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Sandra Scagliotti, Console Onorario del Vietnam a Torino. Una vita tra ricerca, diplomazia e passione civile. “Mi hanno insegnato che, anche in tempi di frenesia, occorre fermarsi per contemplare i petali del fior di pruno che leggeri, volteggiando cadono”

Redazione by Redazione
29 Settembre 2025
in Interviste
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Sandra Scagliotti, Console Onorario del Vietnam a Torino. Una vita tra ricerca, diplomazia e passione civile. “Mi hanno insegnato che, anche in tempi di frenesia, occorre fermarsi per contemplare i petali del fior di pruno che leggeri, volteggiando cadono”
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Studiosa, docente, saggista, pioniera del dialogo culturale tra Italia e Vietnam, Sandra Scagliotti, Console Onorario della Repubblica Socialista del Vietnam a Torino, ha dedicato oltre quarant’anni alla conoscenza e alla divulgazione di una civiltà millenaria. Laureata in Scienze Politiche con una tesi sul ruolo delle donne nella lotta di liberazione nazionale, ha conosciuto e raccontato il Paese asiatico attraverso ricerche, pubblicazioni, corsi universitari e progetti culturali. Fondatrice del Centro Studi Vietnamiti e della rivista Mekong, ha contribuito in modo decisivo alla diffusione della conoscenza di una civiltà quadrimillenaria, ancora poco nota in Italia.

Nel 2004 ha ricevuto la Medaglia dell’Ordine dell’Amicizia dal governo vietnamita, massimo riconoscimento riservato agli stranieri. Il suo lavoro ha intrecciato diplomazia, accademia e attivismo, dando vita a una rete di relazioni bilaterali che oggi coinvolge università, enti culturali e imprese. “Anche in tempi di frenesia”, ricorda, “occorre fermarsi per contemplare i petali del fior di pruno che leggeri, volteggiando cadono”. Una frase che racchiude il senso profondo del suo impegno: promuovere la bellezza, la resilienza e la solidarietà di un popolo che, pur segnato da una storia dolorosa, ha saputo trasformare le ferite in forza e apertura.

Console, lei ha dedicato gran parte della sua vita allo studio del Vietnam: cosa l’ha spinta, fin dagli anni ’80, a scegliere un Paese così lontano e poco conosciuto in Italia? “L’attenzione per la cultura e per l’istruzione, anche in tempo di guerra, quando, ad esempio, nei tunnel di Cu Chi – le immense gallerie sotterranee costruite per sfuggire ai bombardamenti americani, cosi come nelle foreste, dove avevano trasferito le aule scolastiche – i vietnamiti in lotta organizzavano non solo corsi di alfabetizzazione per bambini e anziani ma anche dotte conferenze sul “Kim Van Kieu”, massimo poema  classico del Vietnam”. 

Lei ha fondato il Centro Studi Vietnamiti e la Rivista Mekong: come sono nati questi progetti e quale impatto hanno avuto nella divulgazione della cultura vietnamita? “Sono nati negli anni Ottanta, in tempi certamente non maturi perché fosse recepita un’adeguata diffusione culturale su questo piccolo angolo di Asia… Allora “Vietnam” non era per l’opinione pubblica null’altro che il nome di un Paese in guerra. Ma si doveva pur cominciare. Ero stata la prima studentessa italiana a perfezionare i miei studi in Vietnam e desideravo far conoscere a quanti più possibile questo mondo che per me era sorprendente, straordinario per via della sua storia, per la sua resilienza , e per la forza dei suoi valori morali ma soprattutto per il suo popolo, colto, laborioso e gentile”. 

Nel 2004 ha ricevuto la Medaglia dell’Ordine dell’Amicizia dal governo vietnamita. Un bel riconoscimento… “Si, il massimo  riconoscimento che viene riservato a uno straniero, un grande onore e un grande privilegio con elevato valore simbolico, soprattutto a quei tempi”. 

Se le chiedessi di descrivere il Vietnam con tre aggettivi, quali sceglierebbe? “Resiliente, solidale, unito”.

