Sembra arricchirsi sempre più di consistenza l’ipotesi che il conflitto russo-ucraino non sia soltanto un confronto diretto tra l’Occidente collettivo e la Federazione Russa. Un confronto ovvero inteso quale prodotto di una ingegneria politica studiata per infliggere a Mosca l’auspicata sconfitta strategica. L’impressione che oggi, infatti, si avrebbe, nell’osservare la più recente evoluzione dei rapporti euro-atlantici, indurrebbe, ad essere realistici, a immaginare l’esistenza di qualche altro fine che si nasconderebbe nel voler continuare una guerra in fondo non sentita dalle società occidentali, e neanche peraltro dalla stessa popolazione ucraina, eccezion fatta, naturalmente, per quelle forze, appositamente manipolate dall’Occidente, radicalizzatesi nel nefasto lascito neo-nazista della Seconda Guerra mondiale.
La tesi all’inizio del conflitto prevalente di una guerra contro la Russia necessaria al fine di arginare un attacco ingiustamente portato ad un Paese democraticamente orientato, quale sarebbe per l’appunto l’Ucraina post-sovietica, non basterebbe più a spiegare l’ostinata determinazione di alcuni leader europei a voler continuare ad ogni costo un conflitto che appare sempre più una forzatura della Storia anziché una vera necessità difensiva. Assegnare al Cremlino una volontà di conquista per ricostruirsi sulla punta delle baionette il perimetro dell’antico impero sovietico o zarista, o per portare perfino la minaccia aggressiva alle porte di Lisbona, appare senza dubbio l’esito di una sfrenata capacità immaginifica di alcuni esponenti di Londra e di Bruxelles piuttosto che il risultato di una valutazione realistica dei fatti. Si accusa Putin di auto-conservazione imperialista, di revisionismo storico, come anche di ossessione geopolitica. E questo per giustificare la necessità di una guerra che oggi in realtà neanche gli Stati Uniti – promotori iniziali con Biden della provocazione verso la Russia – non vogliono più considerare come la “loro guerra”. Trump decide di sfilarsi dal conflitto – salvo a metterci la buona parola per la sua ricomposizione – e guarda oltre. Cerca un “rapprochement” tra Washington e Mosca e, per voce del suo Vice Presidente Vance, condanna l’Europa accusandola di deriva autocratica e di voler ostacolare in tutti i modi il processo di pace. Non c’è qualcosa di stranamente sospetto dietro questa inversione di rotta perseguita dalla nuova Amministrazione americana?
Indubbiamente Trump ha avuto con questo suo atteggiamento il grande merito di essere riuscito a tirar fuori il suo Paese da un conflitto con Mosca che non avrebbe mai potuto garantire nessuna vittoria all’Occidente. E lo ha fatto, non solo preservandone la reputazione, ma anche presentandosi come un sincero mediatore di pace ottenendo in solo 90 giorni di mandato – a dispetto degli europei impegnatisi per anni nel sostenere il conflitto – un concreto beneficio con un accordo firmato con Kiev sulle terre rare di indubbio alto valore economico.
Ecco allora che i contorni di un “divorzio” tra le due sponde dell’Atlantico iniziano a prendere forma, e spiegherebbero altresì il perché di una strisciante “mutazione genetica” di una guerra che appare sempre più come scontro diretto tra Stati Uniti e Europa in luogo dell’originaria confrontazione con la Russia. Non c’è dubbio, del resto, come le attuali leadership europee siano ancora legate e sottomesse al Deep State americano. Ovvero a quelle elite liberal-globaliste che punterebbero ad una “governance” egemonica mondiale contro le quali proprio Donald Trump sta conducendo la sua battaglia. Queste forze ostacolate, per evidenti ragioni di territorialità condivisa, da un Presidente detentore ora di una primazia di potere, e trovando difficoltà a resistergli sul suo stesso terreno, hanno trovato preferibile trasferire la lotta in campo europeo certi della perdurante “fedeltà” dei suoi leader. Un obiettivo, quest’ultimo, che spiegherebbe tra l’altro la posizione sempre più defilata della Casa Bianca rispetto al conflitto con la Russia. Una posizione sostenuta allo scopo di lasciare agli europei la (ir)responsabilità di continuare la guerra con un crescente rischio di avvitamento controllabile a distanza da Washington per via degli inevitabili limiti che il gioco al rialzo dell’Europa incontrerebbe in termini di deterrenza nucleare. Esisterebbero, infatti, dei margini strategici ben chiari e definiti ad una eventuale “escalation” da parte europea; un dettaglio di non poco momento di cui proprio l’Amministrazione Trump si avvarrebbe nel giocarsi la partita non più ora con Mosca, con la quale predica l’intesa, bensì proprio con l’Europa che da vecchio tradizionale alleato, è divenuta oggi, e inconsapevolmente, il suo più tenace avversario.
Bruno Scapini