Non si può nascondere la profonda inquietudine che causa l’annuncio, dato ieri dall’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri, Kaya Kallas, di un progetto comunitario per una “Strategia dell’UE per la preparazione all’emergenza” (EU Strategy for Emergency Preparedness).
Trattasi di un piano varato dalla Commissione per promuovere presso tutti gli Stati membri l’adozione di misure e di provvedimenti volti a contenere i rischi e le sfide derivanti da situazioni emergenziali dovute a aggressioni belliche, eventi climatici e ambientali. A dare forza convincente alla proposta è stato anche fatto circolare su Instagram un video-clip in cui la protagonista, il Commissario UE all’Emergenza, Sig.ra Hadja Lahbib, con una recitazione surreale, tra il serio e il faceto, spiega quello che dovrebbe contenere un kit di sopravvivenza per ogni cittadino europeo.
Orbene, verrebbe da sorridere nel visionare tale sceneggiatura, ma in realtà sarebbe molto meglio riprenderci dalla ilarità che essa può suscitare per riflettere con spirito critico sulle vere, ma implicite, motivazioni che si nascondono dietro quest’ultima proposta dell’UE.
Apparentemente, l’iniziativa sembrerebbe sostenuta da uno spontaneo impulso alla sopravvivenza in condizioni di massima criticità e, pertanto, volto a promuovere una vera e sana cultura dell’emergenza. E questo, nell’ottica di Bruxelles, potrebbe giustificarsi anche alla luce del rischio che il conflitto russo-ucraino possa estendere i suoi nefasti effetti fino ad investire progressivamente con atti di aggressione altri Paesi europei. Ma indagando più in profondità, il progetto punterebbe a creare le premesse psicologiche, politiche e strumentali – legalmente recepibili tramite processi progressivi di legislazione comunitaria – in vista di introdurre nelle nostre società un regime di controllo da parte dello Stato ricorrendo a provvedimenti impositivi e restrittivi della sfera delle libertà individuali e collettive in nome di fantomatiche situazioni emergenziali. Naturalmente la creazione di uno “stato ansiogeno” nella società – come del resto accaduto durante la pandemia da Sars Cov 2 – è il contesto ideale per far accettare dall’ignaro cittadino un inganno che altrimenti non verrebbe da esso recepito, e né tantomeno capito.
Oggi, comunque, il progetto sarebbe, quanto agli aspetti formali, ancora allo stato di “raccomandazione”; ma non si esclude già in questa fase – attesa una certa ridondanza di attribuzione di competenza che si percepirebbe in favore della Commissione – che possa essere dotato di “forza di legge” ai fini di una sua generale e totalizzante imposizione. Timore, quest’ultimo, peraltro ben fondato alla luce di precedenti condotte tenute dall’UE. Del resto, la materia della protezione civile in situazioni di emergenze belliche, climatiche e ambientali, non è di competenza esclusiva della Commissione, il ché giustificherebbe la sua eventuale pretesa ad avocare a sé, a termini di Trattati, la competenza in nome di quel principio di sussidiarietà, cui si farebbe ricorso, considerata la valenza universale del progetto (di dimensione comunitaria) e la duplice presunzione di una migliore efficacia dell’azione attuativa a livello decisionale superiore e della insufficienza invece di quella ipotizzabile a livello di singolo stato membro. In aggiunta, a rafforzare l’esercizio, interverrebbero anche quei “poteri impliciti” di cui la Commissione si potrebbe avvalere fondati sull’obbligo dei singoli Stati membri di offrire la massima “leale collaborazione” ai fini dell’attuazione di atti comunitari.
A turbare i nostri sonni interverrebbero, infine, e a ben osservare le pieghe del progetto, le previsioni in esso di due ordini di misure: la prevenzione e la lotta alla “disinformazione” (leggi pure bavaglio alle voci contrarie), e la cooperazione tra il settore civile e il militare e tra il pubblico e il privato. Un connubio di provvedimenti, questo, che potrebbe, per estrazione ordinamentale delle misure implicate, risultare gravemente limitativo della sfera delle libertà democratiche che verrebbero messe tranquillamente in sofferenza in virtù di poteri autoritativi estranei ai processi democratici nazionali.
Dunque, come valutare questo progetto dell’Unione? A dirlo sommessamente, ma senza tema di sbagliare, trattasi di un ulteriore tentativo, giustificato da una pretesa imminente crisi bellica provocata dalla Russia, di destabilizzare le nostre società europee per favorire nella prospettiva liberal-globalista la creazione di un vero “Stato d’eccezione”; una iniziativa da realizzare, non più sotto forma di mera sperimentazione biopolitica, come al tempo del Covid 19, bensì quale vero e proprio progetto politico di radicale riforma in senso globalista delle nostre società europee.
Bruno Scapini