Induce a riflettere, e non senza sospetto di parzialità, la posizione assunta da taluni esponenti governativi nostrani che, in disprezzo della Corte Penale Internazionale, si concedono ad atteggiamenti indisponenti invitando Netanyahu a venire in visita in Italia nonostante che l’organo giurisdizionale dell’Aja abbia appena emesso nei suoi confronti, e verso il suo ex Ministro della Difesa Gallant, un mandato d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità. Non solo, ma con certo sgomento vediamo schierarsi sulla stessa linea di condotta, e con chiari intenti provocatori, anche altri leader europei, come se la Corte fosse un organo fantoccio e in quanto tale immeritevole di una qualunque considerazione e rispetto.
Da parte di questi personaggi non si manca del resto di esprimere giudizi diffamanti sul conto dell’organo giudiziario che verrebbe accusato ora di faziosità o di partigianeria, ora di essere politicizzato a favore di una parte a scapito dell’altra. Alcuni arriverebbero perfino a lamentare l’asserita equivalenza morale tra le accuse mosse agli esponenti israeliani e quelle riferibili ad Hamas – del pari oggetto di mandato d’arresto nelle persone dei suoi capi, probabilmente peraltro già uccisi nella guerra tuttora in corso –, mentre altri (come succede da noi in Italia), pur riconoscendo in principio l’autorevolezza della Corte si riservano tuttavia di esaminare le motivazioni degli atti con gli altri partner europei sfuggendo così alla responsabilità di una autonoma decisione sulla posizione da tenere nella circostanza.
Se tale scetticismo per la Corte Penale lo si potrebbe ammettere per i leader di Paesi come l’Ungheria o la Slovacchia – qualora il loro intento di screditare la Corte fosse riconducibile a un interesse di difesa nei confronti di Vladimir Putin, del pari oggetto nel 2023 di mandato d’arresto da parte dello stesso Giudice dell’Aja per delitti similari –, meno lo si comprenderebbe invece nel caso dei politici nostrani. Questi, convinti assertori di una guerra in Ucraina in difesa dall’aggressione russa, e sostenitori, altrettanto convinti, di una pace in Medio Oriente che rispetti il diritto alla difesa di Israele, abbandonando per contro alla sua libera discrezione il destino di un intero popolo, quello palestinese, dimostrano chiaramente la mancanza di una propria coerente visione optando in via preferenziale per un atteggiamento ondivago, sintomo di una instabilità di opinione, ma a sua volta sindrome di una subalternità decisionale a Washington e a Bruxelles da cui risultano cronicamente affetti.
Ma la titubanza dimostrata dai nostri governanti nel riconoscere la fondatezza dei mandati d’arresto per Netanyahu e Gallant non solo è indicativa di una chiara tendenziosità nel difendere la causa israeliana a costo perfino di screditare la Corte dell’Aja, ma è anche in contraddizione con quei principi di Diritto internazionale che tanto invece si pretende di rispettare e di far rispettare. Ma – sarebbe da aggiungere – unicamente quando è nel proprio tornaconto. Non dimentichiamo, infatti, che la Corte Penale Internazionale è nata a suo tempo per iniziativa italiana. Sulla scia dei fatti afferenti il noto – ma forse oggi dimenticato – sequestro dell’Achille Lauro nel lontano 1985, si è proceduto da parte italiana a proporre la creazione di una istanza giudiziaria internazionale che potesse giudicare dei crimini contro la guerra e l’umanità commessi da singoli individui. L’Italia è stata tra i primi Stati a ratificare con legge lo Statuto della Corte, e vi ha proceduto ben convinta al tempo della fondatezza di una tale iniziativa che avrebbe sicuramente contribuito allo sviluppo di una giustizia universalmente riconosciuta. Orbene, l’attuale incertezza non fa di certo onore al nostro Paese che, esitando sulla fondatezza di merito dei mandati, non solo discredita la Corte sul piano internazionale, esautorandola di fatto nei suoi poteri “ab initio” riconosciuti, ma contraddirebbe anche a se stesso violando quei principi di Diritto internazionale ai quali afferma per Costituzione di volersi doverosamente adeguare.
Del resto, se ben guardiamo, nulla sembrerebbe contestabile nelle decisioni testé assunte dalla Corte nell’emettere i mandati di arresto. Che ci sia un genocidio strisciante a Gaza lo sospetta già la stessa Corte Internazionale di Giustizia, che si attui una continua violazione della sovranità in Libano e in altri Stati del Medio Oriente è dimostrato dalle proteste degli stessi Stati vittime dell’aggressione israeliana, che non ci sia equivalenza tra l’atto del 7 ottobre 2023 ad opera di Hamas e la guerra condotta da Israele a titolo di rappresaglia contro i palestinesi è chiaramente comprovato dalla enorme disparità nel numero delle rispettive vittime, e dalla reiterata violazione delle Convenzioni internazionali dell’Aja del 1907 sul trattamento della popolazione nei territori occupati; una circostanza, questa, peraltro riconosciuta dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Deplorevole ci appare, dunque, la posizione dell’Italia. E ciò in quanto assunta, oltre ogni ragionevole dubbio, in spregio anche della stessa autonomia spettante alla nostra Magistratura. Su quale base giuridica, infatti, ci si permetterebbe di invitare in Italia, garantendone a parole l’impunità, una persona oggetto di mandato di arresto internazionale eseguibile in via immediata nel nostro Paese (per via dell’accettazione con legge della giurisdizione della Corte Penale), quando l’organo competente a dar seguito al mandato – il cui merito è insindacabile – non è l’esecutivo, bensì quello giudiziario?
Non è un tale comportamento allora indice di una deplorevole spavalderia, la stessa con la quale i nostri governanti, ossequiosi osservanti del pensiero unico imposto, dichiarano di voler cambiare l’Italia, senza però sapere esattamente in quale direzione farlo e, soprattutto, se per il suo bene e per quello del suo popolo?
Bruno Scapini