Diplomatico di lungo corso, l’Ambasciatore argentino Marcelo Martín Giusto, da pochi mesi a Roma, ha già catturato su di sé l’attenzione dei media per i suoi modi raffinati e gentili. Statista acuto, dal carattere empatico e solare, già Console Generale a Miami, è arrivato nel Bel Paese da Istanbul, dove aveva svolto le sue funzioni diplomatiche in qualità di Console Generale.
“Sono stato catturato dalla magia della carriera diplomatica proprio guardando un film italiano quando ero giovanissimo” ama ricordare oggi, aggiungendo: “essere qui è come il culmine di un processo”. Un cerchio che si chiude, dunque, come un segno del destino, dopo ben 43 anni, contrassegnati da tantissimi incarichi di grande responsabilità ricoperti a Buenos Aires, al Ministero degli Esteri, ed esperienze in giro per il mondo, New York su tutte, e prima ancora nelle Ambasciate di Santiago e Bruxelles.
Nove anni fa anche un’altra esperienza in Italia, come responsabile della costruzione del Padiglione dell’Argentina, in occasione dell’Expo di Milano nel 2015.
Eccellenza, cosa rappresenta per lei l’Italia? “L’Italia rappresenta per me anzitutto le radici dei miei antenati, ho tante domande e una grande curiosità che spero di poter soddisfare durante il soggiorno legato alla mia Missione. Ma è anche ovviamente sinonimo di bellezza, di eccellenza in tanti ambiti, dall’alta tecnologia al design e, soprattutto, la culla di una civiltà e di una religione. Una fonte di ispirazione continua, capace di dare significato alla vita. Un Paese sempre in movimento, inquieto, con un dinamismo proprio e una ricca diversità, sociale e regionale”.
Facile dunque intuire quale sia stata la sua emozione nel presentare le lettere credenziali al Presidente della Repubblica Mattarella? “È stato per me un momento decisamente speciale. L’ho vissuto come il culmine di un processo, ora non ho alcuna ambizione di occupare nuove posizioni all’estero. Curiosamente, il mio percorso è cominciato proprio grazie a un film italiano, che vidi da bambino: “Incompreso” di Luigi Comencini. Quella pellicola, in pratica, rappresentò il mio primo contatto con la carriera diplomatica e la sua magia. Come sapete, si tratta di un film drammatico che racconta, tra le altre cose, la storia di un ragazzo, il cui padre, rimasto vedovo, era Console britannico a Firenze. Per me fu di grande ispirazione, ricordo il film come un punto di partenza, l’inizio della mia vocazione a intraprendere quello che poi sarebbe diventato il mio lavoro. E l’Italia, così, è stata fin da subito molto presente nella mia vita”.
Di cosa avete parlato nel breve colloquio intrattenuto per l’occasione con il Presidente? “Avere la possibilità di incontrare personalmente il Presidente Mattarella è stato per me decisamente toccante. Sono rimasto colpito dalla sua cordialità, dalla sua serenità e dalla sua competenza. Abbiamo parlato con disinvoltura delle relazioni che uniscono i nostri due Paesi, che più che legami storici mantengono nel tempo vere e proprie connessioni viscerali. Nell’occasione, ho sottolineato al Presidente che più del 60% degli argentini porta nel proprio DNA una genetica italiana, e che io ne sono la prova. Abbiamo discusso poi dell’importanza culturale dell’Italia in Argentina, che rappresenta un serbatoio della cultura del Bel Paese nel mondo, del ruolo delle Istituzioni italiane in decine di paesi argentini nei quali, sulla piazza principale, si ergono magnifici edifici sedi, in molti casi ancora oggi, di circoli sociali italiani in grado di riunire la comunità con scopi culturali e ricreativi. Il Presidente Mattarella ha fatto riferimento anche all’importanza della cooperazione e alla sfida di accrescere questa “interconnessione” che ci unisce nei settori più diversi, con particolare riferimento ai collegamenti esistenti nell’industria satellitare. Da parte mia, ho espresso la possibilità di promuovere scambi in nuovi ambiti nei settori legati all’intelligenza artificiale, ai servizi basati sulla conoscenza e alle nuove tecnologie, settori di nicchia di particolare interesse”.
