“Il sistema educativo cinese in Tibet: una riflessione per l’Italia e la UE per difendere i valori di una società aperta”: questo il titolo della conferenza stampa che si è tenuta stamane a Roma, a Palazzo Madama, su iniziativa del Senatore Andrea De Priamo, Presidente dell’Intergruppo parlamentare Italia-Tibet, nel corso della quale sono intervenuti, fra gli altri, l’On. Ilenia Malavasi, il sociologo Gyal Lo, Claudio Cardelli, Presidente dell’Associazione Italia-Tibet e il Senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, Presidente della Commissione Politiche dell’Unione Europea.
Al centro dell’attenzione dei relatori una prassi che si sarebbe ormai consolidata nelle scuole cinesi in Tibet, volta essenzialmente a esercitare una forma di “violenza culturale psicologica”, per imporre lingua e tradizioni cinesi ai piccoli studenti tibetani.
“La nostra idea – spiega il Senatore De Priamo – è quella di arrivare a formulare un appello trasversale, che provenga da tutte le forze politiche e, in quanto tale, rappresenti tutto il Parlamento, per chiedere all’Unione Europea una visita concordata con il governo cinese nei centri educativi in Tibet per capire quale spazio viene lasciato all’identità e alla cultura del popolo tibetano”.
Hanno partecipato ai lavori, in qualità di relatori, diverse personalità che conoscono molto bene il territorio tibetano e la realtà delle scuole cinesi in Tibet, a partire da Thinley Chukki, Rappresentante del Dalai Lama a Ginevra e Wangpo Tethong, Responsabile dell’International Campaign for Tibet in Europa.
Particolarmente suggestiva la testimonianza del Prof. Gyal Lo, docente e psicologo, pronto a sottolineare come le famiglie tibetane siano oggi costrette a far studiare nelle scuole cinesi i propri figli, per evitare che poi questi vengano penalizzati in futuro.
“E’ emersa tutta la gravità di una situazione che tende nel tempo ad assimilare la cultura tibetana a quella cinese attraverso forzature e violenza – ha spiegato Ilenia Malavasi, deputata del PD, aggiungendo – in Tibet le famiglie sono spesso costrette a far frequentare ai propri figli le scuole cinesi per permettere loro di accedere poi a numerosi servizi e avere una vita normale”.
“E’ in atto un progetto – denuncia Claudio Cardelli, Presidente dell’Associazione Italia-Tibet – volto ad annichilire la cultura tibetana, molto diversa da quella cinese. Un progetto che viene attuato sui bambini nella fascia di età in cui sono maggiormente suggestionabili. Questa prassi sta creando numerosi disagi alle famiglie, costrette a dialogare con bambini che parlano una lingua che non è la loro, che gli si dice essere la più importante, in quanto riferibile alla loro madre Patria, ovvero la Cina”.