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Fabrizio Lucentini, Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires: “In Argentina c’è sempre stato interesse a mantenere vive le tradizioni italiane, che nel tempo si sono mescolate alla cultura locale, producendo un legame unico”

Redazione by Redazione
3 Ottobre 2025
in Interviste
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Fabrizio Lucentini, Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires: “In Argentina c’è sempre stato interesse a mantenere vive le tradizioni italiane, che nel tempo si sono mescolate alla cultura locale, producendo un legame unico”
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Dalla Farnesina alla Terra del Fuoco, passando per Tokyo, Parigi e Bruxelles: Fabrizio Lucentini incarna la figura del diplomatico moderno, capace di coniugare rigore istituzionale e sensibilità umana. Ambasciatore d’Italia a Buenos Aires dal 2021, ha attraversato trent’anni di carriera con disciplina e onore, come recita l’articolo 54 della Costituzione, che egli stesso definisce “l’insegnamento principale” del suo percorso.

Nato a Roma nel 1967, con una laurea in Scienze Politiche e una lunga esperienza nei gangli vitali della diplomazia economica e politica, Lucentini ha trovato in Argentina affinità che “l’Italia non ha con nessun altro al mondo”. Le relazioni bilaterali, ci racconta, sono “storiche, economiche e culturali”, radicate nelle migrazioni, rafforzate dagli scambi commerciali e vivificate da una comunità italiana che continua a parlare i dialetti dei bisnonni.

“Gli italiani che vengono in Argentina si stupiscono della forza del legame che gli argentini mantengono con l’Italia”, osserva con orgoglio. E proprio questo legame, fatto di memoria, affetto e identità condivisa, è stato al centro del lavoro dell’Ambasciata in questi ultimi quattro anni per volere del suo Capo Missione: dalla diplomazia sportiva agli eventi culturali, dai progetti congiunti nel campo delle energie rinnovabili e dell’intelligenza artificiale, fino alla promozione del turismo e della cucina italiana.

Al termine del suo mandato a Buenos Aires, Lucentini parla con la sobrietà di chi non solo vive il mondo, ma con passione sa anche ascoltarlo. “Navigare nel canale di Beagle mi piace moltissimo”, confida, “e attraversare lo stretto di Magellano in traghetto, con la moto, è stata una esperienza emozionante”.

Un Ambasciatore che non si limita a rappresentare il suo Paese, ma lo porta con sé, anche nei tramonti di Recoleta.

Eccellenza, se dovesse descrivere le relazioni diplomatiche fra Italia e Argentina utilizzando tre aggettivi, quali sceglierebbe e perché? “Direi che sono: storiche, in virtù delle forti ondate migratorie di italiani verso questo Paese, sul quale hanno lasciato una forte impronta; economiche, perché i rapporti commerciali tra i due Paesi sono consolidati e alcune imprese italiane sono qui presenti da molto tempo; culturali, in quanto la marcata presenza della collettività italiana in Argentina mantiene vivi e valorizza i continui scambi nei vari settori, da quello dello spettacolo a quello linguistico, dall’architettura alla gastronomia”.

A proposito di legami storici e culturali, quali sono, secondo lei, i tratti più profondi di questa “vicinanza affettiva”? “Le migrazioni che hanno portato molti italiani in Argentina non sono state dimenticate, anzi la maggioranza degli argentini ricorda con orgoglio le proprie radici italiane. La vicinanza affettiva che è prodotta da questa storia comune è stata coltivata nel tempo, ed è questo che la rende così unica. In Argentina c’è sempre stato interesse a mantenere vive le tradizioni italiane, che nel tempo si sono mescolate alla cultura argentina producendo un legame che l’Italia non ha con nessun altro paese al mondo”.

Come descriverebbe oggi il ruolo degli italiani in Argentina, Paese che da secoli ospita una delle nostre più grandi Comunità al mondo. “Gli italiani che vengono in Argentina si stupiscono della forza del legame che gli argentini mantengono con l’Italia. Anche se le dinamiche sono cambiate rispetto al passato, il ruolo degli italiani in Argentina è ancora molto significativo. La loro presenza capillare in molti settori dà un contributo alla vita economica, culturale e sociale del paese. Come dicevo, molti argentini di terza o quarta generazione si considerano ancora fortemente italiani e l’italianità non è solo una questione di discendenza ma anche di orgoglio culturale, che dà vita ad un’identità “mista” unica nel suo genere”.