Relazioni, dunque, solidissime nel tempo. Proviamo a definirle con qualche aggettivo…“Intense, vibranti, avvolgenti e stimolanti. Come detto, c’è una forte connessione tra entrambe le comunità, il che non è usuale. Si tratta però di un rapporto che io definisco “completo-incompleto”. Sta a noi completarlo, dargli nuovi contenuti, con nuovi ambiti di interconnessione, e rafforzare ove opportuno ciò che già esiste. Le relazioni bilaterali hanno in ogni caso basi solide, con un ottimo potenziale di approfondimento ed espansione dei legami in tutti i settori”.
C’è un aneddoto che la lega in qualche modo al nostro Paese che le andrebbe di raccontare? “Sì – ride -. Da giovane cantavo e suonavo la chitarra e facevo una scenetta comica e dicevo di essermi laureato all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma, e che ero appena arrivato da lì”.
Quali sono le sue prime impressioni su Roma? “Roma è una città affascinante, accattivante, unica, anche se va compresa e amata in silenzio perché ogni commento aggiuntivo potrebbe essere superfluo”.
A proposito di Italia e Argentina, impossibile non pensare al calcio. Lei è tifoso di una squadra in particolare? “Sono un tifoso del Racing Club di Avellaneda in Argentina, che fra l’altro ha avuto tra le sue fila diversi giocatori discendenti di italiani, come Basile, Perfumo, Corbatta e Maschio. Non ho ancora deciso invece per quale squadra locale tifare”.
Cosa pensa, in generale, della politica italiana? “È un sistema che, con le sue particolarità e molteplicità di linee di pensiero, trova un certo ordine che gli permette di avanzare”.
Qual è in assoluto il suo ricordo più bello da diplomatico? “Ho decine di ricordi di diverso tipo, colore e forma. Ma forse quello più bello è legato al giorno in cui entrai all’Istituto per il Servizio Estero della Nazione, che è la nostra Accademia Diplomatica, dopo due mesi di esami durissimi. Mi sentivo piuttosto esausto per la fatica, ma molto contento per il risultato raggiunto. In quel momento provato una grande sensazione di pace che oggi cerco di rivivere nei momenti più difficili”.
E il più brutto? “Sicuramente è legato al 2 maggio 1982, giorno dell’affondamento dell’incrociatore ARA General Belgrano, durante la Guerra delle Malvinas. Al tempo ero un giovane Terzo Segretario d’Ambasciata e lavoravo nel Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri. La mia scrivania, come assistente dell’allora Ministro (proprio a causa della guerra, i giovani diplomatici svolgevamo compiti di segreteria presso il Ministero) si trovava nella stanza accanto al suo ufficio. Erano le ore 17, ero solo e vennero dall’ufficio stampa per dare la notizia del naufragio, notizia che ho dovuto comunicare. In sintonia con la tristezza della notizia, il cielo sopra Buenos Aires era assolutamente nero e si preparava un temporale”.
A proposito di ricordi, ogni anno Gazzetta Diplomatica dedica il suo Premio al compianto Ambasciatore Giovanni Jannuzzi, da sempre molto legato all’Argentina e, soprattutto, alla Patagonia. So che lei ha avuto modo di conoscerlo personalmente. “Sì, è vero. Ho conosciuto l’Ambasciatore Jannuzzi a Buenos Aires e poi ho continuato a vederlo a Bruxelles dove ero di stanza e dove lui e Anne, sua moglie belga, si recavano spesso. Lo ricordo come un Ambasciatore d’eccellenza, è stato davvero un grande diplomatico e un esemplare rappresentante dell’Italia”.
Intervista di Marco Finelli
Professionale, serio, simpatico e gentile,
Gli Argentini abbiamo un nuovo Ambasciatore in Italia !
Auguri e buon lavoro