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Giovanni Davoli, Ambasciatore d’Italia a Quito: “Relazioni con Ecuador mai così forti. La diplomazia giuridica è la nostra risposta alle mafie transnazionali”

Redazione by Redazione
9 Agosto 2025
in Interviste
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Giovanni Davoli, Ambasciatore d’Italia a Quito: “Relazioni con Ecuador mai così forti. La diplomazia giuridica è la nostra risposta alle mafie transnazionali”
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Nel cuore di Quito, tra le Ande, l’Italia ha trovato un interlocutore privilegiato. A guidare le relazioni con l’Ecuador, oggi al loro “massimo storico”, come ha dichiarato recentemente il Presidente Daniel Noboa, è l’Ambasciatore Giovanni Davoli: romano, classe 1968, figlio di un giornalista e di una ricercatrice universitaria, con alle spalle una carriera diplomatica che lo ha portato, con diversi ruoli, da Durban a Zagabria, da Caracas a New York, fino appunto alla guida della missione italiana nel Paese andino.

“Ho sempre creduto che la diplomazia non sia solo negoziato, ma anche ascolto, empatia e capacità di costruire ponti tra culture diverse”, spiega, consapevole di rappresentare l’Italia in un Paese resiliente, accogliente e stupendo, ma anche segnato dalla lotta contro il narcotraffico e dalla ricerca di un futuro più sicuro.

Grazie al puntuale lavoro del “nostro”Ambasciatore, proprio mentre si celebrano i 125 anni di relazioni diplomatiche tra Roma e Quito, l’Italia è dunque tornata protagonista in Ecuador, registrando ben tre visite governative in meno di due anni, due viaggi del Presidente Noboa in Italia, un Memorandum sulla migrazione regolare firmato con il Ministro Tajani, e una cooperazione crescente nella lotta alla criminalità organizzata.

“Oltre il 70% del traffico mondiale di cocaina parte da qui”, sottolinea Davoli, “e le nostre mafie si incaricano della distribuzione in Europa. È una sfida esistenziale, che affrontiamo insieme”. Ma l’Ecuador non è solo emergenza. È anche bellezza, cultura, comunità. Sono circa 26.000 gli italiani residenti nel Paese, molti dei quali integrati da generazioni.

In questa intervista, l’Ambasciatore Davoli ripercorre le tappe di una carriera vissuta tra crisi internazionali e successi silenziosi, riflette sul ruolo della comunicazione nella diplomazia moderna e ci offre uno sguardo privilegiato su un Paese che, tra primavera perenne e sfide globali, guarda all’Italia con stima, affetto e speranza.

Ambasciatore, come definirebbe oggi le relazioni diplomatiche fra Italia ed Ecuador? “Come detto dallo stesso Presidente Noboa durante la sua visita in Italia a inizio luglio, “le relazioni tra Italia ed Ecuador sono sempre state eccellenti, ma oggi sono al loro massimo storico”. Proprio quest’anno, stiamo festeggiando 125 anni di relazioni diplomatiche e lo facciamo mentre i contatti politici tra i due paesi si intensificano: tre visite di membri di governo italiani a Quito nell’ultimo anno e mezzo dopo innumerevoli anni di assenza, due visite del Presidente Noboa in Italia, l’incontro con il Presidente Meloni. Tutto questo mentre crescono le relazioni commerciali e si rafforza la cooperazione nella lotta contro il crimine organizzato transnazionale”.

Se dovesse descrivere l’Ecuador di oggi con tre aggettivi, quali sceglierebbe? “L’Ecuador è un paese resiliente, di fronte alle sfide enormi poste dalle mafie internazionali, accogliente verso gli stranieri e la cooperazione internazionale e stupendo nelle sue infinite e diverse bellezze naturali e eccellenze gastronomiche”. 

La recente rielezione alla carica di Presidente di Daniel Noboa ha sicuramente portato l’Ecuador a rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina e il traffico di droga. “L’Ecuador di Noboa gode di una ottima relazione con l’amministrazione Trump, come ha dimostrato la presenza del Presidente al Campidoglio a gennaio, unico capo di stato latinoamericano insieme a Milei. Ma allo stesso tempo, tornando in Italia e in altri Paesi europei nei primi mesi del suo nuovo mandato, Noboa ha dimostrato come tenga al rapporto con i Paesi europei e particolarmente con noi che siamo in prima linea con la nostra diplomazia giuridica aiutando il Paese nella sfida esistenziale posta dalla mafia transnazionale. Si pensi solo che oltre il 70% del traffico mondiale di cocaina parte dall’Ecuador, diretto soprattutto verso l’Europa, dove le nostre mafie si incaricano della distribuzione arricchendosi a dismisura”.