In che modo la diplomazia può valorizzare questa relazione speciale tra i due Paesi? “La diplomazia mira proprio a mantenere questo legame. Il rafforzamento dei rapporti economici e imprenditoriali tra Italia e Argentina è parte fondamentale del lavoro svolto dall’Ambasciata, oltre alla cooperazione in ambito politico. Ma la diplomazia ricopre anche un ruolo culturale con eventi rivolti alla comunità in tanti ambiti che ne permeano la vita quotidiana: i recenti eventi di diplomazia sportiva sono un esempio di come possiamo valorizzare e rafforzare i legami che uniscono la comunità, dai grandi fino ai più piccoli”.

Quali sono oggi i settori più promettenti per la cooperazione economica tra Italia e Argentina? “Tra i settori economici su cui rafforzare ulteriormente i legami tra i due paesi è da citare il settore delle tecnologie, di cui l’intelligenza artificiale è un esempio. Lo sviluppo del settore della ricerca in Italia potrebbe fungere da esempio per l’Argentina, contribuendo alla crescita in quest’area. Lo stesso si può dire in merito al potenziale dell’Argentina per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Infine parlando del legame tra Italia e Argentina è fondamentale citare lo sviluppo del settore turistico, visto che l’Italia continua a rappresentare una meta importante per molti argentini per motivi familiari e gli italiani apprezzano sempre più la vivacità della cultura argentina”.

Ci sono progetti congiunti in atto che ritiene particolarmente significativi? “Sì, dei progetti significativi sono inclusi nel Piano di Azione che, dopo la visita del Presidenti Meloni a Buenos Aires nel novembre 2024, è stato adottato in giugno in occasione della visita a Roma del Presidente Milei. Il Piano coprirà il periodo dei prossimi cinque anni, fino al 2030, e spazia tra vari settori: dal politico all’economico, includendo ad esempio la sicurezza, la difesa, la cultura, l’educazione e le politiche sociali nella cooperazione bilaterale. Si sta procedendo alla definizione degli strumenti specifici con l’obiettivo di dare un rinnovato slancio ai rapporti tra Italia e Argentina”.

Lei come si trova a Buenos Aires? “Mi sono trovato e continuo a trovarmi molto bene. È una città con forti radici italiane, presenti in molti dei barrios porteñi. Buenos Aires è una città accogliente e culturalmente legata all’Europa, sotto diversi punti di vista, da quello gastronomico a quello architettonico. Ovviamente, come tutte le grandi metropoli, ha anche dei problemi e grandi contraddizioni ma è una città dove, da expat, la qualità della vita è elevata”.

Cosa l’ha colpita di più del suo arrivo in Argentina? “Se parliamo del “momento” del mio arrivo, del primissimo impulso ricevuto dopo essere atterrato ad Ezeiza, dovrei rispondere il traffico. Ricordo che restammo bloccati sull’autostrada per un largo tratto. In realtà il traffico a Buenos Aires è gestibile, ma la prima impressione fu abbastanza dura. In generale, quello che più mi colpisce dell’Argentina sono gli spazi. Un paese che è circa 9 volte l’Italia con una popolazione più ridotta. Viaggiando in auto, o in moto io che sono appassionato, spesso ci si sente perduti in spazi enormi. Mi riferisco un po’ a tutta l’Argentina, non solo alla Patagonia. È una sensazione affascinante”.  

C’è un luogo a cui si sente particolarmente legato? “A Buenos Aires, Recoleta ed in particolare la piazza antistante la basilica di Nostra Signora del Pilar: quando posso mi piace passeggiare nei giardini che si trovano lì soprattutto al tramonto, che spesso assume una luce particolare. Nel Paese, che ho cercato di conoscere in questi quattro anni, mi sento legato alla Terra del fuoco. Un luogo unico. Navigare nel canale di Beagle mi piace moltissimo ed attraversare lo stretto di Magellano in traghetto, con la moto, è stata una esperienza emozionante”. 

