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Il Cardinale Agostino Marchetto riceve il Premio Bonifacio VIII

Redazione by Redazione
26 Dicembre 2025
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Il Cardinale Agostino Marchetto riceve il Premio Bonifacio VIII
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Nella splendida cornice della Domus “Paolo VI”, in Vaticano, si è tenuta la cerimonia di consegna del Premio Internazionale Bonifacio VIII a Sua Eminenza il Cardinale Agostino Marchetto, Diacono di Santa Maria Goretti che, impossibilitato a ritirare il riconoscimento lo scorso 13 dicembre ad Anagni per motivi di salute, lo ha ricevuto a domicilio.

A tributarlo il Rettore Presidente Sante De Angelis, unitamente al Presidente della Giuria del Premio Mons. José Manuel del Rio Carrasco, che si sono recati nella sala convegni della struttura pontificia, dove ad attenderli c’era il porporato vicentino assieme ad alcuni suoi ospiti, che hanno assistito molto volentieri all’evento.

Nell’occasione, il professor De Angelis, oltre a ringraziare Sua Eminenza per aver accettato il conferimento e la disponibilità, nonostante la sua convalescenza, ha dato lettura della motivazione stilata per l’assegnazione del Premio Internazionale Bonifacio VIII – Città di Anagni 2025 – XXIII edizione “per una Cultura della Pace”: “Al Cardinale Agostino Marchetto, Segretario emerito del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti – recita il testo – viene conferito il Premio Internazionale Bonifacio VIII per la sua eccezionale dedizione e servizio alla Chiesa Cattolica, in particolare nel campo della pastorale delle migrazioni. Durante il suo incarico come Segretario del medesimo Pontificio Consiglio, il Cardinale Marchetto ha lavorato instancabilmente per promuovere la dignità e i diritti dei migranti e dei rifugiati, e sensibilizzato la comunità internazionale sulle sfide e le opportunità delle migrazioni. La sua leadership e la sua saggezza hanno contribuito a rafforzare la presenza della Chiesa Cattolica nel mondo, e a promuovere la solidarietà e la cooperazione tra le nazioni. Il Cardinale Marchetto – si legge ancora nella motivazione – rappresenta un esempio di servizio e di dedizione alla Santa Sede e all’umanità, rendendolo un degno destinatario di questo Premio”.

A consegnare il “Bonifacio VIII” a Marchetto, il collega Emil Paul Tscherrig, Cardinale diacono di San Giuseppe in Via Trionfale, arcivescovo titolare di Voli e diplomatico svizzero al servizio della Santa Sede, dall’11 marzo 2024 già Nunzio Apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino.

Successivamente, l’insignito ha tenuto ai presenti alcuni stralci della Lectio inerente il tema: “La Madonna del Divino Amore: Cuore del Giubileo della Speranza”, che doveva tenere in Anagni presso il palazzo papale lo scorso 13 dicembre.

“Il Santuario della Madonna del Divino Amore – ha esordito Marchetto – è un luogo emblematico, per la fede e per la devozione degli abitanti di Roma. Risulta curioso pensare a come, sebbene la capitale sia, con le sue oltre 900 chiese, la città con più chiese al mondo, molti romani disdegnino i luoghi di culto più famosi e preferiscano recarsi in pellegrinaggio in questo piccolo Santuario a Castel di Leva, nella campagna a sud del grande raccordo anulare. Il perché di questo flusso di visitatori, che già negli anni ’70 superavano i due milioni all’anno, e che affollano il cortile esterno e riempiono il santuario di santini ed ex voto, è difficile da comprendere. Lo è ancora di più se pensiamo che, dopo la fondazione della prima chiesetta, nel 1745, nessun ordine religioso voleva farsi carico di custodire quel luogo di culto, eretto in un luogo così isolato, in una regione insalubre in cui imperversavano i briganti. Per i primi cento anni dalla sua istituzione, il Santuario della Madonna del Divino Amore venne affidato a un custode eremita, mentre i sacerdoti vi si recavano solo nel tempo di Pentecoste, per accogliere i pellegrini. Il Nuovo Santuario venne eretto dopo la Seconda guerra mondiale, per adempiere a un voto fatto dai cittadini di Roma alla Vergine, che aveva salvato la città. Dopo la guerra gli Oblati del Divino Amore e la Congregazione delle figlie della Madonna del Divino Amore iniziano a occuparsi del santuario e di tutte le attività e servizi di accoglienza e assistenza che intorno ad esso si sono sviluppati. Don Umberto Terenzi, rettore del Santuario, invocò l’adempimento del voto e la costruzione del Nuovo Santuario e, finalmente, nel gennaio 1996 il cardinale vicario Camillo Ruini ne pose la prima pietra. Oggi il Nuovo Santuario, può ospitare oltre 1500 pellegrini.

