L’Unione Europea entra in fibrillazione! L’eccezionale risultato ottenuto nel primo turno delle presidenziali in Romania dal candidato nazionalista George Simion, con il 40,5% delle preferenze, deve preoccupare e non poco i decisori di Bruxelles.
Dopo le supposte ingerenze esterne che, secondo una pretesa versione dei fatti portata avanti da Bruxelles, avrebbero alterato i risultati delle precedenti presidenziali del 2024 – versione fatta poi propria, su sospetta istigazione di Bruxelles, dalla Corte Costituzionale rumena e servita a quest’ultima per annullare pretestuosamente l’intero esercizio elettorale – la notizia della conferma ora di Simion quale candidato prescelto col maggior numero di preferenze, dovrebbe acquietare certe animosità delle opposizioni inducendole a riflettere sul risultato quale esito di una chiara scelta democratica dell’elettorato. Illusione!
Ancora una volta, purtroppo, si fanno circolare negli ambienti pro-europeisti voci su presunti attacchi informatici a istituzioni e candidati riconducibili a non meglio identificate fonti russe.
La commedia di Bruxelles, dunque, non accenna a concludersi. Anzi si ripete.
Il “deep state” europeo – ed è questa ormai la locuzione con cui occorre qualificare i circoli di potere che obbligano all’osservanza delle linee impartite da Palazzo Berlaymont – non si rassegna e, di fronte alle evidenze fattuali di una volontà popolare euro-scettica, dimostra apertamente, e senza vergogna, di voler perseguire, anche in disprezzo dei più basilari principi di democrazia attiva, un’azione volta a rimuovere dalla scena europea tutte quelle forze politiche che ostacolerebbero per loro vocazione nazionalista le progettualità dell’Unione. L’accanimento terapeutico dell’UE avverso la patologia che la consuma è tenace, lampante e incontestabile. Non solo, ma integrerebbe, a ben guardare, una vera e propria forma di ingerenza nella vita politica degli Stati membri, quali esclusivi detentori della libertà di auto-determinarsi politicamente. E il metodo ricattatorio adottato per tenere sotto controllo l’architettura europea viene oggi chiaramente impiegato da Bruxelles, non solo per debellare le resistenze, ma anche in vista di dissuadere quelle forze politiche capaci di rappresentare in prospettiva una critica opposizione.
Mai poi, come nel caso della Romania, l’UE avrebbe manifestato una insolita determinazione nel contenimento di situazioni potenzialmente pregiudizievoli per l'”ordine europeista”. La Romania è strategica; e non solo per dimensione economica e territoriale, ma anche per la centralità della sua collocazione geopolitica confinante con altri Stati affetti da forti criticità (l’Ucraina e la Moldavia) e col Mar Nero. Un suo cedimento alle forze euro-scettiche potrebbe, infatti, e verosimilmente, servire da esempio per altri Paesi dell’area che verrebbero indotti ad assumere con una maggior dose di coraggio una posizione di contrasto con la “regola” di Bruxelles.
Diversi, comunque, i casi che testimoniano finora questo dirigismo dell’Europa. Ricordiamo alcuni tra i più eclatanti: le minacce indirizzate da Oliver Varhelyi, Commissario UE per l’allargamento, al Premier georgiano Kobakhidze, per l’adozione di una legge contro le ingerenze straniere, l’attentato al Premier slovacco Robert Fico, presumibilmente riconducibile al suo programma filo-russo osteggiato da Bruxelles, le ricorrenti avvisaglie di sanzioni all’Ungheria, per certe disallineate condotte di Orban, l’estromissione avvenuta recentemente – per via di un atto giudiziario verosimilmente pilotato – di Marine Le Pen in Francia e, da ultimo, le recenti significative, e neanche troppo velatamente espresse, “minacce” rivolte da Kaja Kallas, Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione, a quei leader europei che avrebbero espresso la scelta (“non senza conseguenze”) di partecipare il 9 maggio a Mosca alla nota commemorazione della Giornata della Vittoria.
E’ chiaro ormai, alla luce di simili episodi, come non si possa più discutere su un possibile rischio di deriva autocratica da parte dell’UE. Di fronte a tali gravissimi esempi di tracotante arroganza (che dovrebbero lasciare esterrefatto ogni cittadino dotato di “buon senso”), si dovrebbe più realisticamente parlare oggi di un vero dirigismo da cui la leadership europea risulterebbe affetta. Una condotta che, peraltro, non troverebbe giustificazione alcuna non soltanto sul piano del Diritto internazionale, ma anche, e soprattutto, su quello della stessa Unione Europea non rientrando la materia della politica estera tra quelle ad essa attribuite espressamente dai Trattati, ma restando per contro – e speriamo continui ad esserlo – di stretta competenza esclusiva degli Stati membri.
Ma, tornando ora alla Romania, anche in questo nuovo esercizio elettorale non sarebbe infondato immaginare – senza neppure troppa fantasia – come i sospetti di ulteriori indebite ingerenze di Bruxelles possano appuntarsi anche sul prossimo ballottaggio del 18 maggio. Il candidato Simion, infatti, si dovrà necessariamente confrontare, non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei voti al primo turno, con un rivale delle opposizioni filo-europeiste. E il concorrente potrebbe essere Nicudor Dan che, pur distanziatosi da Simion con un 20,9% delle preferenze, potrebbe tuttavia costituire un serio avversario qualora, in virtù di qualche magico artificio pre-elettorale, questi si presentasse al ballottaggio in coalizione con altro partito filo-europeista in modo da costituire una massa critica elettorale in grado di battere il temuto Simion.
C’è da sperare, al netto di strani giochi di poteri, che l’elettorato rumeno si renda responsabilmente consapevole del delicato momento storico del Paese, e che abbia il coraggio di opporsi ai maldestri tentativi manipolativi di Bruxelles avviando una inversione del corso politico per tornare a privilegiare i diritti dei popoli d’Europa, come anche il primato della sovranità popolare sulla pretesa primazia di un sistema istituzionale, quale è quello dell’Unione, delegittimato fin dalle origini dalla assenza di una necessaria quanto indispensabile rappresentatività democratica.
Bruno Scapini