Sorprende la notizia appena apparsa nei media di un ulteriore canale diplomatico che Trump avrebbe riservato all’Italia.
Oltre alla via ufficiale rappresentata dalla nomina del nuovo Ambasciatore,Tilman Fertitta, in sostituzione di Mark Jackell – in procinto di lasciare definitivamente Palazzo Margherita, sede della Rappresentanza diplomatica USA a Roma – Trump avrebbe nominato Paolo Zampolli, imprenditore italiano trasferitosi negli Stati Uniti circa una trentina di anni fa, quale “inviato speciale” per l’Italia. Una decisione, questa, che di fatto sembrerebbe intesa a istituire un secondo canale diplomatico parallelamente a quello tradizionale. Un passo di certo inatteso, considerato che ad oggi l’Amministrazione Trump avrebbe previsto “inviati speciali” unicamente per determinate aree di crisi (Keith Kellogg per l’Ucraina e la Russia, Steve Witkoff per Gaza e Medio Oriente e Richard Grenell per il Venezuela).
Cosa starebbe, dunque, a significare la nomina di Zampolli? Che l’Italia sia inclusa dall’Amministrazione americana nella lista dei Paesi a rischio? O al contrario, visti i segni prodromici di un più intenso rapporto fiduciario avviato dalla nostra Premier Meloni, che il “Tycoon” intenda con questa mossa riconoscere all’Italia una posizione privilegiata nel dialogo euro-atlantico? Entrambe le ipotesi, a ben guardare, sembrerebbero plausibili, anche se non equivalenti nel loro portato politico.
Di fronte ad un’Europa immota nella sua costanza a sostenere protervamente le vecchie posizioni assunte sotto l’Amministrazione Biden, Trump avrebbe trovato proprio nel “trasformismo” politico dell’attuale Governo italiano una sponda su cui poter contare nel pretendere da Bruxelles quel “ravvedimento operoso” auspicato dalla Casa Bianca ed esplicitato recentemente, e con grafico realismo, da J.D. Vance alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza. Un rinsavimento si richiederebbe, infatti, da Trump all’Europa; e ciò al fine di evitare un suo ulteriore arretramento sul terreno della democrazia il cui effetto porterebbe gli europei a disallinearsi pericolosamente dalla nuova rotta ormai impressa da Washington al corso politico euro-atlantico.
Ma a questo punto sembrerebbe lecito domandarsi: potrà mai la nostra Premier svolgere in maniera efficace e pro-attiva quel ruolo di interlocuzione che Trump si aspetterebbe dall’Italia? O, per contro, la nostra Premier troverebbe insormontabili ostacoli – cosa ben più probabile – a guadagnarsi credibilità e autorevolezza per un “mandato” che le consolidate leadership comunitarie stenterebbero a riconoscerle e che giudicherebbero assai duro da digerire per via, non solo della loro consolidata dispotica arroganza, ma anche a causa della stretta dipendenza delle stesse da quelle elite liberal-globaliste che proprio Trump starebbe combattendo sul suolo americano?
Se, quindi scartiamo l’ipotesi – come realisticamente sembrerebbe fondato – di un privilegiato ruolo della Meloni nel dialogo euro-atlantico, l’altra risposta sembrerebbe più credibile, ovvero quella che, considerando l’Italia un laboratorio di sperimentazione politica – in cui lo scontro tra destra e sinistra potrebbe in proiezione essere superato dalla crescente ascesa delle spinte nazional-sovraniste – indurrebbe a prefigurare un’attenzione maggiore da parte americana per le prossime dinamiche politiche del nostro Paese. In quest’ottica, l’attivazione di un canale diplomatico speciale da parte di Washington, capace di affiancarsi a quello classico istituzionale, rifletterebbe proprio questo specifico interesse della Casa Bianca per una diplomazia a “doppia uscita”. Una orientata al mantenimento dei rapporti con i vertici istituzionali, per seguirne in prossimità mosse ed evoluzione, l’altra per l’attivazione di rapporti col mondo economico-industriale nazionale utili a reindirizzarne l’orientamento lungo le stesse direttrici ora adottate dal nuovo inquilino della Casa Bianca. A valorizzare la prospettiva di questo più prossimo interesse americano per il nostro Paese sarebbero del resto le chiare radici italiane possedute dai due diplomatici USA da Trump appena nominati.
Bruno Scapini