I pellegrinaggi notturni nel Santuario del Divino Amore – ha proseguito il Cardinale – sono una consuetudine molto amata, alla quale i fedeli hanno dovuto rinunciare durante la pandemia, ma che ora sono ripresi. Si parte ogni sabato, dal primo dopo Pasqua all’ultimo di ottobre, alle ore 24 da Piazza di Porta Capena (Circo Massimo) e si cammina nella notte fino al Nuovo Santuario della Madonna del Divino Amore, dove si assiste alla S. Messa celebrata alle ore 5.00. È possibile in alternativa prenotare pellegrinaggi privati al Santuario del Divino Amore, rivolgendosi alla Segreteria del Santuario. La struttura mette a disposizione sale di preghiera e incontro, servizi per i pellegrini e tutto quello che può servire. Nel 1944 l’allora Papa Pio XII invitava gli abitanti di Roma ad affidarsi alla Madonna del Divino Amore perché la loro città venisse risparmiata dalle bombe e dalla devastazione”.

“La devozione alla Vergine Maria di cui il Santuario è il cuore nasce da un’antica raffigurazione della Madonna in trono con in braccio Gesù Bambino, un tempo posta su una delle torri che circondavano l’antico castello dei Leoni. La particolarità di questa immagine – ha detto il Cardinale Marchetto – e forse una delle chiavi di comprensione della diffusione del culto del Santuario, è che sopra la Vergine e il Bambino volteggia una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Fu proprio questa raffigurazione la protagonista del primo miracolo che determinò l’inizio del culto. Secondo la leggenda, nel 1740 un pellegrino in viaggio per raggiungere Roma si smarrì in questa zona inospitale, e all’epoca praticamente disabitata. Mentre cercava rifugio presso i ruderi dell’antico castello, venne aggredito da una muta di cani randagi inferociti. Fu allora che, alzando lo sguardo, vide la Madonna con il Bambino dipinta sulle mura e la colomba dello Spirito Santo su di lei. Invocò l’aiuto della Vergine, e subito i cani si fermarono e si allontanarono, come richiamati altrove. Da quel momento il luogo in cui avvenne il miracolo iniziò a essere visitato da numerosi devoti. Si rese necessario creare una chiesa, che potesse accogliere i fedeli, e l’immagine della Madonna con la colomba dello Spirito Santo venne spostata sull’altare maggiore di quest’ultima nel 1745. Per l’occasione Papa Benedetto XIV concesse l’indulgenza plenaria a tutti i pellegrini per una settimana”. “Seguirono negli anni altri miracoli, che confermarono la benevolenza della Vergine verso il piccolo Santuario. Abbiamo già citato come nel 1944 i romani esortati dal Papa si rivolsero alla Madonna del Divino Amore, la cui effigie era stata trasferita nella chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Campo Marzio per proteggerla dai bombardamenti, e fecero un voto solenne perché salvasse la città dalle bombe. Così avvenne: la stessa sera in cui venne pronunciato il voto i tedeschi lasciarono Roma e le truppe alleate entrarono in città. Come avviene in molti santuari, anche il Santuario del Divino Amore ha accolto nei secoli molti ex voto, offerti dai fedeli per le grazie ricevute dalla Madonna. Custoditi in un’apposita sala – ha aggiunto il Porporato – sono così numerosi che, nel tempo, è stato necessario disporli anche all’esterno, nei cortili e lungo la strada. Oltre ai consueti quadretti, formelle e santini, lettere e foto, abitini di bambini, si trovano magliette di calciatori e campioni sportivi”.

“La Madonna del Divino Amore non cessa di esercitare il suo forte richiamo su tutti coloro che ne custodiscono nel cuore la devozione o ne sentono il richiamo interiore. Anche noi siamo in questo Anno Santo ordinario dedicato alla Speranza, attratti dal materno e discreto invito di Maria. Speriamo ricevere, in questo Giubileo 2025 che sta volgendo al termine, quella luce e quella grazia necessarie per camminare nella via della vita, sicuri che la sua intercessione non delude e che ella non abbandona mai nessuno.

La luce e la grazia – ha aggiunto il Porporato – che cerchiamo sono racchiuse in ogni festa mariana che commemoriamo durante l’anno liturgico. Tutta la grandezza di Maria per la fede cristiana dipende interamente dal fatto che ella è la madre di Gesù, colei che ha dato al mondo l’uomo nel quale, per la potenza dello Spirito Santo, si è incarnato il Figlio di Dio; per questo a lei è dovuto innanzitutto questo titolo, perché il bambino che ha generato è indivisibilmente il figlio suo e il figlio di Dio, in un’unica persona”. “Comprendiamo, perciò il motivo per cui fin dai tempi più antichi si sia voluta venerare Maria come Madre di Dio, perché, grazie alla sua maternità, è un tramite personale insuperabile nella nostra relazione con Gesù. Chi incontra Gesù, presto ne scopre la madre; e chi incontra Maria, vede subito accanto a lei Gesù, o meglio, come nell’immagine a cui è legato il titolo di Madonna del Divino Amore, il bambino Gesù sulle sue ginocchia che non si stanca di guardarla, invitandoci quasi ad entrare nella loro stessa intimità di amore e di fede. In questo si racchiude – ha ripreso il Cardinale con la sua Lectio – il mistero della divina maternità di Maria, nella sua intimità con Gesù in Dio e nel suo renderci partecipi della medesima vita intima.

