di Fabio Porta
FONTE MERIDIANO ITALIA TV – L’8 agosto 1956, la piccola località belga di Marcinelle si tinse di nero. Un incendio nella miniera di Bois du Cazier trasformò un ordinario giorno di lavoro in una catastrofe destinata a segnare la memoria collettiva dell’Europa e del mondo. Duecentosessantadue minatori, di cui 136 italiani, persero la vita nei cunicoli avvelenati dal fumo e dalla negligenza. Quell’evento fu molto più che dolore: diventò un simbolo universale del prezzo altissimo che spesso pagano i lavoratori migranti, trasformando la tragedia personale di centinaia di famiglie in una denuncia globale contro l’insicurezza e lo sfruttamento.
Dopo Marcinelle: una lezione troppo spesso ignorata
Il secondo dopoguerra vide l’Europa affamata di carbone e acciaio: le macerie lasciate dalla guerra chiedevano di essere ricostruite con il lavoro delle braccia più umili. L’Italia stipulò accordi per inviare i propri uomini nelle miniere belghe, dando linfa alla ripresa ma anche esponendo i propri cittadini ai rischi peggiori, spesso in nome dell’economia e della necessità. La tragedia di Marcinelle toccò le coscienze tanto che, con una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri il 1° dicembre 2001, venne istituita la “Giornata del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo” da celebrarsi l’8 agosto di ogni anno: non come semplice memoria del lutto, ma come grido potente per ricordare che la tutela della vita dev’essere il primo pilastro di ogni società che voglia chiamarsi civile.

Eppure, ancora oggi, quella lezione resta troppo spesso inascoltata. Nel 2025, la sicurezza sul lavoro è, in tutto il mondo, una sfida irrisolta. Secondo dati aggiornati di OMS e ILO, ogni anno perdono la vita circa 140.000 lavoratori per incidenti professionali o malattie correlate all’attività lavorativa. Milioni subiscono infortuni gravi, lasciando un costo umano, sociale ed economico straziante.
Sicurezza: tra diritti conquistati e nuove precarietà
Gli incidenti mortali diminuiscono, ma aumentano i costi delle cure e dei risarcimenti: basti pensare che negli Stati Uniti i danni per infortuni lavorativi hanno superato i 58 miliardi di dollari solo nel 2022, mentre, nonostante i progressi tecnologici, gli incidenti più gravi spesso coinvolgono categorie vulnerabili come migranti o lavoratori precari, costretti ad accettare condizioni di rischio altissime pur di lavorare.
Nei paesi del Golfo, e in altri grandi centri di attrazione per la manodopera straniera come Arabia Saudita o Qatar – teatro dei megaprogetti sportivi internazionali – le morti bianche aumentano, molte delle quali non vengono nemmeno ufficialmente riconosciute come infortuni, lasciando le famiglie senza compensazioni, senza giustizia e senza voce. Dietro ogni statistica c’è un nome, una storia, una famiglia spezzata.
La svolta normativa internazionale: da Marcinelle all’era delle direttive
Dopo Marcinelle, la High Authority della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio iniziò ad affrontare sistematicamente la questione sicurezza per i lavoratori, gettando le basi per una tutela condivisa a livello europeo. Oggi, più di venti direttive specialisticheregolano i diversi settori nei paesi UE, contribuendo negli anni a una rilevante diminuzione degli incidenti mortali. Ma permangono gravi lacune nei settori più precari e fra i lavoratori stranieri.
L’impatto della memoria di Marcinelle travalica l’Europa. Le grandi organizzazioni internazionali come l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) hanno trasformato il dolore di quei giorni in principi guida, convenzioni e raccomandazioni che impongono agli Stati controlli periodici, formazione obbligatoria, prevenzione attiva e trasparenza. La raccomandazione n. 205 del 2017 ribadisce che il lavoro dignitoso è l’unico antidoto efficace a tragedie simili – un principio universale, oggi più urgente che mai.
Globalizzazione, migrazioni e nuove frontiere del rischio
Oggi, di fronte alla globalizzazione, la sfida della sicurezza sul lavoro assume nuove, complesse dimensioni. Con oltre 281 milioni di migranti internazionali, molti dei quali impiegati nei lavori più pericolosi e meno tutelati, aumentano i rischi di sfruttamento e incidenti. In America Latina lavoratori migranti – spesso invisibili – animano miniere, costruzioni e grandi piantagioni; eppure, centinaia di morti ogni anno rimangono numeri muti, senza che la loro sorte muova l’attenzione dell’opinione pubblica.
Il fenomeno non riguarda solo i migranti del Sud del mondo. Anche nei paesi occidentali, le nuove forme del lavoro, tra automazione, esternalizzazione e gig economy, espongono a pericoli nuovi e meno visibili: stress, isolamento, malattie correlate alla digitalizzazione e alla precarietà. La grande scommessa è riuscire a garantire, a chiunque lavori ovunque – in una miniera, davanti a un computer, in un campo, in fabbrica o su un’impalcatura – il diritto inalienabile alla vita e alla salute.
Un’eredità viva che chiede azione
Marcinelle non è solo il ricordo di un dolore antico. È un faro per il presente e per il futuro: ci ricorda che dietro ogni progresso sociale ed economico si cela la responsabilità di non dimenticare mai la dignità umana. Trasformare la memoria in azioni concrete – ispezioni, formazione, controlli, cultura della prevenzione e della trasparenza – è il modo migliore per onorare chi ha pagato il prezzo più alto.
Oggi, come allora, la vera modernità passa dalla capacità di costruire un lavoro sicuro, perché il valore della vita non conosce confini, né confini nazionali né barriere di etnia, provenienza o condizione. Solo così, la tragedia di Marcinelle potrà continuare a insegnarci, e non a ripetersi.
Fabio Porta – Vice Presidente del Comitato Permanete sugli Italiani nel Mondo della Camera dei Deputati