Il tentativo occidentale di mobilitare l’opinione pubblica internazionale per indirizzarla verso un sostegno alla causa ucraina sembra essersi infranto contro la diffusa resistenza opposta dai Paesi del Sud del Mondo. A dimostrazione di questo effetto soccorre il miserevole esito della Conferenza sulla Pace appena conclusasi a Lucerna, in Svizzera.
L’evento, fortemente voluto da Zelensky – non senza istigazione occidentale, per quanto ben camuffata – avrebbe dovuto rappresentare, nelle intenzioni del leader ucraino e dei suoi sostenitori, un catalizzatore di consensi capace di decretare la condanna di Mosca per conto e a nome di una Comunità internazionale presuntivamente schierata sulle sensibilità di Kiev. Nulla di tutto questo è invece accaduto. Le posizioni dei contendenti sono rimaste divaricate e l’unica certezza emersa è la massimizzazione della pretesa ucraina in vista di un negoziato senza sconti per l’integrità territoriale del Paese. Esaminiamone le ragioni.
In primo luogo, è da osservare come a un vertice di respiro globale, quale la Conferenza in parola avrebbe dovuto essere, è venuto a mancare quel requisito soggettivo essenziale – unico si potrebbe anche aggiungere – che avrebbe giustificato l’intitolazione dell’evento alla “pace”: la presenza della Federazione Russa. È ingenuo infantilismo, infatti, immaginare di poter discutere di pace e di riconciliazione nel pieno di una guerra in corso in assenza di uno dei contendenti. Una circostanza, questa, che, se voluta dai promotori dell’evento, come sembra, non farebbe che confermare implicitamente il fine reclamistico del vertice, ovvero l’intenzionalità dei Paesi occidentali a utilizzarlo come cassa di risonanza a livello mondiale in vista di mobilitare una critica contestazione delle posizioni moscovite.
Dunque, una Conferenza, quella di Lucerna, partita già in salita, con un percorso irto di difficoltà rese da sotterranei dissensi e non convinte acquiescenze. Lo dimostrerebbero, del resto, l’assenza al tavolo negoziale dell’altro grande colosso geopolitico, la Cina, e il basso livello delle delegazioni della maggioranza dei Paesi partecipanti. Così mutilato, il vertice non avrebbe comunque potuto conseguire nessun risultato di rilievo; una circostanza di cui ha preso realisticamente atto la stessa Presidente della Confederazione, Viola Amherd, così indotta, già in apertura dei lavori, ad escludere la possibilità in quella sede di negoziare la pace, optando semmai solo per una preparazione del terreno nell’ottica di un futuro vero negoziato.
In secondo luogo, e ponendosi dalla prospettiva opposta del Cremlino, l’adesione ad un simile consesso, chiaramente voluto per fini propagandistici, come provato dalla sua genesi unilaterale, non avrebbe di certo servito nel migliore dei modi la causa nazionale della Russia collocandosi la sua eventuale presenza ben al di là di una qualunque ragionevole condotta diplomatica. Aderendo, infatti, alla Conferenza – ammesso che Putin abbia ricevuto un invito, ma non sembrerebbe – Mosca avrebbe consentito di trasferire un’eventuale trattativa sul conflitto dal piano bilaterale – più idoneo a far valere le proprie posizioni in maniera più diretta ed assertiva — a quello multilaterale dalla decisionalità innegabilmente più fluida e diffusa. Una condizione che avrebbe fatto ovviamente perdere di “momentum” all’iniziativa negoziale di Mosca per relegarne il ruolo ai margini di un negoziato multilaterale col rischio che venisse da questo fagocitato. Il rigetto di Mosca del vertice vuole, pertanto, significare l’esclusione di trattative etero-dirette, non previste secondo modalità concordate, ovvero nel rispetto di una sostanziale parità tra soggetti negoziatori.
Ma il colpo decisivo al prestigio e all’autorevolezza del vertice è stato invero inferto dal rifiuto di diversi Paesi a sottoscrivere la dichiarazione finale! La propensione, ovviamente favorevole alle posizioni di Kiev, risultante da diversi passaggi del documento, deve aver indotto numerose delegazioni e leader ad astenersi dal prendere una posizione. Ben 12 Paesi avrebbero rifiutato la firma e tutti di non poco conto in termini di rappresentatività degli equilibri mondiali, tra cui basterebbe citare l’Arabia Saudita, il Messico, l’India, il Brasile, il Sudafrica e l’Indonesia. Paesi che da soli costituirebbero per entità di mercato un blocco ben più rilevante di quello rappresentato dai soliti “Big” occidentali.
