“La diplomazia oggi sembra incapace di risolvere le gravi crisi che dilagano per il mondo”: stimato Ambasciatore d’Italia, Bruno Scapini, dopo aver dedicato tutta la sua vita alle Relazioni Internazionali, girando il mondo in lungo e largo, non nasconde la sua preoccupazione e il suo rammarico. “Oggi chi parla più di disarmo o di negoziato? Tutt’al più si ammette un cessate il fuoco” ammette visibilmente contrariato, mentre assieme ripercorriamo, con la dovuta nostalgia, le tappe di una brillante carriera diplomatica, che lo ha portato a svolgere tra il 1975 e il 2014 una molteplicità di missioni.
Numerosi gli incarichi ricoperti in ambito governativo presso il Ministero degli Affari Esteri e, quale Capo del Dipartimento degli Italiani nel Mondo, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, altrettanti quelli ricoperti all’estero presso vari Consolati Generali e Ambasciate, compresa quella in Lussemburgo con diretta esperienza presso gli organismi dell’Unione Europea, fino poi a diventare, da ultimo, Ambasciatore d’Italia presso la Repubblica di Armenia.
Un’attenta capacità di analisi e una buona dose di schiettezza sono indubbiamente le doti migliori di Bruno Scapini, Ambasciatore che, superando il convenzionale o il politicamente corretto, con garbo e uno stile diretto, si è da sempre spinto oltre con coraggio e coerenza. Da ultimo, la scelta di candidarsi alle prossime elezioni Europee con Democrazia Sovrana Popolare.
La conversazione scorre via piacevolissima.
La sua carriera diplomatica è iniziata nel 1975 ed è culminata con l’incarico di Ambasciatore d’Italia presso la Repubblica di Armenia nel 2009.In generale, qual è oggi il suo giudizio sulla diplomazia italiana?
“Francamente ritengo che non esista una diplomazia italiana diversa da quella di altri Paesi. La Diplomazia è una funzione che obbedisce a dei canoni universalmente condivisi. È il mezzo preferenziale attraverso il quale gli Stati si relazionano tra loro e agiscono come soggetti di quella che chiamiamo “Comunità Internazionale”. Ciò che cambia nella Diplomazia dei vari Paesi è piuttosto il modo di condurla. E qui entra in gioco il senso della potenza che dietro di essa si nasconde e che rende la sua azione più o meno assertiva a seconda delle circostanze. Purtroppo la nostra Diplomazia è oggi in sofferenza. Ma non per incapacità o inettitudine, bensì per il fatto che riflette una sostanziale debolezza dell’Italia sul piano internazionale”.
La storia recente, purtroppo, registra numerosi conflitti nel mondo. Possiamo dire che la diplomazia, ai giorni nostri, appare sovente in difficoltà?
“Non avrei alcuna difficoltà ad ammetterlo. Sì, è sotto gli occhi di tutti che la Diplomazia oggi è in affanno. Sembra incapace di risolvere le gravi crisi che dilagano per il mondo. E’ la funzione diplomatica in sé che incontra enormi difficoltà ad affermarsi come metodo di dialogo. Prevale la violenza di questi tempi. Si ricorre alla minaccia, alla costrizione e alla guerra. Chi parla più oggi di disarmo o di negoziato? Tutt’al più si ammette un “cessate il fuoco”. Una pausa tra due episodi di guerra! Ma la ragione è presto spiegata: tra la funzione diplomatica, intesa quale strumento del Diritto Internazionale, e la Comunità Internazionale, intesa come società di Stati, esiste un rapporto di stretta corrispondenza. La Diplomazia riflette storicamente lo stato della Comunità Internazionale, e se questa è destabilizzata o abbandonata a condotte regressive viene inevitabilmente a retrocedere, si marginalizza, fino ad annullarsi di fronte al prevalere della forza e della violenza. Ed è questo che sta oggi accadendo”.
Nel merito, dove vanno ricercate a suo avviso le cause del conflitto in atto fra Russia e Ucraina?