In Ecuador oltretutto è in corso una missione di magistrati europei, italiani compresi, con l’obiettivo proprio di contrastare la criminalità e il traffico internazionale di cocaina. “Esattamente. Il progetto ITAJUS, diretto in loco da un nostro magistrato, fornisce consulenza e formazione alle diverse istituzioni dello Stato ecuadoriano, nonché alle associazioni imprenditoriali e della società civile che sono parte di questo sforzo che gli ecuadoriani stanno portando avanti di affrancarsi dal ricatto mafioso. Il nostro appoggio, basato sul modello di successo anti-mafia italiano, è enormemente apprezzato e il popolo ecuadoriano ci è grato, cosa di cui ho testimonianze quotidiane”.

Gli italiani residenti in Ecuador sono circa 26 mila. Come si è integrata la nostra Comunità nel tessuto sociale? “La maggior parte di questa comunità è qui già da qualche generazione, giunta qui un centinaio di anni fa. Più della metà di loro risiede nelle regioni costiere, che sono il polmone economico del Paese e molte di queste famiglie si sono affermate con grande successo. Lo stesso Presidente Noboa, per parte di madre è discendente di italiani e mantiene la nostra cittadinanza. Lo stesso dicasi della Primera Dama, Lavinia Valbonesi, figlia di un livornese giunto a Galapagos 50 anni fa, che ha avuto un ruolo importante nello sviluppo del turismo dell’arcipelago. Lavinia parla italiano con me e con i suoi figli. L’Italia è la seconda patria della coppia presidenziale”.

In generale com’è percepita l’Italia in Ecuador? “L’Italia è qui un paese amato e stimato. Gli ecuadoriani sono fortemente attratti dall’Italia, difatti siamo il terzo paese di emigrazione degli ecuadoriani. Se la loro attrazione verso USA e Spagna si spiega con ragioni ovvie, quella verso l’Italia è più misteriosa e proprio per questo indice di una fascinazione particolare. Il Vice Presidente Tajani ha firmato, durante la visita del Presidente Noboa a Roma, un Memorandum per incentivare la migrazione regolare degli ecuadoriani in Italia (e scoraggiare quella irregolare, seppure le cifre dicono che gli ecuadoriani non rappresentano una minaccia in tal senso). L’annuncio è stato accolto da questa opinione pubblica, di tutte le fasce sociali ed economiche, con entusiasmo”.

A proposito di economia, i dati relativi agli scambi commerciali testimoniano da anni un grande interesse degli italiani per l’Ecuador. “Nel 2024 gli scambi sono ammontati a 1,6 miliardi di dollari in totale. Sono economie complementari: gli ecuadoriani esportano da noi soprattutto crostacei, tonno, banane e cacao; noi esportiamo molte macchine industriali che usano nelle loro fabbriche di processamento e impaccamento del cibo. Ma gli ecuadoriani non mancano di essere fortemente attratti verso i prodotti simbolo del Made in Italy. Per esempio, le statistiche di Federvini ci dicono che l’Ecuador è stato il paese al mondo nel quale, in percentuale, è più cresciuto il consumo di vino italiano dal 2022 al 2024”.

Lei come si trova a Quito? “La gente è molto ospitale, il clima ottimo (sempre primavera), il cibo squisito, i paesaggi e la natura ti avvolgono con la bellezza florida delle Ande. Tutto il Paese è bellissimo e meriterebbe una maggiore considerazione da parte del turismo internazionale. Certo, vi sono preoccupazioni legate alla sicurezza, per via della enorme violenza generata dal narcotraffico e quindi bisogna fare, in certe aree, molta attenzione”.

Quali aspetti della cultura locale l’hanno colpita maggiormente? “La gentilezza innata di questo popolo e la loro apertura verso gli stranieri e soprattutto verso l’Italia”.

C’è un episodio o un incontro che ricorda con particolare emozione da quando è arrivato in Ecuador? “venni in Ecuador la prima volta nel 1996, quando ero un giovanissimo diplomatico appena entrato in carriera, per una breve missione di governo. Conobbi la nostra bellissima ambasciata: una proprietà di 10 ettari che comprende un parco e un bosco oltre a una bella costruzione in stile neocoloniale che quest’anno compie 100 anni, la Residenza dell’Ambasciatore d’Italia, su cui stiamo per pubblicare un libro storico e fotografico. Solo nei miei sogni più audaci potevo immaginare che quasi 30 anni dopo sarebbe toccato a me essere il custode di questo immobile demaniale, dichiarato patrimonio culturale dell’Ecuador e avere l’onore di rappresentare la Repubblica in questo stupendo paese”.

