di Costantino Salis*
Domenica 30 novembre 2025 è una data destinata ad entrare nella storia: al Phanari, quartiere storico di Costantinopoli, Papa Leone XIV ha infatti partecipato, insieme al Patriarca ecumenico Bartolomeo I, alla Santa Messa per la celebrazione della festa di Sant’Andrea, commemorata dalla Chiesa ortodossa. La loro partecipazione comune alla liturgia ha reso immediatamente visibile l’importanza di questo incontro: un gesto di dialogo e fraternità che supera ogni parola e ogni comunicato.
L’incontro a Costantinopoli tra Papa Leo XIV e il Patriarca ecumenico Bartolomeo non è stato un semplice atto protocollare. È stato un momento che ha rimesso al centro una verità spesso dimenticata: quando Roma e Costantinopoli si parlano da pari, tutto il mondo cristiano respira un po’ di più.
Nel cuore del Fanari, i due leader spirituali hanno mostrato qualcosa che nessun comunicato può davvero contenere: la volontà concreta di ricucire una relazione ferita da secoli, ma ancora viva. Nessuna retorica, nessun gesto teatrale. Solo la scelta, molto semplice e molto coraggiosa, di affidare al dialogo ciò che la storia ha diviso.
Perché questo incontro è importante per l’Ortodossia? Per il Patriarcato ecumenico, l’incontro rappresenta molto più di una visita di cortesia. Rafforza il suo ruolo internazionale, in un momento in cui l’Ortodossia vive divisioni interne e tensioni geopolitiche che indeboliscono la sua voce unitaria. Accogliere il Papa significa riaffermare una centralità spirituale che non passa da poteri politici, ma da relazioni costruite sulla fiducia. E questo, per la Chiesa ortodossa, è un segnale forte: la possibilità di guidare un dialogo che guarda alla pace, alla cooperazione e a un cristianesimo capace di superare confini nazionali e rivalità antiche.
E anche per la Grecia — terra che custodisce la tradizione ortodossa come identità e radice — il gesto ha un valore simbolico e politico insieme. Mostra che il dialogo non toglie nulla a nessuno: non indebolisce l’Ortodossia, non relativizza la fede, non minaccia la tradizione. Al contrario, la rende più autorevole, più ascoltata, più presente nel dibattito globale.
Per la comunità italiana in Grecia, che vive ogni giorno il confronto e l’incontro tra le due tradizioni, questo momento ha un significato particolare: è il segnale che la collaborazione non solo è possibile, ma è un modello. Un cattolico in Grecia — come un ortodosso in Italia — non è un corpo estraneo, ma un ponte naturale tra due mondi che hanno bisogno di parlarsi.
L’esito più tangibile di questo incontro non è un documento, ma una postura chiara: la scelta di rifiutare ogni uso della fede per giustificare violenze, conflitti o nazionalismi. È un impegno che le due Chiese assumono davanti alla storia, sapendo che il mondo giudica più i silenzi che le dichiarazioni.
Questo incontro non consegna un’unità immediata — e nessuno lo pretende. Ma consegna qualcosa di forse più importante: la certezza che l’unità non è un’utopia, che può crescere attraverso gesti piccoli, ma sinceri, come questo. “Quando Roma e Costantinopoli camminano insieme, l’unità cristiana non è più un sogno”.
*Presidente Comites Grecia
