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Voto all’estero e referendum: il problema non sono gli italiani, ma vent’anni di inerzia politica 

Redazione by Redazione
27 Dicembre 2025
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Voto all’estero e referendum: il problema non sono gli italiani, ma vent’anni di inerzia politica 
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di Flavio Bellinato

Le recenti dichiarazioni di Antonio Di Pietro sul voto degli italiani all’estero hanno riacceso un dibattito che, in realtà, non è mai stato risolto. Un dibattito antico, noto e documentato, che la politica italiana conosce da almeno vent’anni, ma che torna ciclicamente alla ribalta solo quando diventa funzionale a una contingenza elettorale.

Il contesto è quello del referendum confermativo sulla riforma della giustizia – separazione delle carriere e doppio CSM – che dovrà essere “celebrato” entro pochi mesi. Sarà un referendum senza quorum, deciso esclusivamente dalla maggioranza dei voti validi espressi. Ed è proprio qui che il voto estero torna ad assumere un peso determinante.

Durante un’iniziativa pubblica a Napoli, Di Pietro ha lanciato un allarme durissimo: «Qui non stiamo parlando di elezioni parlamentari, dove una decina di parlamentari non sposta le maggioranze. Qui è un Sì o un No». E ancora: «Quei due milioni di voti possono spostare la percentuale e portare a una vittoria truccata».

Secondo l’ex magistrato, «ci sono gruppi organizzati appartenenti a specifici partiti politici e sindacati che, con questo sistema del voto all’estero, stanno già organizzando le liste, le schede, le buste».

Denunce gravi, che ovviamente meritano attenzione. Ma è proprio qui che occorre distinguere tra la necessità di una riforma seria e il rischio di una narrazione pericolosa, nella quale il connazionale all’estero rischia di perdere un diritto per il modo in cui la politica, nel suo complesso, ha affrontato male questo specifico tema nel corso degli ultimi vent’anni.

Il voto per corrispondenza, così com’è oggi, non funziona. È vulnerabile, disomogeneo, spesso inefficiente. Lo sanno i cittadini, lo sanno i Comitati degli Italiani all’Estero (Com.It.Es.), lo sa il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), lo sanno i Consolati, lo sa la politica e lo sa anche l’opinione pubblica in generale.

Tuttavia, trasformare il voto degli italiani all’estero in un problema da gestire in emergenza, a ridosso del voto, è potenzialmente sbagliato. Lo stesso Di Pietro propone una soluzione drastica: «Si applica al referendum lo stesso metodo di voto che si applica alle elezioni europee», ovvero il voto in presenza presso consolati e ambasciate.

Una proposta che, però, appare eccessivamente semplicistica, se si considerano le distanze geografiche enormi di molte circoscrizioni extraeuropee, dove raggiungere un consolato può significare viaggi di centinaia o migliaia di chilometri.

C’è poi un dato storico che non può essere ignorato: il primo voto all’estero, introdotto con la legge Tremaglia, fu decisivo proprio per la vittoria della coalizione di cui Di Pietro faceva parte. Quel sistema di voto, oggi messo sotto accusa, è lo stesso che allora venne difeso, valorizzato e legittimato politicamente.

Quella che mi piace definire la “21ª Regione” italiana, seconda solo alla Lombardia per numero di cittadini residenti, continua inoltre a essere sottorappresentata in Parlamento, con un numero di eletti non proporzionale alla platea complessiva. È una creatura della politica italiana, non un’anomalia generata dagli elettori.

Il punto, dunque, non è ridurre le possibilità di voto degli italiani all’estero, ma riformare il sistema seriamente, con tempo, metodo e responsabilità. Non all’ultimo minuto, dimenticando che per oltre vent’anni più di un attore politico ha preferito criticare a convenienza, senza intervenire in modo strutturale quando ce n’era bisogno.

Con un referendum così importante alle porte, è legittimo e auspicabile che nei diversi territori si creino strumenti di controllo indipendenti, osservatori di circoscrizione, comitati ad hoc e iniziative civiche volte a vigilare sulla trasparenza delle operazioni di voto (come lo stesso Di Pietro sta annunciando). Su questo punto, tutti i cittadini onesti non possono che essere d’accordo.

Dopo vent’anni di immobilismo, la politica può portare avanti riforme improvvisate a ridosso del voto. Ne ha la facoltà. Però qualsiasi decisione presa con fretta e senza valutarne le conseguenze a livello logistico per elettori e seggi, ha i suoi svantaggi. In questo caso, quanto propone Di Pietro, rischia di lasciare moltissimi connazionali senza possibilità di poter votare.

Il problema non sono gli italiani all’estero. Il problema è chi, da vent’anni, ha scelto di non risolvere l’annosa questione del sistema di voto all’estero.

Flavio Bellinato – Italiani Oltreconfine

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Comments 1

  1. MARCOULPIO says:
    9 ore ago

    Caro Signor Bellinato, la soluzione è una sola: abolire il voto all’estero. Altre soluzioni sarebbero soltanto paliativi. Se qualcuno facesse una indagine seria, si scoprirebbe che una piccolissima parte degli italiani all’estero, forse il 5% è interessata alla vita politico-sociale dell’Italia, senza parlare poi delletasse che nessuno paga in Italia.

    Rispondi

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