“Volevo contribuire con qualcosa di utile alla vita delle persone con disabilità, specialmente a quelle dei bambini”: Matteo Parsani, professore di matematica e scienze computazionali con un passato alla NASA, spiega così la sua proverbiale impresa che lo ha visto sfidare il deserto arabico, percorrendo oltre 3000 km chilometri in handbike, a una media di quasi 150 chilometri al giorno, per un vero e proprio coast to coast, partito da Dammam, sul Golfo persico, e finito la Mecca, all’altro capo della penisola. Il tutto in un mese esatto. Un’impresa epica, sicuramente di esempio per molti, considerando che il professor Parsani vive con una lesione spinale incompleta dal 2017, causata da un’incidente stradale. “Un viaggio pieno di scoperte” dice lui, ma anche di sorprese, non ultima quella che lo ha portato a dialogare addirittura con il Principe Bin Salman.
Professore, tremila chilometri in handbike, attraversando l’Arabia Saudita. Com’è nata l’idea di questa sfida? “Il mio viaggio in handbike è stata un’enorme impresa, ma ciò che desideravo veramente era restituire qualcosa all’Arabia Saudita, che è ormai la mia casa dal 2016. Volevo dimostrare che tutto è possibile e che la disabilità non dovrebbe mai essere un ostacolo nell’inseguire i propri sogni, soprattutto per i bambini. La scintilla che ha innescato la mia voglia di affrontare questa grande sfida è stata l’incontro, circa un anno e mezzo fa, al KAUST (King Abdullah University of Science and Technology), di una bambina saudita che, a causa di un incidente stradale, ha perso suo padre e due sorelle, mentre l’altra sorella è rimasta su una sedia a rotelle. Era il 9 settembre 2022. Sono felice che, lungo il percorso, siamo stati in grado di distribuire circa 75 handbike ai bambini con disabilità, poiché sono piuttosto costose. Poi volevo promuovere i paesaggi stupendi, la cultura e il patrimonio che abbiamo qui in Arabia Saudita: le sue diverse regioni sono come nessun altro posto al mondo, di una bellezza incredibile, e le persone sono estremamente accoglienti. Non ho mai sperimentato nulla di simile all’accoglienza saudita in nessun altro luogo. Un altro motivo per cui ho intrapreso questo viaggio è quello di promuovere la ricerca scientifica: durante il mio percorso, abbiamo raccolto dati che serviranno da base per la ricerca sulla riabilitazione, attualmente in fase di elaborazione al KAUST e in Italia, presso il centro dove ho soggiornato per circa nove mesi dopo il mio incidente. Questo processo richiederà un po’ di tempo, perché nei trenta giorni di viaggio ho generato una quantità pari a un terabyte di dati che devono essere analizzati per essere compresi non solo da scienziati ma anche da informatici e medici”.
Oltre la sfida personale, questa impresa ha posto l’accento sull’importanza del turismo accessibile, in Arabia Saudita, ma non solo. “Esattamente, volevo promuovere il turismo accessibile: tutti meritano la possibilità di rilassarsi e prendersi una vacanza. Un momento particolarmente importante per il team è stato soggiornare al Red Sea, che combina accessibilità, sostenibilità e lusso, come mai prima d’ora. È un ambiente tranquillo, con le sue acque color turchese, le montagne e le mangrovie. Red Sea Global, lo sviluppatore di questo progetto, ha promesso che in futuro le sue destinazioni ed esperienze saranno completamente inclusive per gli ospiti con disabilità. John Pagano, CEO del Gruppo, sta davvero facendo eccezionali passi avanti”.
Qual è il suo ricordo più bello legato a questa impresa? “Ce ne sono diversi! Un momento memorabile è stato arrivare a Gedda, la città costiera cosmopolita dell’Arabia Saudita. Da sud, abbiamo attraversato qualche collina, poi si è aperto il panorama e abbiamo potuto vedere il mare di fronte a noi. Qui ho potuto sentire l’atmosfera e l’aria di Gedda, città diversa da qualsiasi altra in Arabia Saudita. La amo, mi fa sentire davvero a casa. Un altro momento saliente è stato l’incontro a Riad, presso il King Salman Science Oasis, con Sua Altezza Reale il Principe Sultan Bin Salman. Lui è stato un astronauta e io sono un esperto del settore aerospaziale, ma non sapevo che fosse coinvolto in moltissimi progetti umanitari. Abbiamo avuto una conversazione di un’ora e lui ha dimostrato di conoscere e capire davvero la Scienza. Abbiamo parlato del futuro dell’intelligenza artificiale nei prossimi anni, e di come potrebbe giovare a me e ad altre persone con disabilità, e in generale, al sistema sanitario”.
Prossime iniziative in programma? “Al momento i dati del viaggio Athar sono in fase di elaborazione presso il KAUST e un centro di riabilitazione in Italia. Una volta completato ciò, li analizzeremo. Ho in mente altri viaggi e ulteriori nuove sfide”.
Chiuderei questa intervista con un suo messaggio, magari rivolto ai più giovani… “Credo che parlare ai giovani comporti una responsabilità. Volevo contribuire con qualcosa di utile alla vita delle persone con disabilità, specialmente a quelle dei bambini. Il mio obiettivo all’inizio era condividere consapevolezza e speranza, e acquistare nuove handbike per bambini con disabilità. E ci siamo riusciti. Come detto, siamo riusciti a distribuire circa 75 handbike”.