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“Trump, l’Iran e il grande azzardo”, l’Editoriale dell’Ambasciatore Bruno Scapini

Redazione by Redazione
22 Giugno 2025
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“Nuova miccia nel Medio Oriente: il nucleare iraniano”, l’Editoriale dell’Ambasciatore Bruno Scapini
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di Bruno Scapini

A dispetto delle aspettative alimentate dalla annunciata attesa di due settimane prima di decidere se e come intervenire in Iran, Trump rompe gli indugi e, spiazzando tutti coloro che contavano sulla sua inclinazione al dialogo, ricorre alla forza e colpisce i tre siti nucleari iraniani di Fordow, Natanz e Isfahan. Gli attacchi di ieri, come del resto quelli israeliani del 13 giugno – di cui possono considerarsi il logico nefando corollario – sono condannabili sotto ogni profilo e prospettiva e senza alcuna eccezione. Un’aggressione proditoria, che contrasta e inibisce qualsiasi tentativo di accreditare Donald Trump quale “uomo della pace” come ci aveva inizialmente indotto a credere. Evidentemente, anche lui, subisce il condizionamento della fascinazione ebraica, e non solo quella incarnata dallo Stato di Israele, ma anche l’altra, ben più compulsiva, macchinale e infrenabile, che trova negli apparati sionisti incardinati nelle amministrazioni federali e nello stesso Congresso la loro più manifesta e ineludibile espressione. Senza indulgere in illusioni, infatti, possiamo oggi tranquillamente affermare come dall’avviamento del processo di “rapprochement” inaugurato dal “tycoon” con Mosca fin dall’indomani del suo ingresso alla Casa Bianca, sembrasse lecito credere che qualcosa potesse cambiare nei rapporti Est-Ovest. Del resto, la ritrosia di Trump a sottoscrivere nuove sanzioni o dichiarazioni di condanna della Russia, parallelamente alla dura requisitoria contro l’Europa illiberale, pronunciata per voce del suo Vice Presidente Vance, ci aveva sollecitato uno spiraglio seppur minimo di speranza per la pace. Evidentemente, deve risultare più praticabile per la Casa Bianca trattare con gli uomini del Cremlino anziché con gli esponenti di Israele! La sottomissione alle pressioni dell'”establishment” sionista non è, del resto, la novità di Trump. E’ dalla nascita dello Stato di Israele che le lobby israeliane esercitano ininterrottamente la loro pervasiva influenza sul Congresso e sulla stessa Casa Bianca, e lo fanno indipendentemente dal colore politico del suo inquilino! 

E la ineluttabilità di tale corso, che di fatto e inequivocabilmente comprova la propria forza, è resa peraltro manifesta proprio dalla consolidata impossibilità per il Governo americano di emanciparsi dai condizionamenti imposti dalle lobby israeliane, dalle quali nessun Presidente degli Stati Uniti – ribadiamo nessuno – ha mai avuto la forza di sottrarsi. Basti citare, per chi non lo ricordasse, la resistenza fermamente opposta nei primi anni ’60 da John Fitzgerald Kennedy proprio, per ironia della sorte, allo sviluppo del nucleare israeliano presso il sito di Dimona nel deserto del Negev.

Orbene, alla luce di quanto ora riportato da fonti attendibili dell'”intelligence” statunitense, come anche dalla stessa AIEA (l’Agenzia per l’Energia Atomica), l’ipotesi di una imminente dotazione da parte iraniana di armi atomiche non solo sarebbe priva di fondamento alcuno (se ne parlerebbe fin dal 1984!), ma costituirebbe una vera e propria menzogna costruita ad arte per offrire all’Occidente pro-Israele il pretesto per giustificare un atto di aggressione onde non tanto rimuovere il rischio della minaccia atomica per Tel Aviv, quanto la eliminazione nel Paese di una qualsiasi traccia di nucleare anche per uso civile. In realtà, se la questione del nucleare iraniano sembrerebbe essere la ragione più immediata del bombardamento americano al fine di ridimensionare il potenziale militare di Teheran per compiacere Israele, è l’abbattimento del regime degli Ayatollah il vero obiettivo di lungo periodo dell’Amministrazione americana. Non dimentichiamo, infatti, come sin dal 2009, in un documento di studio denominato “Which Path to Persia?”, si preconizzava la caduta del regime e il controllo dell’Iran ricorrendo a falsi negoziati e al ruolo di Israele quale fattore di provocazione di una guerra. Un progetto, quello, ben inserito peraltro nel più ampio quadro della destabilizzazione del mondo islamico, soprattutto di quello più autonomista e refrattario ad ingerenze politiche ed economiche esterne. 

Ma Trump con questa mossa – esito probabile di un cattivo consiglio –  chiaramente supera qualsiasi linea rossa. Commette uno strappo alla legalità internazionale (violando la sovranità e la integrità territoriale del Paese, e più specificamente l’art. 2 della Carta dell’ONU), mina la credibilità dello stato di diritto, induce la Comunità internazionale ad assumere posizioni di condanna dell’aggressione e sollecita al contempo il sostegno di molti Paesi del Sud del mondo fino addirittura a ipotizzare la fornitura a Teheran di armi atomiche. Ma gli effetti più deleteri della mossa di Trump sono quelli che si riverbereranno prevedibilmente sul piano nazionale; e ciò sia in termini di immagine e di fiducia da parte di quell’elettorato che gli aveva garantito la vittoria elettorale, e il cui sostegno potrebbe essere messo in dubbio per le elezioni di “mid-term”, sia per l’accentuarsi di una opposizione politica alla sua presidenza al punto da invocarne l'”impeachment”.

Ma dove l’errore si traduce in un vero e pericolosissimo azzardo, è proprio sul piano strategico-militare.

Colpire l’Iran non equivale a colpire unità miliziane palestinesi. Teheran è primario protagonista sulla scacchiera mediorientale e ed euro-asiatica; e sebbene il suo potenziale militare non raggiunga i livelli di quello americano potrebbe, se ulteriormente provocata, ingaggiare una “guerra a tutto campo” lunga e dolorosa avvalendosi di una linea di strumenti bellici ibridi e asimmetrici. 

Un esito, quest’ultimo, cui si aggiungerebbe l’effetto di compattamento delle istituzioni e della base popolare che legittimerebbe ancor più il diritto indefettibile dell’Iran sia a sviluppare a proprio beneficio l’energia nucleare ad uso civile (ma questa volta veramente anche ad uso militare), e senza ingerenze esterne, sia ad adottare per finalità di propria difesa ogni possibile misura in regime di autotutela conformemente ai principi di Diritto internazionale universalmente riconosciuti.

In tali circostanze di innegabile alta criticità per la stabilità del Medio Oriente, ma anche del mondo intero, farebbe, dunque, bene The Donald a riflettere prima di intraprendere nuove iniziative come già minacciato. Non ne andrebbe, infatti, tanto di mezzo la “democrazia” di Israele, né il suo diritto alla difesa, bensì la sopravvivenza della sua stessa Presidenza, come anche la vogliosa smania, segretamente nutrita dall’uomo, di vedersi aggiudicato l’ambizioso riconoscimento del Premio Nobel per la Pace!  

Amb. Bruno Scapini

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