Se le chiedessi di selezionare un aneddoto curioso legato alla sua esperienza da Ambasciatore in Argentina? “Rosario, prima missione fuori Buenos Aires. Incontro con la Collettività (che per la maggior parte è di origine piemontese). Due connazionali mi parlano in italiano, in realtà è dialetto del Piemonte, tramandato in famiglia dai tempi dei loro bisnonni. Gli chiesi di parlare in spagnolo perché non riuscivo a seguire il loro discorso. Dice molto su quanto le nostre comunità qui abbiano mantenuto tradizioni e dialetti che a volte è difficile incontrare nel nostro stesso Paese”.

Lei ha una lunga carriera diplomatica alle spalle. C’è un episodio o un insegnamento che porta con sé e che ha influenzato il suo approccio come Ambasciatore? “Questa carriera offre spunti continui, credo che fino all’ultimo giorno in cui avrò l’opportunità di farne parte ci saranno occasioni di crescita, qualcosa da imparare. Tuttavia, a rischio di sembrare retorico, per me l’insegnamento principale resta quello dell’art.54 della Costituzione: il dovere di adempiere alle proprie funzioni con disciplina ed onore”. 

Tra le tante personalità conosciute ne ricorda qualcuna in particolare? “Dopo 30 anni di carriera la lista è lunga. Impossibile fare una classifica. Volendo solo unire quelli che finora sono stati i punti di inizio e arrivo di questo percorso le cito due connazionali che sono per me persone, più che personalità, di grande spessore umano. Il primo è Pio D’Emilia, scomparso purtroppo due anni fa, giornalista in Giappone che mi aiutò, con i suoi modi provocatori ma gentili, a decifrare un paese che non conoscevo e dove ero arrivato per prestare servizio per tre anni e mezzo. L’altra è Vera Jarach, madre de Plaza de Mayo, scomparsa purtroppo proprio oggi, che ho conosciuto qui in Argentina: da quasi cinquanta anni combatteva la battaglia per la memoria e la giustizia in nome di sua figlia Franca, desaparecida a neanche 19 anni nel 1976”.   

Qual è, in definitiva, il suo ricordo più bello legato alla carriera diplomatica? “Anche in questo caso è difficile fare una classifica. Ho avuto grandi soddisfazioni e vissuto esperienze che per me sono state estremamente appaganti. Se proprio devo dare una risposta puntuale, direi il primo giorno che sono entrato alla Farnesina, carico di emozione, aspettative ed anche di soddisfazione ed orgoglio per entrare a fare parte della carriera diplomatica”.

E il più brutto? “L’esperienza professionale in sé non è stata, nel mio caso, causa di momenti “brutti”. Sicuramente in 30 anni ci sono cose buone ed altre meno buone. Vivere a lungo lontano da una buona parte dei propri affetti non sempre è facile e sicuramente spesso ho dovuto affrontare a distanza situazioni familiari che avrei preferito vivere in modo diverso”.

Prossime iniziative in programma dell’Ambasciata? “La fine del mio mandato è vicina ma, nonostante non vi sarò io ad assistervi, il calendario di eventi dell’Ambasciata è ricco di iniziative. Tra le altre, posso citare una mostra a ottobre su Diabolik al Centro Culturale Recoleta in occasione della settimana della lingua italiana nel mondo, o ancora, gli eventi legati alla settimana della cucina italiana nel mondo, che sarà celebrata a novembre. Diversi incontri serviranno a rimarcare il legame gastronomico e dunque culturale che unisce Italia e Argentina”.

Chiuderei questa intervista con qualche consiglio di viaggio rivolto agli italiani interessati a visitare il Paese. “Buenos Aires è sicuramente una tappa imperdibile in Argentina, per ogni turista ma in particolare per gli italiani in quanto ci è sempre riservata un’accoglienza e una disponibilità speciali. Come ho detto, la Terra del Fuoco e Ushuaia sono luoghi che hanno un fascino particolare, ma consiglio fortemente di visitare il più possibile il paese perché ogni regione ha molto da offrire. È un paese dalle tante sfaccettature dove si può trovare molta varietà di paesaggi e tradizioni e che si presta a più tipi di turismo. Ovunque si scelga di andare, si può essere certi che si verrà accolti con la tipica ospitalità argentina”.

Intervista di Marco Finelli

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