Qual è, in definitiva, il suo ricordo più bello legato alla carriera diplomatica? “Ce ne sono troppi per citarne uno. Sicuramente, questo appena citato del 1996 rientra comunque tra i più belli, alla luce del destino che la sorte mi ha serbato. A parte questo, in questo lavoro si ha spesso l’opportunità di fare del bene concreto e diretto alle persone, connazionali in primis ma non solo. Persino di salvare vite umane. Mi è capitato più volte e quelli sono certamente tra i ricordi più belli”.

E il più brutto? “I momenti più brutti sono stati quando non è stato possibile, malgrado tutti gli sforzi, aiutare persone in difficoltà e ho dovuto rassegnarmi finanche a perderle”.

Tra le tante personalità incontrate nell’ambito della sua carriera ne ricorda qualcuna in particolare? E per quale motivo? “Nel 1998 Nelson Mandela compì la sua prima e unica visita in Italia. Fu una emozione essere il giovane funzionario del Cerimoniale Diplomatico che coordinò la visita e che lo accompagnò ai vari appuntamenti. L’anno successivo fui nominato Console in Sudafrica ed ebbi una ulteriore occasione di salutarlo. Dopo di che la lista sarebbe lunga. Citerei poi il Presidente Mattarella. Personalità con cui ho avuto solo incontri brevi ma che per me rappresentano un bellissimo ricordo, data la cifra umana evidente. Incontri che per me rappresentano una motivazione e uno sprone quotidiani ad essere all’altezza della fiducia in me riposta per un incarico così delicato in un paese complesso ma pieno di opportunità e legatissimo all’Italia”. 

Figlio di giornalista, nell’arco della sua carriera è stato Capo Ufficio Stampa e Portavoce del Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite in New York e ha lavorato al Servizio per la Stampa e la Comunicazione istituzionale della Farnesina. Quale deve essere, a suo avviso, il giusto rapporto tra diplomatici e giornalisti e come è cambiato negli ultimi anni? “Quando entrai in carriera, qualche diplomatico anziano mi disse “non parlare mai con i giornalisti”. Da allora le cose sono cambiate e i diplomatici hanno capito l’esigenza di comunicare quello che fanno. Sono fiero di avere contribuito nei miei incarichi passati a questo cambio di paradigma. Ricordo quando da New York ebbi un ruolo nell’aggiornare i social della Farnesina e della rete diplomatica tutta, per renderli più al passo con i tempi e sostenere così la campagna per entrare nel Consiglio di Sicurezza ONU. Probabilmente, l’esempio dei miei genitori (anche mia madre era pubblicista tra le altre cose) mi ha aiutato da sempre a vedere la comunicazione e i giornalisti come alleati del nostro lavoro”.

Può esistere una diplomazia efficace senza un rapporto attivo con la stampa? “No. E questo è ormai molto chiaro anche ai nostri vertici. Un ambasciatore rappresenta l’intero Paese, l’idea di italianità che si ha all’estero e i valori della nostra Repubblica. Per farlo efficacemente deve usare i media e poter parlare a tutti; deve essere, per quanto possibile, accessibile. Questo contribuisce al circolo virtuoso che spinge le nostre esportazioni e la nostra economia, nonché le buone relazioni diplomatiche che l’Italia porta avanti con gli altri Paesi a favore della pace e dei diritti umani”.

Chiuderei questa intervista parlando delle prossime iniziative in programma dell’Ambasciata. “Sono tante. Gli ultimi quattro mesi dell’anno sono tradizionalmente pieni di iniziative in coordinamento con la Farnesina e con la rete tutta di ambasciate, quali la settimana della lingua italiana, della cucina italiana, dello sport italiano e altre ancora. A Quito non abbiamo mai mancato di onorare questi appuntamenti al meglio riscuotendo sempre un grosso interesse e successo. Nel frattempo continueremo a lavorare per il rafforzamento delle relazioni economiche aiutando alcune nostre aziende a concludere contratti in Ecuador. Dovremo anche metterci al lavoro per organizzare un Business Forum in Ecuador con i nostri imprenditori, come deciso durante la visita del Presidente Noboa a Roma a luglio”. 

Intervista di Marco Finelli

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