Non c’è dubbio. Israele sta cadendo nell’abominio. I più recenti accadimenti in Medio Oriente hanno, infatti, messo chiaramente in luce il disprezzo con cui il regime di Gerusalemme si muove e agisce nei confronti di chiunque tenti di ostacolare i suoi piani. Vittime questa volta della furia israeliana, addotta sempre per un preteso diritto alla propria difesa, sono addirittura le unità UNIFIL, le Forze di Interposizione dell’ONU dispiegate nel Libano meridionale.
Come se non bastassero gli eccidi indiscriminatamente commessi avverso la popolazione civile a Gaza e in Cisgiordania – di cui l’IDF, l’Esercito della Stella di David, si sta sempre più macchiando le mani colpendo tendopoli di sfollati, ospedali e centri della Croce Rossa – ora giunge anche la notizia dell’esistenza di un piano, cui Netanyahu e i suoi accoliti di Governo attenderebbero, inteso a bloccare ogni aiuto umanitario a Gaza al fine di affamare i miliziani di Hamas, ma al contempo anche la stessa popolazione civile. Un progetto infame, sarebbe questo, giustificato dall’obiettivo di costringere il popolo palestinese della Striscia ad un forzato esodo verso un “non-luogo” in cui estinguere la propria esistenza.
Ma la guerra che Israele sta conducendo non si limita più ormai a Gaza, ma si estende ben oltre i suoi confini, per investire la Cisgiordania, e ora perfino il Libano, con operazioni militari che si configurano come vere e proprie violazioni della sovranità di un altro Stato. La giustificazione è sempre la stessa: estirpare il terrorismo palestinese di Hamas e di Hezbollah ovunque esso si nasconda e a qualunque costo. Del resto, da quel 7 ottobre 2023, Netanyahu ne ha fatta di strada! Col sostegno militare e finanziario degli Stati Uniti – peraltro impegnati nei confronti dei palestinesi in una politica dai contorni ambigui e sleali (con una mano si offre il pane, e con l’altra si arma Israele) – il Primo Ministro israeliano è riuscito a trasformare una crisi in fondo localizzata in principio ai territori della Palestina storica, in una guerra regionale con ridondanze addirittura globali per via degli interessi strategici coinvolti. Da tale processo di crescente destabilizzazione due obiettivi di Israele sembrerebbero ora acquistare di consistenza e che i più recenti fatti avrebbero chiaramente fatto emergere: quello di cancellare qualunque ipotesi di creazione di uno Stato di Palestina, in quanto esito volutamente osteggiato da Gerusalemme, e l’altro di colpire l’Iran nel cuore, quale nemico acerrimo dello Stato ebraico, per indebolirne cronicamente le capacità militari di sviluppo del nucleare e la forza economica legata alle risorse energetiche. Uno sviluppo quest’ultimo, comunque, assai temibile per le conseguenze che potrebbe avere in quanto capace di tracimare in un conflitto di ben più ampio raggio fino a coinvolgere direttamente le stesse grandi potenze.
Ma tutto ciò non basta ancora a soddisfare l’ansia vendicativa di Gerusalemme. Ora Netanyahu lancia la pretesa acchè siano le forze dell’UNIFIL ad evacuare. Col pretesto che esse servano la causa di Hezbollah, quali “scudi umani” usati dai suoi miliziani, l’IDF spara e colpisce le unità dell’ONU con l’obiettivo di sgombrare il Libano meridionale da inutili presenze e portare l’affondo bellico ovunque necessario in territorio libanese. L’attacco all’UNIFIL denota, comunque, a ben guardare, un tratto riprovevole ma costante della condotta israeliana: il profondo disprezzo non solo per i palestinesi (tacciati dal Ministro della Difesa Gallant di essere “animali umani”), ma anche per le Nazioni Unite e per la stessa Comunità internazionale che esse rappresentano. Colpire le postazioni UNIFIL con le armi è una chiara violazione della Carta dell’ONU, venendo una tale condotta ad integrare tanto gli estremi di un reato umanitario, quanto quelli di un crimine di guerra. Ma l’Occidente tace. Nella sua accidiosa ignavia esso si limita a condannare gli attacchi israeliani qualificandoli come “inaccettabili”, ma si astiene di fatto dall’intraprendere un’azione per indurre Israele a desistere da quello che apertamente si starebbe realizzando: un “eccidio di massa”. Un popolo intero è, infatti, in sofferenza. Ai limiti della sopportazione esistenziale, e a rischio perfino di estinzione se dovesse continuare l’eccidio selettivo delle più giovani generazioni. Oltre ai 16.500 bambini uccisi fino ad oggi dall’inizio della guerra – ed il loro numero è purtroppo in continua crescita – ben oltre 10.000 mancherebbero all’appello perché scomparsi o dispersi senza lasciare alcuna traccia di sé.
Israele ha oggi in questa guerra rivelato il suo vero volto. Da Paese creato sulla carta per garantire agli ebrei del mondo un “focolare domestico” in una prospettiva di pacifica convivenza con gli altri popoli della regione (così recita la nota Dichiarazione Balfour del 1917 all’origine del “caso Palestina”), Israele ha assunto oggi i tratti disdicevoli di un usurpatore di terre che sottrae con ogni mezzo, con la forza o con l’inganno non importa, a coloro che ne detengono legittimamente il possesso.
A comprova di ciò basterebbe osservare come il territorio costituente la Palestina storica, quella mandataria sotto il Governo britannico, si sia progressivamente ristretto nel tempo riducendosi al 44% nel 1947, al 22% nel 1967 e al 12% al tempo attuale. Domandiamoci allora: di quale Stato di Palestina possiamo oggi parlare? Complice l’America e conniventi i favoreggiatori europei al suo traino, non starebbe Israele realizzando ora, ponendosi dalla parte sbagliata della Storia, un genocidio strisciante, drammatico preludio di una altrettanto strisciante annessione di spazi, grande sogno biblico di un’unica terra che si estende dall’Eufrate al Nilo? Riflettiamoci.
Bruno Scapini