La scomparsa di Arnaldo Pomodoro, avvenuta ieri a Milano, alla vigilia del suo 99.imo compleanno, segna la fine di un’epoca per l’arte italiana e internazionale. Ma il suo lascito va ben oltre la scultura: Pomodoro è stato un vero Ambasciatore culturale, capace di trasformare il bronzo in un linguaggio universale di dialogo tra i popoli.
Le sue celebri sfere – presenti in luoghi simbolici come il Cortile della Pigna dei Musei Vaticani, il Trinity College di Dublino, la sede dell’ONU e, non da ultima, la Farnesina a Roma – non sono solo opere d’arte, ma veri e propri strumenti di diplomazia silenziosa. La scultura collocata davanti al Ministero degli Esteri, visibile a chiunque entri nel cuore della diplomazia italiana, è un segno tangibile di come l’arte possa incarnare i valori del dialogo, della complessità e della trasparenza. Con la sua forma perfetta e al tempo stesso fratturata, racconta la tensione tra armonia e conflitto, tra superficie e profondità: una metafora potente delle relazioni internazionali.
Pomodoro ha sempre creduto nel ruolo attivo dell’arte nella società. La sua Fondazione, da lui stesso definita “un luogo vivo di elaborazione culturale”, è stata pensata come spazio di confronto e scambio, aperto ai giovani e al futuro. In questo senso, la sua visione coincide con quella della diplomazia culturale: creare ponti, stimolare il dialogo, promuovere la comprensione reciproca attraverso la bellezza e la riflessione.
Non è un caso che molte delle sue opere siano state scelte per rappresentare l’Italia in contesti internazionali. La sua estetica rigorosa e visionaria ha saputo parlare a pubblici diversi, superando barriere linguistiche e ideologiche. Pomodoro non ha mai avuto bisogno di parole per farsi capire: le sue sculture parlavano per lui, e parlavano al mondo.
Oggi, mentre il mondo dell’arte lo piange, possiamo dire che Arnaldo Pomodoro è stato non solo un gigante della scultura, ma anche un raffinato diplomatico dell’anima.