L’Hexagone, la Francia, come viene definita con terminologia sì grossolana, ma comunque d’effetto per via della conformazione geografica che la renderebbe simile per l’appunto ad un esagono, sta forse cambiando di geometria? Ci induce a una tale considerazione la situazione politica interna del Paese che, dall’avvento all’Eliseo di Emmanuel Macron, ha conosciuto un graduale scivolamento verso una crisi non solo economica, ma anche e, soprattutto, politica.
E’ il popolo che, sempre più consapevole del condizionamento imposto dal suo attuale Presidente in termini di asservimento ai poteri tecno-finanziari sovranazionali – di cui proprio Macron è diretto esponente – ha deciso di manifestare il proprio dissenso dando abbrivio ad una rivoluzione in quel perfetto stile che conosciamo e che ci offre la stessa Storia dei nostri cugini d’oltralpe.
Qualcosa sta, dunque, cambiando in Francia, e la affermazione della destra di Marine Le Pen è il grande balzo in avanti di una forza politica che ambisce oggi di governare il Paese per restituire ad esso quella sovranità che la politica di Macron – condotta anche attraverso gli strumenti di una Unione Europea piegata alle “elite globaliste” – ha sottratto gradualmente nel tempo. E il terrore di Macron, in questo contesto, altro non sarebbe se non il timore riflesso di queste “elite” che il cambiamento di orientamento in Francia possa risultare di pessimo esempio per altri Paesi, che verrebbero così incoraggiati ad assumere un atteggiamento vieppiù determinato nell’opporsi ad un’Europa rivelatasi nel tempo vera nemica dei popoli europei.
Del resto stiamo già assistendo ad una monta dell’euroscetticismo tra i Paesi dell’Unione e la prova ci verrebbe offerta da quel “manifesto patriottico” annunciato recentemente a Vienna dal leader magiaro, Orban, e che si propone come un faro per chiamare a raccolta le forze di opposizione in Ungheria, in Austria e nella Repubblica Ceca, senza trascurare le simpatie suscitate in altri Paesi presso quei partiti allineati sulle stesse sensibilità.
La Francia di Macron, che non è naturalmente quella del suo popolo, è, dunque corsa ai ripari. Si sono inventati i “patti di desistenza”, hanno adottato la linea della rinuncia alle candidature pur di catalizzare le forze anti-destra del Paese in vista di arginare la temibile avanzata di Le Pen in sede elettorale al secondo turno.
Un tentativo disperato sembrerebbe, comunque, perché in ogni caso la Francia, fino ad oggi “esagonale”, e come tale tradizionalmente solida e saldamente ancorata ad uno stabile terreno, rischia ora di mutare geometria per assumere un nuovo contorno, una forma irregolare, scabra e certamente più schiacciata in quanto compressa tra due fondamentali tendenze: da un lato, la crescente polarizzazione politica e ideologica, foriera di pericolosi risvolti sul piano sociale, e, dall’altro, la prospettiva di una ingovernabilità del Paese a fronte della quale Macron cercherà di mantenere le posizioni fin tanto che la eventuale coabitazione con Rassemblement National gli concederà sufficienti margini di manovra.
Meno grave, per contro, la proiezione di Macron nell’Europa post-elettorale. Spettando istituzionalmente al Presidente della Repubblica la conduzione della politica estera, sarà ancora Macron il “decisore” primario sulla linea di condotta che la Francia dovrà mantenere in seno al consesso europeo. Ma anche sul fronte comunitario le acque sembrano, comunque, agitarsi. E ciò nel senso di una crescente, sebbene ancora larvata, opposizione ad una leadership di Ursula von der Leyen sempre più percepita come ostile dai popoli dell’Europa.
Bruno Scapini