Il Vietnam, dicevamo, ha una storia complessa e dolorosa, ma anche una cultura millenaria. Quali aspetti culturali ritiene più affascinanti e poco conosciuti in Italia? “Gran parte degli aspetti culturali del Vietnam, sono poco noti nel nostro Paese, ma non nella nostra città, dove oramai, devo dire soprattutto grazie alle attività del Centro di Studi Vietnamiti e dell’Associazione Nazionale Italia Vietnam, unitamente alle attività di Vietcaffè, quasi tutti festeggiano il Tet Nguyen Dan – il capodanno vietnamita – o la festa di Mezz’autunno, mangiano «banh mi», il celebre sandwich decantato da Obama e dallo chef Bourdain e bevono Birra Sài Gòn, anche in omaggio, voglio credere, al patto di amicizia che lega il capoluogo piemontese a Ho Chi Minh, grande metropoli del Sud, siglato a Torino nel 2015 dall’Onorevole Fassino.  Segnalo nondimeno grandi eventi cittadini come “Open House” in Consolato e, a suo tempo, “Settembre Musica”, rassegna che offrì un’eccezionale selezione di musica vietnamita”.

C’è un aneddoto particolare vissuto nel Paese che le fa piacere ricordare in questa intervista “Sono talmente tanti  i ricordi e le emozioni! Più che un aneddoto, vorrei citare un episodio. Risale a quando, poco tempo prima della sua morte, incontrai  il Prof. Nguyen Khac, Vien, massimo intellettuale dell’epoca rivoluzionaria, braccio destro di Ho Chi Minh, storico e ricercatore, che per me che avevo studiato sui suoi libri, costituiva un autentico mito. Dopo un intenso colloquio mi congedò con una poesia. Anche in tempi di frenesia, diceva, occorre fermarsi per contemplare i petali del fior di pruno che leggeri, volteggiando cadono. Occorre di tanto in tanto fermarsi per … contemplare la bellezza”.

In generale, com’è percepita l’Italia in Vietnam? “L’Italia gode di grande reputazione nel Paese, per via della sua storia, della sua arte e della sua cultura. Addirittura vi fu un movimento in Vietnam che si ispirava a Mazzini, e la «Divina Commedia » è tradotta in vietnamita (ad opera del mio Maestro, Prof. Nguyen Van Hoàn), cosi come sono tradotte sin dagli anni Sessanta, molte opere letterarie italiane di narrativa e saggistica”.

Il Vietnam è spesso citato come modello di sviluppo sostenibile in Asia. Quali sono, secondo lei, i punti di forza di questo modello? “Sicuramente l’apertura: il Vietnam è un Paese che non teme il confronto e che dialoga con tutti. Dal contatto con le culture straniere nel corso del tempo ha tratto una sorprendente capacità di sintesi per assimilare e poi «vietnamizzare» per adeguarli al contesto locale, gli elementi positivi delle culture altre. Questo è visibile per esempio nell’arte e nella letteratura, nell’ordinamento delle scienze, ma nondimeno nella cultura materiale: in Vietnam troviamo il pane, nella forma della classica baguette francese, eredità coloniale positiva”. 

Come descriverebbe il ruolo delle donne nella società vietnamita oggi, alla luce delle sue ricerche storiche e sociali? “La donna ha sempre avuto un ruolo determinante nel contesto sociale del Paese, che dagli anni cinquanta, dispone di un codice di famiglia avanzatissimo. Si pensi inoltre che, nel 1471, grazie alle influenze del codice napoleonico, il codice Hong Duc, al tempo della dinastia dei Le posteriori, stabiliva che le donne potessero ereditare. E si pensi che questo sistema giuridico, per quanto soggetto a influenze cinesi, conteneva elementi specificamente vietnamiti. A riprova del fatto che, come dicevo sempre ai miei studenti: “il Vietnam non è la Cina. Popoli fratelli ma culturalmente distinti”. La lingua ne è la prima riprova. Non deriva dal cinese”.

Quali sono le principali attività del Consolato del Vietnam a Torino e come si sviluppano le relazioni bilaterali con il Piemonte? “Va detto che i Vietnamiti della diaspora residenti in Piemonte amano scherzare alludendo al fatto che essi ritengono «Torino la capitale italiana del Vietnam». In città è attivo non solo il Consolato, ma, sin dagli anni anni Ottanta, un Centro di Studi Vietnamiti, una Biblioteca vietnamita, la sede dell’Associazione Nazionale Italia Vietnam, e oggi anche il Desk del Piemonte di ICHAM, la Camera di Commercio italiana in Vietnam; c’è Asia Economic Cultural Council e infine il Vietcaffè, che oggi tutti conoscono perché ed è divenuto il luogo iconico dell’estate 2025”.