“Sulla guerra in Ucraina purtroppo c’è tanta mistificazione e ipocrisia. La questione non va affrontata come se ci trovassimo davanti ad una fotografia del momento, ovvero l’atto dell’invasione russa del febbraio 2022. Un vero statista dovrebbe poter risalire alle reali cause storiche di un fenomeno. Ma nella nostra odierna realtà politica purtroppo non vedo grandi statisti, ma solo tanti opportunisti. Ebbene, la Russia è intervenuta in Ucraina in quanto gli Stati Uniti, in totale disprezzo delle intese intercorse prima della riunificazione delle due Germanie – ad iniziare dal Vertice di Malta del 1989 tra Gorbachov e Bush fino alla lettera di Yeltsin a Clinton del 1993 – hanno avviato una politica di singolarizzazione della nuova Russia, nata dalle ceneri della ex Unione Sovietica, ricorrendo alla NATO e al suo allargamento verso Est, fino ad inglobare oggi in sette tappe successive quasi tutti gli Stati dell’Europa Orientale e balcanica, ponendo così una seria minaccia alla sicurezza del Paese. La promessa americana, infatti, era che la NATO non avrebbe oltrepassato di un solo pollice il fiume Oder. Ma così non è stato. D’altra parte è un chiaro interesse di Washington indebolire la Federazione Russa; e ciò al fine di evitare una qualunque sorta di cooperazione con l’Europa che, alimentando la crescita di un potente soggetto euroasiatico, avrebbe posto una concreta sfida alla supremazia della leadership americana!”.
E come giudica quanto avviene oggi in Palestina?
“Si tratta a mio avviso di una crisi che non si vuole risolvere. La ragione risiede semplicemente nel fatto che la soluzione preconizzata fin dal 1948 dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU con la Risoluzione 181, quella relativa a due popoli e due Stati, non viene più accettata da Israele interessato a mantenere il controllo sulle terre palestinesi a vantaggio della propria espansione. Più in particolare, per quello che accade a Gaza oggi, non c’è dubbio che l’attacco di Hamas sia da deprecare e condannare, ma teniamo presente che comunque tra Hamas e Gerusalemme esiste da decenni un permanente stato di guerra. Infatti, non c’è mai stato un trattato di pace. Ma la reazione israeliana è chiaramente in violazione delle più fondanti norme di Diritto umanitario e Internazionale. Se gli israeliani avessero voluto condurre una legittima rappresaglia, ebbene, questa per essere giuridicamente ammissibile, avrebbe dovuto rispondere alle condizioni di proporzionalità rispetto al danno ricevuto. Ora siamo invece in una situazione completamente fuori norma. Non solo, ma anche il regime imposto da Gerusalemme a Gaza e alla Cisgiordania è in violazione delle norme internazionali. La stessa Corte di Giustizia dell’Aja ha condannato Israele per porre in essere una “annessione strisciante” dei territori palestinesi e questi, sempre per giudizio della Corte, sono da ritenersi a tutti gli effetti “territori occupati” fin dalla guerra del 1967. La situazione è oggi drammatica come sappiamo. Né la soluzione sembra essere in vista. Gli USA, nonostante le dichiarazioni del loro Presidente intese a invitare Gerusalemme alla moderazione, appoggiano ovviamente la politica aggressiva di Israele, e fin tanto che questo indirizzo politico della Casa Bianca continuerà, la questione palestinese resterà sfortunatamente irrisolta. Neanche Trump potrà essere in grado di risolverla, temo. Solo una concertata azione politica da parte di tutti i Paesi arabi confinanti potrebbe forse indurre Washington a cambiare corso in futuro”.
Anche il Nagorno Karabakh è stato purtroppo teatro nel recente passato di un intervento militare.
