“Sono nata a Roma, e nonostante viva da quasi 29 anni negli States, mi ritengo romanissima e italianissima”: Maria Bina Palmisano, detta Maby, Presidente del Comites di Washington DC da oltre due anni, ci accoglie così, con un ammonimento: “Non chiamatemi Presidente, non voglio questo distacco”. Da sempre legata e attiva per e con la comunità italiana, come dimostra la partecipazione continua a due organizzazioni di Italiani all’estero, le “DIVE” e “Italians in DC” (di cui è attualmente Presidente), è divenuta uno dei punti di riferimento per i connazionali, che si rivolgono a lei per i temi più vari.
Una laurea in Sociologia a “La Sapienza” di Roma, alla quale ha unito studi di statistica in Inghilterra, e un Ph.D. in “Sociologia e Genere” all’Università del Maryland, Maby Palmisano è arrivata a Houston nel 1995 con una borsa di studio per approfondire gli studi di sociologia militare alla Texas A&M. Poi la scelta di vita di rimanere negli Stati Uniti. Oggi, come sociologa, si occupa di monitoraggio, valutazione, e apprendimento di progetti di sviluppo, finanziati, fra l’altro, dal governo americano, Dipartimento di Stato USA, USAID, Banca Mondiale, Gates Foundation e DFIF.
Sue grandi passioni sono, come ama dire, il figlio Alessio (nato in America), la lettura, il cinema, lo sport, ma soprattutto l’Italia, in particolare la divulgazione e la promozione di qualsiasi aspetto della cultura, della storia e dell’arte del Bel Paese.
Dottoressa Palmisano, a suo avviso, come si è integrata ai giorni nostri la comunità italiana a Washington? “La comunità italiana a Washington, a mio avviso, oggi è abbastanza integrata. Lo dico a fronte delle mia esperienza in qualità di Presidente del Comites, carica che ricopro dal dicembre del 2021, ma anche di Presidente di una Associazione che si chiama “Italians in Washington DC”. Dico “abbastanza” perché, se è vero che alcuni connazionali cercano l’integrazione con gli altri italiani, per altri non è proprio così, anzi. Per quanto ci riguarda, Comites e Italians in DC fanno il possibile affinché qui la nostra piccola comunità resti unita. Washington è piccola, gli italiani iscritti all’AIRE sono quasi diecimila, un numero imparagonabile con quello ad esempio di New York, dove i connazionali sono circa centomila. Generalmente, riscontriamo una partecipazione molto bassa, dovuta anche al fatto che qui la nostra comunità è molto mobile. Solitamente agli eventi vedo al massimo 70-80 persone, alle scorse elezioni del Comites, per esempio, ha partecipato solo il 3% degli aventi diritto. Faremo il possibile per invertire questo trend”.
Possiamo tracciare un profilo dell’italiano che vive lì? “Sì, e io lo rappresento pienamente. Washington ha molto poco della prima e della seconda immigrazione, qui è difficile trovare discendenti italoamericani di persone emigrate dalla Penisola negli anni ‘50, o durante le due guerre mondiali. Il profilo di chi viene a Washington è generalmente quello di una persona con un alto livello di istruzione e un livello socio economico medio-alto. Professionisti, dottorandi, ricercatori, a volte anche studenti, impegnati per lo più in strutture internazionali, di ricerca scientifica, o nelle Università. Un profilo insomma molto diverso da chi oggi opta per Chicago, Detroit o New York, dove le categorie sono molto più varie, e sono presenti tantissimi discendenti degli italiani arrivati durante le prime ondate di migrazione, più o meno integrati con le persone di nuova immigrazione”.
Come definirebbe oggi, in generale, i rapporti del Comites con le rappresentanze diplomatico-consolari? “Per quanto mi riguarda, ho un ottimo rapporto con l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, alla quale ho addirittura (scherzando!) proposto di aprire un ufficio Comites in Ambasciata, perché almeno una volta ogni due settimane sono lì per incontri. I rapporti sono molto buoni anche con il Capo della Cancelleria, Massimiliano Gori, mio diretto referente, così come con la Prima Console, Michela Carboniero. Ci ascoltano e ci aiutano, capiscono che siamo un ponte fra diplomazia e comunità. Detto questo, devo però renderla partecipe di un sondaggio appena effettuato: i nostri connazionali, interpellati su cosa pensano dei servizi consolari, hanno evidenziato in larga parte di essere scontenti, anche perché si imbattono spesso in una comunicazione inadeguata e un’organizzazione lacunosa. Tempo fa, per correre ai ripari, è stato istituito il servizio “fast it”, attraverso il quale ora è possibile prendere appuntamento per Passaporti, Carte d’Identità e quant’altro. Tuttavia oggi molti, soprattutto gli anziani “poco educati digitalmente”, fanno fatica ad accedere al portale e purtroppo non riescono quasi mai a mettersi in contatto telefonicamente con gli uffici preposti. Quando cerchiamo di intercedere per loro, solitamente poi vengono aiutati, ma un sistema efficiente a mio avviso non dovrebbe essere organizzato in questo modo. Un problema grande a Washington è rappresentato dal fatto che, a differenza degli altri Stati, gli uffici consolari si trovano proprio all’interno dell’Ambasciata. Le lascio immaginare quanto qui possa essere diverso l’accesso agli stessi. Soprattutto per motivi di sicurezza, non si può entrare senza un appuntamento, bussando semplicemente alla porta. E ora che per legge l’iscrizione all’AIRE è diventata obbligatoria (altrimenti si incorrerebbe in alte sanzioni pecuniarie), il numero degli italiani crescerà, a mio avviso diventa assolutamente necessario implementare il personale. Non si può servire una popolazione di diecimila unità con meno di quattro persone. Consideri che al momento occorrono in media sei mesi come media nazionale per avere un appuntamento, un po’ come a Roma, ma con la differenza che nella Capitale vivono milioni di persone, qui poco meno di uno”.