Tale intima relazione ha però un motivo che la giustifica e la spiega, ed è la presenza e l’azione dello Spirito Santo, il quale sovrasta, nella figura della colomba, Maria e Gesù colmandoli con il suo amore. Lo Spirito Santo è l’amore personale di Dio che circola tra Padre e Figlio e che è stato effuso in Maria perché diventasse la madre del Verbo incarnato. Per questo, dunque, Maria può e deve essere detta Madre di Dio, perché il suo bambino è il Figlio di Dio e, innanzitutto, perché lo Spirito Santo l’ha colmata fino a rendere fecondo il suo grembo e sempre la accompagnerà come l’amore divino che la unisce intimamente a Gesù”.

E si è chiesto: “Quale messaggio dobbiamo portare oggi con noi? Quale luce e incoraggiamento in questo Anno Santo indetto e aperto dal mai dimenticato Papa Francesco e proseguito dal suo successore Leone XIV? Ascoltiamo soprattutto la frase del Vangelo che dice: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Pur dinanzi all’andirivieni dei pastori alla grotta e al loro affaccendarsi attorno alla santa famiglia, Maria mantiene il suo raccoglimento, il suo pensiero non si distoglie ma rimane fisso in Dio e in ciò che le è accaduto per iniziativa di lui e che supera infinitamente la sua immaginazione e le sue aspettative; ella ha bisogno di rielaborare tutto ciò che le succede, ha bisogno di leggerlo con occhi di fede e di restituirlo a noi dopo averlo assimilato e interiorizzato.

Oggi troviamo sempre più difficile compiere la stessa operazione di Maria con la sua custodia interiore e con la sua assidua meditazione. Siamo troppo gettati nell’esteriorità e freneticamente in corsa tra mille esigenze o richiami, così che non abbiamo più tempo e nemmeno attitudine a fermarci a riflettere, a cercare di capire, stiracchiati e dilaniati come siamo tra opposte sollecitazioni e impegni, riducendoci a ripetere pappagallescamente le cose che sentiamo ripetere da altri senza più pensare con la nostra testa, senza mai riuscire a fermarci, a capire che cosa pensiamo e vogliamo veramente”.

“Le cose – ha proseguito Agostino Marchetto – non sono state facili nemmeno per Maria; anch’essa ha avuto bisogno di fermarsi a pensare e a cercare di capire; e tutta la sua vita sarà così, perché Gesù è sempre avanti a lei, e lei non riesce a stargli dietro, anche solo con la testa e con il cuore. Succede così ai genitori con i propri figli; e il dramma è, spesso, che è più facile riempire la testa dei figli con mille raccomandazioni, espressione di ansia da affetto viscerale più che di consigli ponderati dopo attenta valutazione alla ricerca del vero bene dei figli. Maria non ha questa fretta, capisce che il gioco è più grande di lei, ed essa deve solo cercare di capire e di stare accanto a Gesù con il suo amore di madre e con la sua fede di prima discepola del suo figlio, senza essere distratta e senza essere opprimente, attenta alla volontà di Dio e alla identità e alla missione di Gesù”.

“Al di sopra di tutto Maria è, appunto, protesa a cercare quale sia la volontà di Dio. Come all’annunciazione, Maria non cessa di interrogare la Scrittura e gli avvenimenti della vita per scrutare che cosa Dio veramente le chiede passo dopo passo. In questo Maria ci testimonia una prospettiva capovolta rispetto a quella che comunemente incontriamo attorno a noi o pratichiamo noi stessi. Quando ci presentiamo a Dio, noi giungiamo a lui con un progetto tutto nostro, già bell’e fatto, per chiedergli solo di darsi da fare per farcelo realizzare al meglio e senza intoppi; e invece di imprevisti non ne mancano mai. Maria  – ha concluso il Segretario emerito del Pontificio Consiglio dei Migranti ed Itineranti – ci insegna che dobbiamo piuttosto cercare di far nostro il progetto di Dio, la sua volontà, e sforzarci di capirlo per accoglierlo e attuarlo. Quando riusciremo ad arrivare a un simile capovolgimento? Difficile dirlo. Certo è che, finché non arriviamo a metterci in tale atteggiamento, ci troveremo sempre affannati e spesso inconcludenti, se non insoddisfatti e infelici.

Chiedere aiuto alla Madre di Dio significa soprattutto chiederle di aiutarci a conoscere e a fare la volontà di Dio, per il suo disegno di amore e di bene per noi. E per farlo bisogna che impariamo a custodire nel cuore e a riflettere su tutto ciò che ci accade e che incontriamo nella vita, sull’esempio e con l’aiuto di Maria.

È per questo che invochiamo Maria con il titolo del Divino Amore, perché l’amore dello Spirito Santo che l’ha riempita di Dio invada il nostro cuore così da accogliere dentro di noi la sapienza di Dio per viverla giorno dopo giorno nel corso dell’anno che si apre e sempre”.

La cerimonia è stata un riconoscimento importante per il lavoro del Cardinale Marchetto e un’occasione per riflettere sulla importanza della solidarietà e della cooperazione tra le nazioni.

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