“Del Nagorno Karabagh purtroppo non si parla molto se non nei momenti più acuti di questa crisi che si trascina fin dal 1994, ovvero dalla fine della prima guerra tra Armenia e Azerbaijan, e che spesso si intreccia con la sopravvivenza dell’antico odio turcomanno verso gli armeni. Il Karabagh è infatti un territorio conteso da Baku, nonostante sia di insediamento storico armeno. Trascurando ora i precedenti circa la collocazione avuta dall’oblast al tempo di Stalin, l’antecedente più immediato del lungo conflitto è l’aspirazione del territorio, quale entità substatuale dell’URSS, ad ottenere l’indipendenza da Mosca, al tempo del dissolvimento dell’Unione Sovietica, alla stessa stregua delle Repubbliche sovietiche, e nel caso specifico dell’Azerbaijan entro i cui confini il Karabagh era previsto come entità autonoma. Orbene, ai sensi di una legge del Soviet Supremo del 1990 sulla secessione degli Stati, con l’indipendenza dell’Azerbaijan anche il Karabagh ha voluto la propria procedendo così ad un referendum. Ma l’indipendenza non è mai stata riconosciuta da Baku che, fruendo del sostegno dei Paesi occidentali – interessati più al gas e al petrolio azeri che al riconoscimento dell’autodeterminazione – ha mosso guerra riuscendo dopo quasi trent’anni a conquistare il Karabagh con enormi sacrifici sopportati dagli armeni. Le due ultime guerre del 2020 e del 2023 hanno ora definitivamente spento la voce della libertà di questo popolo inducendo Baku a procedere alla cancellazione delle vestigia di una civiltà cristiana millenaria. Anche in questo caso, mi corre obbligo di osservare, è l’interesse economico dei Paesi occidentali che ha prevalso a discapito di quei Diritti umani che tanto essi proclamano e che dicono di difendere; ma soltanto, come i fatti dimostrano, quando ritenuti funzionali ai loro interessi”.
In generale, qual è il suo ricordo più bello legato alla carriera diplomatica?
“Quando guardo all’indietro gli anni della mia carriera e mi rivedo nei panni del giovane diplomatico nelle Ambasciate africane, o nelle sedi consolari in Europa, a contatto con le Comunità italiane emigrate, o, da più avanzato funzionario, presso le Ambasciate in Lussemburgo, in Turchia o in Grecia provo – confesso – una enorme nostalgia. E’ una motilità dell’anima che mi induce a rivivere quelle esperienze tutte indistintamente indimenticabili in quanto parti imprescindibili della mia formazione umana e professionale. Ma se devo proprio dichiarare una preferenza, ebbene… quella che mi ha dato la più alta soddisfazione sia sul piano lavorativo che umano è stata la mia missione in Armenia. Un Paese straordinario per la sua profonda umanità, cultura e prossimità ai modi di sentire tipicamente italiani. Sì, dall’Armenia ho tratto l’esperienza più bella e che tuttora mi porto nel cuore con grande nostalgia”.
E il ricordo più brutto?
“Per contro, non potrei dire di aver avuto brutte esperienze nella mia carriera. C’è certamente una certa gradualità in termini di preferenze, ma sono state tutte esperienze molto interessanti e costruttive che mi hanno permesso di conoscere il mondo in tutte le sue molteplici sfaccettature. Potrei fare una distinzione tra le varie mie missioni solo in termini di “disagio”, ovvero di difficoltà a sopravvivere in ambienti difficili per condizioni economiche o per conflittualità sul territorio. Al riguardo potrei citare come esempi l’esperienza avuta in Ghana, in Africa Occidentale, dove ho assistito a due colpi di Stato cruenti, o quella in Turchia, per via di una missione svolta agli estremi confini orientali del Paese verso l’Iraq, per recuperare un cittadino italiano al tempo sequestrato da tribù curde irachene. Ma anche queste esperienze, mi creda, mi hanno lasciato eccellenti ricordi di vita. Trattasi di memorie che ho voluto trasporre nei miei romanzi di fantapolitica. Una narrativa esito conclusivo di una carriera volta ora a denunciare, attraverso trame di fantasia, le criticità dei nostri tempi; e ricorro a tal fine ad azzardi romanzeschi che, molte volte però, proprio azzardi non sarebbero rivelandosi invece come storie ad alto contenuto di veridicità”.
Perché ha deciso di candidarsi alle prossime Elezioni Europee?