In tali condizioni, ovviamente, il vertice ha dovuto ripiegare su tematiche più generiche e marginali. Così, al solito plauso alla integrità territoriale dell’Ucraina, sono stati aggiunti altri temi quali: la sicurezza nucleare, la libertà di navigazione per consentire di soddisfare le necessità alimentari, lo scambio di prigionieri e il trasferimento in Ucraina dei deportati, inclusi i bambini ritenuti rapiti dalle forze russe. Non poteva, infine, mancare per concludere, un appello finale ad astenersi dalla minaccia e dall’uso della forza, ribadendosi il rispetto dei principi di integrità territoriale, di sovranità e di indipendenza politica di qualunque Stato.
Peccato, potrebbe essere fondato commento, che la predica provenga ancora una volta dal pulpito sbagliato. Proprio gli occidentali, infatti, con gli Stati Uniti in testa, sembrano pronti alla provocazione nei confronti non solo della Russia, ma anche di quei Paesi, come la Cina, che indirettamente la sostengono. Stoltenberg, il Segretario Generale della NATO, dichiara apertamente che sarà interesse occidentale procedere nell’Est europeo ad un ampio dispiegamento di armi nucleari, mentre da parte di molti leader atlantisti si afferma un sostegno incondizionato alla guerra di Zelensky, per tutto il tempo necessario in vista di ottenere la resa di Mosca. In tale prospettiva, in cui la spinta a continuare il conflitto non sembrerebbe conoscere limiti né di tempo, né di forniture di armi – e lo proverebbe il recente accordo decennale di sostegno all’Ucraina firmato da Biden e da Zelensky – appare chiaramente allora come sia precipuo obiettivo dell’Occidente portare il ritmo dell’”escalation” a livelli vieppiù elevati fino a giocarsi la partita ai limiti delle “linee rosse” previste dalla dottrina strategica moscovita.
In altre parole, l’Occidente intenderà spingere il confronto con la Russia in una sorta di “gara di resistenza” facendo rimbalzare su Mosca la responsabilità della decisione sull’ultima chance utile per evitare il peggio. Un gioco al logoramento sembrerebbe questo, soprattutto se si considera che la reazione della Russia potrebbe essere estrema e radicale qualora percepisse di essere concretamente minacciata nella sua integrità territoriale e sopravvivenza. Ma i falchi americani non sembrano voler credere agli avvertimenti del Cremlino e preferiscono sottovalutare la capacità russa alla resistenza cercando di ottenere dei vantaggi proprio da una progressiva crescita della tensione. Ma, come emerge da questo vertice di Lucerna, una nuova realtà confronta oggi l’Occidente: un numero sempre più alto di Paesi sembra prendere le distanze da un’America interessata unicamente all’affermazione della propria leadership. Un obiettivo, quest’ultimo, che essa persegue indefessamente scambiando purtroppo la democrazia per strumento d’imperio e l’aiuto come mezzo di sottomissione.
Una svolta epocale sarebbe, dunque, in corso. Una svolta condotta da quei Paesi del Sud del Mondo che guardano oggi ad un ribaltamento del corso politico, per passare da una visione della Storia incentrata sull’egoismo economico e la conflittualità diffusa, ad un’altra tesa a riplasmare i rapporti internazionali secondo i valori dell’equità, della giustizia e della solidarietà. Valori da troppo tempo in sofferenza, prima col colonialismo, poi con la politica predatoria delle multinazionali e oggi con la pretesa di alcuni uomini dell’élite finanziaria che, ebri del proprio potere, puntano a sottomettere il Pianeta intero erigendosi a demiurghi di una nuova ibrida umanità. Il corso storico, è vero, sta cambiando sia nei tratti che nelle idee nella lotta emergente contro questi individui. Ma il compito non sarà facile, né la loro resa scontata. Hanno loro, infatti, le leve del potere, e sono loro che governano i centri di gestione del capitale globalizzato. Occorrerà allora un’azione di resistenza altrettanto determinata e perseverante per poter vincere, perché un colpo di coda del dinosauro ferito sarà sempre possibile; e potrebbe anche far male!