Attualmente distaccato presso l’OSCE-ODIHR a Varsavia come Capo dell’Ufficio del Direttore, Fabrizio Nava, in carriera diplomatica dal 1995, ha prestato servizio presso le Ambasciate d’Italia a New Delhi e Ottawa, nonché come Console Generale a Houston, mentre alla Farnesina è stato impegnato nelle Direzioni Generali per gli Affari Politici e della Cooperazione allo Sviluppo.
Carattere affabile, fine oratore, fra le sue doti principali spicca senz’altro il suo senso pragmatico: “Ho provato molte soddisfazioni ad aiutare persone che si erano rivolte ai nostri uffici consolari – racconta – e nel vedere riconosciuto il mio lavoro quando ho risolto questioni politiche e gestionali”. Tantissime le esperienze in giro per il mondo, animate, sempre e comunque da una grande passione.
Dottor Nava, dal 2021 lei è “Senior Political Adviser/Head of Director’s Office” dell’Office for Democratic Institutions and Human Rights (ODIHR), presso l’OSCE in Varsavia. A beneficio dei nostri lettori, può illustrare le principali funzioni di questa Istituzione? “L’ODIHR è una istituzione autonoma nell’ambito dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, principale organizzazione per dimensione umana in Europa. L’OSCE è portatrice di una visione globale di sicurezza collettiva che riconosce un collegamento diretto tra diritti umani e sicurezza, e il lavoro di ODIHR consiste nell’assistere i Paesi OSCE nell’implementare gli impegni che hanno assunto per promuovere le libertà fondamentali, i diritti umani e i princìpi democratici. ODIHR è conosciuta per le sue missioni di osservazione delle elezioni nei Paesi OSCE, per le quali ha sviluppato una metodologia universalmente riconosciuta e apprezzata, ma svolge numerose attività in altri settori fondamentali per la dimensione umana, quali tolleranza e non discriminazione, raccolta e pubblicazione di dati sui crimini d’odio, redazione di pareri legali, contrasto al traffico di esseri umani e molto altro ancora. Il lavoro che ho svolto con ODIHR è molto stimolante, e mi ha aiutato a comprendere meglio la rilevanza del ruolo svolto da questa importante Istituzione, che proprio lo scorso anno è stata menzionata come possibile vincitore del Premio Nobel per la Pace e merita senz’altro di essere conosciuta meglio”.
India, Stati Uniti e Canada sono state le tappe principali della sua carriera diplomatica. Partiamo dalla prima, che ricordo ha? “L’India rappresenta un vero spartiacque, non solo per la mia carriera ma per la mia vita. È stata un’esperienza molto intensa sotto ogni punto di vista, a partire dalla direzione di una Cancelleria Consolare con sfide continue che hanno contribuito a formare la mia professionalità. La vita a New Delhi è stata altrettanto intensa, dall’immersione nella cultura indiana alla possibilità di vivere esperienze uniche che mi hanno molto arricchito sul piano professionale e specialmente umano. A New Delhi ho soprattutto affinato una capacità fondamentale per chiunque voglia interagire con persone provenienti da un ambiente diverso, che è quella di guardare a sé stesso dall’esterno e agli altri dal loro interno. Un’altra capacità che ho sviluppato è la mia tolleranza per la cucina piccante, di cui magari parleremo in un’altra occasione”.
Successivamente Console Generale a Houston… “Gli Stati Uniti, e specialmente il Texas, sono stati un’esperienza altrettanto intensa, sia pur per motivi diversi. A Houston ho diretto per la prima volta un Consolato Generale, e ho potuto vivere a fondo l’esperienza di vivere in una regione con una fortissima personalità, nel cuore degli Stati Uniti, ma al tempo stesso confinante con il Messico, dal quale è profondamente influenzato. Il Texas è un misto di efficienza nordica e calore meridionale difficile da descrivere, una società dinamica con punte d’eccellenza a livello mondiale che cresce vigorosamente, anche grazie al contributo di molti italiani, che mi ha fatto veramente sentire parte della comunità. Una caratteristica che ho particolarmente apprezzato nel Texas è l’approccio proattivo di chi non intende limitarsi a reagire a quello che sta succedendo o rimane seduto ai margini, ma invece scende in campo in prima persona. Credo che gli anni in cui ho vissuto e lavorato a Houston sono stati tra quelli più gratificanti in assoluto”.
Otto gli anni trascorsi a Ottawa, lavorando come Capo dell’Ufficio Commerciale dell’Ambasciata prima, e come funzionario vicario poi, maturando una profonda conoscenza del Canada sintetizzata nel libro “True North”. Come definirebbe le relazioni diplomatiche fra Italia e Canada? “La ringrazio per avere menzionato il mio libro, nel quale ho riportato tutto quello che ho imparato sul Paese del Grande Nord negli otto anni che vi ho trascorso. Le relazioni diplomatiche del nostro Paese con il Canada sono eccellenti, radicate nella comune appartenenza alle principali Organizzazioni euro atlantiche – tra cui l’OSCE, presso la quale attualmente lavoro – e radicate in una comunità di circa 1.5 milioni di canadesi di origine italiana, che rappresentano una delle comunità più affermate del Canada e forniscono una base solida sulla quale sviluppare le nostre relazioni”.
In assoluto, qual è il suo ricordo più bello legato alla carriera diplomatica? “Questa carriera mi ha regalato molti bei ricordi, che continuano ad accompagnarmi. Ho provato molte soddisfazioni ad aiutare persone che si erano rivolte ai nostri uffici consolari, al vedere riconosciuto il mio lavoro quando ho risolto questioni politiche e gestionali, o all’organizzare visite ufficiali, conferenze e altri eventi che hanno richiesto un grosso impegno. Se devo menzionare un singolo episodio, allora scelgo l’onore di accogliere ufficialmente la nave Amerigo Vespucci al porto di Halifax nel contesto della visita di stato del Signor Presidente della Repubblica in Canada nel 2017, un’emozione difficile da dimenticare”.
E il più brutto? “Ogni percorso professionale è fatto di momenti belli e meno belli, di soddisfazioni e di delusioni, di successi e insuccessi. Più che un singolo episodio, preferisco sottolineare il disagio che ho provato con la mia famiglia ogni volta che ho assunto una nuova responsabilità in una Sede estera, nella quale, accanto all’euforia e all’eccitazione per il nuovo incarico, abbiamo dovuto affrontare mille difficoltà per cominciare una nuova vita in un Paese straniero”.
Oggi come si trova a Varsavia? “Varsavia è una città che mi ha piacevolmente sorpreso, fermo com’ero a immagini vecchie dell’epoca post comunista che non rendono la misura di quanto la città sia cresciuta e cambiata negli ultimi decenni, diventando una città giovane e vitale che trasmette una grande energia. Il lavoro presso l’OSCE-ODIHR, oltre ad essere il primo che svolgo presso un’Organizzazione Internazionale, mi ha consentito di conoscere meglio una regione dell’Europa con cui non avevo familiarità, per giunta proprio nel mezzo della guerra in Ucraina che si combatte a poche centinaia di chilometri di distanza. Varsavia è inoltre una città molto bella con un’elevata qualità della vita, una scena culturale molto vivace e ottimi ristoranti, che la incoraggio vivamente a visitare”.
Intervista di Marco Finelli