“Domanda più che pertinente, data la curiosità che la decisione da parte di un diplomatico di impegnarsi politicamente può suscitare. Glielo spiego. Sul punto devo francamente ammettere che dall’esperienza pandemica appena trascorsa ho tratto la percezione di una profonda anomalia del corso politico che il mondo sta oggi attraversando. Le aberranti misure adottate soprattutto dai Governi occidentali durante la crisi pandemica, imposte peraltro oltre ogni ragionevole previsione e in disprezzo non solo di fondamentali norme costituzionali, ma anche di orientamenti sanitari di diversa ed imparziale matrice, mi hanno indotto a guardare con occhio critico non solo all’evento “Sars cov-19”, ma anche a tutti gli altri che ne sono seguiti. Ebbene, ho trovato che il mondo oggi è in piena destabilizzazione. Un disordine diffuso che si appalesa attraverso una serie interminabile di crisi e di emergenze sorte quasi contemporaneamente al di là dei ritmi previsti dalla natura. Parlano, di crisi energetica, ambientale, climatica, alimentare, sanitaria, addirittura preannunciando l’avvento di nuove pandemie da virus ancora sconosciuti e lamentando un precoce esaurimento delle risorse planetarie. E per affrontare le crisi, ci impongono politiche di transizione. Transizione energetica, ecologica, digitale, fino a preconizzare un mondo del lavoro compromesso da un indiscriminato uso dell’Intelligenza Artificiale e a diffondere guerre per un diritto di primazia che in un mondo multipolare non ha più ragione di esistere. Orbene, è naturale tutto questo? O esiste, più realisticamente parlando, una volontà politica annidata in taluni centri di potere sovranazionali che per favorire una governance globale di matrice tecno-finanziaria sta pianificando cambiamenti epocali? Conoscendo la natura dell’uomo, sarei propenso a credere più a quest’ultima versione. Dopo tutto, non è irrealistico oggi ipotizzare un tale corso storico. In un mondo in cui l’1% della popolazione possiede e gestisce il 99% della ricchezza planetaria, con in aggiunta il controllo delle scienze e delle tecnologie più avanzate, dovrebbe essere facile prevedere una svolta in tal senso. Per carità, non mi fraintenda… io sono a favore del progresso; ma questo non va forzato oltre i limiti di tolleranza dell’uomo, bensì va commisurato alla sua capacità di adattarvisi. E’ l’uomo come soggetto e non come oggetto che deve essere posto al centro delle politiche. Constatando allora questa nuova pericolosa realtà, ho deciso di mettere la mia esperienza e le mie conoscenze al servizio di una causa ineludibile: cercare di rimettere in asse un corso politico, ad iniziare dall’Europa, degradatosi nei valori da perseguire. Il mondo in cui viviamo, infatti, è decisamente allo sbando oggi. Non abbiamo più riferimenti valoriali capaci di guidarci, anzi abbiamo una classe politica che li sta calpestando e distruggendo in nome delle “transizioni” e che predica, ahimè, la guerra come strumento di azione. Disarmo, giustizia sociale, etica… chi parla più oggi di questi valori? Ecco il movente del mio impegno politico oggi”.
Cosa si aspetta dalla prossima tornata elettorale?
“Come sa, sono candidato a queste prossime elezioni europee nella lista di Democrazia Sovrana Popolare. Cosa mi attendo? Certamente non soluzioni radicali considerati i limiti che il mandato parlamentare europeo comporta. Ma c’è indubbiamente una serie di obiettivi da poter perseguire in vista, come dicevo prima, di rimettere in asse un corso politico oggi allo sbando. Principalmente ne vedo tre: recuperare la sovranità nazionale contro ogni ingerenza della Commissione europea, tutelare incisivamente gli interessi nazionali, ricorrendo agli strumenti offerti dai Trattati per opporsi ad ogni ulteriore attribuzione di competenza all’Unione e proporre atti di modifica di precedenti provvedimenti ritenuti lesivi o limitativi degli interessi nazionali (come per la politica agricola, l’energetica, il controllo sociale, la sanità ecc.), e reindirizzare l’azione estera dell’Unione verso la solidarietà internazionale ripudiando la guerra e revitalizzando il ruolo della Diplomazia quale strumento di soluzione pacifica delle controversie come previsto del resto dall’art.11 della nostra Costituzione. Ecco, questo è il mio programma!”.
Intervista di Marco Finelli