passeggiare con i Rothschild, chi lo avrebbe biasimato per aver favorito l’accoglienza indiscriminata dei migranti, chi invece lo avrebbe esaltato per aver intimato a tenere “giù le mani dall’Africa” quale condanna di un qualunque tentativo di aggressione neocolonialista.
Oggi, alla vigilia ormai del Conclave, e proprio alla luce di queste divergenti prospettazioni che si preannunciano per il nuovo Magistero ecclesiastico, la strada verso il soglio pontificio appare impervia e quanto mai irta di difficoltà. Sono in molti a richiamarsi all’opera evangelica di Bergoglio affinché essa venga ripresa e continuata dal suo successore. Ma sarebbero anche in molti ad auspicare un ritorno della Chiesa ai tradizionali suoi valori. Lo scontro sarebbe già in atto del resto e lo avrebbero dimostrato le recenti visite rese a Papa Francesco proprio in prossimità della sua fine, da Re Carlo III e dal JD Vance, Vice Presidente degli Stati Uniti. La dialettica politico-ideologica delineatasi tra le due sponde dell’Atlantico con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, si è infatti riverberata anche sul Vaticano accentuando una radicalizzazione tra una sua guida progressista, nelle orme di Francesco, e un suo rinnovamento in senso anti-globalista.
Nella prospettiva del Conclave, dunque, la scelta del successore di Pietro non potrà non risentire soltanto della polarizzazione delle correnti interne alla Curia – e in tale contesto incisivo sarà lo stato sociologico del Conclave, con riferimento sia alla provenienza geografica dei Cardinali elettori che alla loro prevalente maggioranza di nomina di Bergoglio – ma anche delle condizioni in cui verserebbe oggi la stessa Chiesa di Roma. Innegabile è, infatti, la crisi che investe ormai da tempo il Vaticano in termini di autorevolezza, identità e missione. Una crisi che si manifesterebbe come perdita di influenza causata dalle carenze vocazionali, dagli attacchi culturali ai valori tradizionalmente perseguiti come la famiglia, la procreazione e la bioetica, e dai gravi scandali registratisi nella gestione finanziaria, come anche a livello morale con gli abusi sessuali. In questo quadro, in cui la reintegrazione della moralità, la riaffermazione di un’etica finanziaria e il rinnovamento dogmatico-dottrinale dovranno riflettere i fondamentali del sistema valoriale tradizionale, accompagnando l’evoluzione della società, senza tuttavia travolgerne il senso più schiettamente cristiano, l’elezione del nuovo Pontefice non sarà facile esercizio curiale. Esso dovrà, alla luce delle polarizzazioni di cui la stessa Chiesa è oggi intrisa, puntare su una capacità degli elettori di fare virtuosa sintesi delle spinte contrapposte. Ovvero tra una tendenza alla continuità dell’opera di Bergoglio – con una preferenza forse per un Papa italiano – e una inversione del corso da lui intrapreso per porre un freno alla rivoluzione sinodale e alla minaccia di una destrutturazione della Chiesa così come oggi concepita.
I giochi di potere sono di certo già in atto e con anticipo rispetto alla data ufficiale dell’avvio del Conclave previsto per il 7 maggio. Ma dal generale assetto degli equilibri oggi constatabili forse una predizione, sebbene azzardata, sembrerebbe possibile: o la scelta si risolverà alle prime battute del Conclave o tarderà ad arrivare per via delle probabili fratturazioni verificabili sul fronte terzo-mondista a seguito di una innegabile radicalizzazione dello scontro ideologico oggi esistente a livello planetario.
Bruno Scapini