A proposito della Biblioteca di Studi Vietnamiti Enrica Collotti Pischel, da lei co-fondata. Qual è il valore di questo archivio per studiosi e cittadini? “Oggi il Vietnam gode di una certa notorietà come Paese leader nel Sud est asiatico e ambita meta turistica, ma la Biblioteca vietnamita è nata in un tempo in cui si pensava al Vietnam come a un apparato politico militare. È servita pertanto dapprima ai miei studenti in Università, che la frequentavano per trovare materiali per tesi e relazioni, ai ricercatori e agli studiosi; oggi si apre al grande pubblico anche grazie al Vietcaffè e alle sue Collezioni, come quella di strumenti musicali tradizionali”.

Esistono collaborazioni tra università italiane e vietnamite? Se sì, quali settori sono più coinvolti? “Si certo e naturalmente non manca l’Università di Torino che nell’ambito degli insegnamenti devoti all’Asia, fu la prima in Italia ad avviare corsi e seminari specificamente rivolti al Vietnam, grazie ai Professori Torri e Morosini, con i quali ho a lungo collaborato, e al Preside Bertinetti che inaugurò il primo corso di lingua vietnamita presso una Facoltà italiana. Molti dei miei studenti oggi occupano posti di rilievo in Asia, proprio  grazie a quei corsi pionieristici di Storia moderna e contemporanea del Vietnam, che tenni presso il Dipartimento di Studi Politici sin dagli anni Novanta”. 

Qual è, in definitiva, il suo ricordo più bello da Console Onorario del Vietnam? “Sono tantissimi i ricordi belli, che ancora mi commuovono, momenti di puro entusiasmo. In Vietnam ho formato la mia coscienza politica e morale, impossibile elencarli tutti. Il momento in cui ho ricevuto la medaglia dell’Ordine dell’Amicizia è stato importante per me, perché ho visto riconosciuto e apprezzato il mio piccolo contributo alla diffusione della conoscenza di questa civiltà quadrimillenaria. E poi gli incontri con personaggi leggendari, le visite a luoghi che avevo conosciuto attraverso i libri, le esperienze di studio e ricerca con i colleghi vietnamiti. E l’orgoglio che provo nel constatare che alcuni dei migliori giovani studiosi vietnamiti che ho incontrato oggi hanno incarichi importantissimi e ruoli prestigiosi”. 

E il più brutto? “In Vietnam non ho mai avuto momenti brutti in verità; non mi sono mai sentita straniera; è quello del Vietnam un popolo che mi ha saputo accogliere sin dal primo momento con calore, affetto e simpatia. Unico fatto che mi fa sorridere e che ancora ricordo con un po’ di imbarazzo, è la mia prima conferenza presso l’Università di Ha Noi, quando, io che studiavo la storia e la cultura del Vietnam (ma non ero specialista di lingua vietnamita), fui costretta a esprimermi in lingua viettnamita davanti a professori e allievi… Naturalmente, feci alcuni memorabili e imbarazzanti gaffes, cosa molto facile per gli stranieri, per via dell’apparato di accenti, i tipici segni diacritici che caratterizzano il Quoc Ngu”. 

Tra i tanti diplomatici conosciuti, ne ricorda qualcuno in particolare? “Tanti, sì, tanti da cui ho cercato di trarre insegnamenti. In particolare l’Ambasciatore Mario Sica, cui sono molto affezionata e che, fra il resto, negli anni duemila, è stato Direttore Generale per i Paesi dell’Asia, dell’Oceania, del Pacifico e Antartide. Da lui, grande intellettuale e formidabile conoscitore del Vietnam, ma anche da sua moglie (che è vietnamita), ho appreso preziosi consigli; con loro ho passato momenti molto belli”.

Chiuderei questa intervista con qualche breve consiglio di viaggio per gli italiani interessati a visitare il Vietnam. “Tengo specifici incontri periodici rivolti ai viaggiatori in partenza e i nostri siti e profili facebook sono un pozzo di costante e accreditata informazione. In linea di massima, consiglio a chi ne ha possibilità, di prendersi qualcosa in più dei classici 15 giorni di viaggio. C’è tanto da vedere, al Nord, al Centro e al Sud! La cucina è deliziosa e la gente aperta e simpatica. Oggi il Vietnam è un Paese moderno e all’avanguardia in molti settori, che offre spunti per rivivere la storia di una civiltà quadrimillenaria, per conoscere, e dunque inevitabilmente amare, questo Paese e il suo popolo”. 

Intervista di Marco Finelli

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