Avete punti di contatto con il mondo della politica? “A differenza di molti altri Comites negli Stati Uniti e non solo, il nostro non ha una bandiera politica esplicita, e devo dirle che così andiamo avanti bene. Nei Comites, quando ci sono membri di partiti diversi, si tende spesso a litigare anche per cose futili. Chiaramente, sovente ci incontriamo con i parlamentari eletti da noi, i deputati Christian Diego Di Sanzo e Andrea Di Giuseppe, e ho avuto modo di incontrare anche la Presidente Meloni in visita a Washington. Insomma, la politica fa parte della nostra vita, ma non detta il nostro modus operandi”.
Siete in contatto con altri Comites? “I Comites negli Stati Uniti sono in tutto dieci, a capo dei quali abbiamo un coordinatore che fa riferimento al CGIE, che a sua volta dipende dal Ministero degli Affari Esteri. Essendo stata eletta vice coordinatrice, chiaramente ho contatti con tutti gli altri qui negli States. Mi è capitato poi di conoscere personalmente Presidenti di altri Comites, come ad esempio il collega di Londra. Deve sapere che il CGIE è diviso in circoscrizioni, e gli Stati Uniti sono nella stessa di Canada e Sudafrica, tuttavia ci siamo incontrati una volta sola, e oggi non abbiamo nessun rapporto con gli altri. Questo francamente mi dispiace molto, perché a mio avviso il CGIE dovrebbe permettere a noi Comites di una medesima circoscrizione di avere contatti, incoraggiando sinergie. In definitiva, i problemi sono gli stessi per tutti e sarebbe interessante un confronto. Io sarei anche per creare iniziative comuni, ma oggi ognuno purtroppo sembra guardare piuttosto solo al suo orticello”.
In generale, stilando un bilancio, come valuta la sua esperienza da Presidente? “Assolutamente positiva, il Comites a Washington ritengo sia cresciuto molto, e ora conosco e capisco molto di più le esigenze degli italiani. Sono molto soddisfatta di aver allargato il panorama delle iniziative in loco e delle opportunità, e per proseguire su questa strada sono certa che mi ricandiderò fra due anni. In definitiva, mi ritengo entusiasta per quanto fatto, anche se gli ostacoli sono stati, sono e saranno tanti”.
Se le chiedessi di selezionare il suo ricordo più bello? “Non ne ho uno specifico, ma posso dirle che ogni volta che organizzo un evento, mi riempiono di gioia i messaggi dei connazionali che mi ringraziano con frasi tipo “grazie mille, mi è servito”, “ho imparato tanto”, “verrò più spesso ai vostri eventi”, “seguirò la vostra newsletter” e “lo diro ad altre persone”. Momenti belli li ho vissuti anche in Residenza, nelle numerose opportunità di confronto con l’Ambasciatrice Zappia. Mi lusinga aver incontrato da Presidente Comites le Commisisioni parlamentari di Camera e Senato in visita a Washington in veste ufficiale, interessate a ciò facciamo. Segnali questi che mi danno speranza sul fatto che siamo ascoltati”.
E quello più brutto? “Non ho ricordi brutti, giusto le trasferisco l’amara constatazione che i nostri finanziamenti sono assolutamente inadeguati. Pensi, mi è stato appena annunciato che, previo controllo della rendicontazione presentata più di un mese fa, dovremmo ricevere per le nostre attività 3800 euro. Mi domando, con 4.000 dollari oggi che si fa? Intanto registro che altri Comites negli Stati Uniti ricevono di più, e non capisco perché. Poi le racconto un fatto: da Presidenti siamo obbligati a incontrarci almeno due volte l’anno qui negli Stati Uniti, e uno dei meeting in genere salta proprio perché i budget sono limitati. Consideri poi che spesso queste risorse, così modeste, arrivano anche in grave ritardo. Noi programmiamo attività da gennaio, e ben che vada i primi fondi li vediamo ad agosto. Come se ciò non bastasse, l’anno scorso il Ministero aveva deciso che, con un tesoretto in giacenza, avremmo avuto un bonus di 1500 dollari, ma ne abbiamo avuto notizia solo il 20 dicembre e, da regolamento, avremmo dovuto spendere questa cifra entro la fine dell’anno fiscale. Per ovviare, siamo costretti a cercare sponsorizzazioni private, ma è difficile interloquire con Aziende e Privati senza aiuto dell’Ambasciata che non può passarci i contatti dei referenti per motivi di privacy”.
Quali sono le prossime attività in programma? “Archiviato l’evento organizzato venerdì scorso, ideato per mettere a confronto sui nostri temi funzionari, Parlamentari, CGIE, esperti quali Avvocati e Fiscalisti e non ultimo il Patronato sulle nostre principali tematiche, fortemente voluto per rendere più coesa la nostra Comunità, nel prossimo futuro ci concentreremo su una “Conferenza sulle radici”, che aiuterà noi, ma soprattutto gli italoamericani sul nostro territorio, a capire chi siamo e da dove veniamo, nell’anno del turismo delle radici. Fra i nostri principali eventi segnalo il mini Cinefestival primaverile ed autunnale, pillole (brevi seminari mensili) per far conoscere il design italiano qui negli States, e rappresentazioni teatrali e Bookclub. Prossimamente assisteremo a un film sulla Santa Madre Francesca Cabrini, protettrice e patrona di noi immigrati, al termine del quale condivideremo le nostre riflessioni in una conversazione”.
E’ veramente un piacere lavorare con lei Maby…Da Veronica😊