Nessuno si sarebbe immaginato fino a qualche mese orsono che lo Studio Ovale della Casa Bianca sarebbe potuto diventare palcoscenico di uno scontro. Non tra Russia e Ucraina, ma addirittura tra Europa e Stati Uniti! Eh sì, perché la “querelle” di cui siamo stati tutti spettatori ha interessato Trump e Zelensky, ma quest’ultimo ancora una volta quale “proxy”; ovvero portatore di una procura a nome e per conto della cupola europea del Deep State americano. Quello stesso potere che, non trovando più fertile terreno sul suolo americano per contrastare Trump, ha ripiegato sui leader europei per condurre contro il Tycoon un’azione di contenimento e ostacolarlo di conseguenza nella sua azione di ravvicinamento tra Washington e Mosca. Una prossimità intesa quale premessa imprescindibile non solo per porre termine al conflitto in Ucraina, ma anche, e soprattutto, per un ritorno alla “normalcy”.
Che Trump intenda neutralizzare il potere del Deep State è ormai chiaro come la luce del sole. Sradicarlo dagli angoli dell’Amministrazione federale dove si era annidato da anni per costruirsi un apparato concepito e costruito per resistere ai cambiamenti politici del Paese e gestire i Presidenti che si sarebbero succeduti alla Casa Bianca, è ora divenuto il suo prioritario obiettivo politico. Non a caso Elon Musk, figura strategicamente complementare al ruolo del Presidente, ha chiaramente affermato che il nemico degli Stati Uniti oggi non è un soggetto esterno; non è la Russia, non è la Cina, né nessun altro attore politico internazionale, bensì un nemico interno. Un nemico che avrebbe portato il Paese sull’orlo di una pericolosissima bancarotta.
Ebbene, al di là della recente schermaglia verbale che si sarebbe consumata tra Trump e Zelensky ci sarebbe a ben guardare un qualcosa di inspiegabile: l’inusitato ardire dell’uomo di Kiev nel ritrattare il preannunciato assenso ad un accordo già predefinito sulla concessione delle risorse minerali (a titolo di risarcimento delle spese belliche sovvenzionate dagli USA per una guerra “che non si sarebbe dovuta fare”) si sarebbe chiaramente posto in dirittura di collisione con i fondamentali interessi della Casa Bianca. Interessi che sappiamo essere intesi a chiudere definitivamente la partita con la Russia nel migliore dei modi oggi possibili e avviare l’auspicata ripresa di una cooperazione a tutto campo che, nella sua più estrema proiezione, potrebbe perfino includere la creazione di un corridoio strategico trasportazionale capace di collegare direttamente l’Asia continentale e artica all’America Settentrionale passando per l’Alaska e il Canada. Il rifiuto opposto da Zelensky di fronte al gotha dell’Amministrazione USA non si spiegherebbe, tuttavia, con un coraggio che l’uomo non potrebbe verosimilmente avere da solo, ma più realisticamente con l’intrepidezza che proprio il potere del Deep State ha inteso iniettargli e che tenterebbe oggi di usare l’ex comico di Kiev quale “proxy“ non solo nella guerra contro una Russia – che ormai non lascia alcun margine di speranza per un recupero di integrità territoriale – ma perfino contro gli stessi Stati Uniti di Trump nel tentativo estremo di ostacolarne l’azione politica di normalizzazione dei rapporti con Mosca.
È evidente, dunque, come Zelensky possa essere ben spalleggiato in questi frangenti dai leader europei che, quali propaggini protesiche della cupola oligarchica americana, agiscono in nome e per conto di questa nel combattere una battaglia contro Trump facendo leva proprio sulla guerra di Zelensky – e non più ora del popolo ucraino – per sabotare i piani di pacificazione della nuova Amministrazione americana compiacendo in tal modo i propri interessi di medio e lungo periodo.
Non è dunque il “dress code” sbagliato del leader ucraino che avrebbe tanto irritato il Tycoon, né il suo mancato senso di gratitudine verso un’America volta a condurre Kiev sulla strada della pace. La vera ragione dell’aspra reazione di Trump sarebbe stata piuttosto la consapevolezza del Presidente di trovarsi davanti nello Studio Ovale non più quel leader votato alla causa della democrazia del proprio Paese, bensì un mero mercenario del Deep State intenzionato ad assumere la causa nazionale dell’Ucraina a pretesto per continuare, magari con il sostegno americano, una guerra falsamente invocata a difesa delle libertà europee. Ma domandiamoci a questo punto, e solo per coerenza ideologica: non disponiamo già della NATO qualora un Paese europeo dovesse divenire vittima di aggressione da parte di un nemico esterno? E se così fosse, chi potrebbe essere l’aggressore? Alcune stime fornite dall’Istituto per la Pace di Stoccolma sull’entità delle spese militari impegnate dalle grandi potenze fornirebbero chiaramente alcune indicazioni per valori tendenziali. Con riferimento all’anno 2023, infatti, le spese degli Stati Uniti sarebbero ammontate a ben 880 miliardi di dollari, contro i 309 della Cina, i 297 dei Paesi dell’UE e i 109 della Federazione Russa. Dunque, da che parte sarebbe lecito ipotizzare il rischio di una aggressione? Riflettiamoci.
Bruno Scapini
Complimenti dott. Scapini !
È l’analisi più completa, chiara, obiettiva che io abbia letto sulla spinosa situazione creatasi fra l’ America di Trump e gli stolti, venduti governanti europeisti.
complimenti per questa delucidazione che ho letto poco fa e per le Sue attente osservazioni in merito all’UE.
Grazie.
complimenti per questa delucidazione che ho letto poco fa e per le Sue attente osservazioni in merito all’UE.
Speriamo che si ponga fine a questa annosa guerra che ci tocca da vicino e che ha sconvolto anche la nostra
Italia stanca di tanti conflitti interni ed esterni.
grazie per cio’ che ho letto poco fa e per le Sue attente osservazioni in merito all’UE.
Speriamo che si ponga fine a questa annosa guerra che ci tocca da vicino e che ha sconvolto anche la nostra
Italia stanca di tanti conflitti interni ed esterni.