La recente avanzata dell’Esercito di Kiev nella regione di Kursk in Russia sta dando visibilmente la stura ad una miriade di ipotesi e di commenti da parte di una moltitudine di osservatori, esperti ed analisti occidentali. Tutti, compiaciuti del coraggio ucraino nel portare la guerra direttamente sul territorio sovrano di Mosca, sembrano puntare sul positivo effetto che questa offensiva avrebbe nell’indurre Mosca a sedersi ad un tavolo negoziale con prospettive decisamente ridimensionate rispetto ai piani inizialmente previsti.
Quanto fallace possa essere una tale interpretazione lo dimostrerebbe tuttavia il fatto che a distanza di ben nove giorni dall’avvio dell’operazione ucraina, i russi, limitandosi a condannare Kiev per un supposto uso di armi chimiche, non sembrerebbero tuttavia talmente sconvolti, né al punto da ricorrere a contro-misure di urgenza o a mobilitazioni emergenziali. Eppure qualcuno in casa occidentale riuscirebbe a vedere una enorme difficoltà da parte di Mosca in questi frangenti, arrivando addirittura ad affermare come l’esercito russo sia stato colto di sorpresa dall’offensiva ucraina per una intrinseca debolezza dei suoi apparati militari, o ad ipotizzare perfino una scarsità di mezzi e di unità militari da parte di Mosca venendo, questa, costretta ad optare se continuare la guerra nel Donbass – dove i russi indubbiamente hanno oggi la meglio con gravi rischi per la resistenza ucraina – o se riposizionare le proprie forze nella regione di Kursk sguarnendo al contempo l’altro fronte.
Ma per meglio orientarci nel trovare un senso all’attuale nuova situazione del conflitto sembrerebbe più prudente procedere per gradi nell’analisi dei fatti.
Indubbiamente, sul piano strettamente militare è da considerare che l’offensiva appena condotta da parte ucraina, mai si sarebbe potuta realizzare in assenza di un sostegno logistico occidentale. Per un Paese, infatti, che fino a poche settimane fa dichiarava senza alcuna vergogna di rischiare la “debacle” se i Paesi della NATO non avessero garantito ulteriori adeguate forniture militari, la possibilità di attaccare ora i russi sul loro stesso territorio indurrebbe realisticamente a pensare non solo che gli armamenti con potenza di fuoco superiore siano effettivamente arrivati (nonostante le ambiguità dell’ipocrisia occidentale), ma che la stessa offensiva sarebbe stata prevista e pianificata grazie proprio alla stessa assistenza informativa degli Stati Uniti che avrebbero messo a disposizione di Kiev tutta una serie di dati ottenibili tramite i sofisticati, e tecnologicamente avanzati, sistemi di rilevazione e puntamento in loro possesso.
L’idea per contro, vagheggiata alquanto ingenuamente da taluni osservatori, secondo cui l’attacco nella regione di Kursk sarebbe stato inteso ad aprire una seconda linea di guerra al fine di impegnare l’esercito russo su un fronte ben più esteso del Donbass e mettere Mosca in difficoltà per una pretesa insufficienza di uomini e mezzi, sarebbe poi palesemente da rigettare. Quanto speciosa sia tale tesi, infatti, verrebbe del resto confermato se solo si pensi all’ingente dispositivo militare – non solo atomico, ma anche convenzionale – che la Russia, quale potenza transcontinentale, si trova a dover dispiegare in vista di mantenere in sicurezza un territorio di amplissima latitudine da estendersi dal Mare di Barents ad Ovest fino a quello di Bering ad Est ed oltre ancora.
La priorità per Mosca, infatti, è il Donbass. È lì che i russi non possono permettersi di cedere un solo centimetro delle terre conquistate; e ciò non solo in quanto il loro controllo si connette alla protezione di una regione storicamente e culturalmente di estrazione russa, ma anche per essere tali terre strategicamente funzionali all’andamento dell’intero conflitto. La tattica russa del resto è ben nota se guardiamo alla Storia passata del Paese: consentire al nemico di penetrare anche in profondità nel territorio per poi sfiancarlo costringendolo a ritirarsi. Per altro, sarebbe lecito chiedersi a questo punto, quanto a lungo potranno resistere le forze militari ucraine a Kursk – di cui peraltro si ignora la effettiva consistenza numerica – e per quanto tempo ancora potranno mantenere il controllo nella regione, ben sapendo che la reazione russa non si farà di certo attendere a lungo e che l’ampia evacuazione della popolazione ordinata dalle Autorità locali sembrerebbe chiaramente preludere ad una ormai prossima controffensiva.
Per contro, ponendosi dalla prospettiva occidentale, l’iniziativa di Kiev, indipendentemente dal suo esito finale, sembrerebbe comunque aver raggiunto il suo scopo. Ovvero quello di dimostrare la capacità occidentale di colpire anche in profondità il territorio del nemico al duplice fine di evidenziarne la vulnerabilità, imponendo al Cremlino una sorta di umiliazione, ma soprattutto per indurre la dirigenza moscovita a riflettere sull’inutilità del prolungamento di una guerra che, negli intendimenti americani, potrebbe alla fin fine non convenire alla Russia costringendola a rivedere in chiave riduttiva i propri piani nei confronti dell’Ucraina. Ma in questo quadro, un aspetto non è assolutamente da trascurare: i russi, sentendosi violati nella loro sovranità territoriale, non rinunceranno certamente alla reazione che metteranno in atto con ancor più convinzione nella prospettiva di difendere l’inviolabilità della loro terra. L’operazione ucraina di Kursk, infatti, avrebbe tra i suoi esiti, e inevitabilmente, quello di toccare le corde emotive dell’anima russa che trarrebbe dall’evento la forza per trasformare il conflitto con l’Ucraina, ma in realtà contro il nemico occidentale, in una nuova “guerra patriottica” che, come tale, sarebbe in grado di richiamare, in una mobilitazione delle coscienze, le forze materiali e spirituali dell’intera Nazione. D’altra parte, per l’Occidente, e in particolare per l’atlanticismo militante degli Stati Uniti, veri registi di questo imperialismo guerrafondaio, l’Ucraina sarebbe un mero “danno collaterale” e la sorte del suo popolo poco conterebbe per loro, impegnandosi invece i Paesi occidentali già ora a varare operazioni di finanziamento post-bellico per la rinascita di un popolo decimato, ma avendo a mente soprattutto il conseguimento di lucrosi affari derivanti dalla ricostruzione del Paese. Un’operazione per la quale perfino l’Italia si starebbe già preparando, e con largo anticipo rispetto all’evoluzione degli eventi sul campo, come dimostra la Conferenza Bilaterale sulla Ricostruzione dell’Ucraina organizzata a Roma nell’aprile del 2023; un piano da ben 400 miliardi di investimenti e mille imprese interessate!
Considerando, quindi, la situazione nel suo complesso, e tenendo conto, da un lato, dei potenziali militari dei rispettivi contendenti, e, dall’altro, delle poste in gioco in una partita che vede la Russia confrontarsi con la NATO, non tanto per un gioco egemonico voluto da un’America non sazia del proprio imperialismo, bensì per un ben fondato interesse a salvaguardare la propria integrità, si è indotti realisticamente a credere che l’offensiva ucraina a Kursk sia piuttosto da ritenere un fatto episodico nell’economia generale dell’intero conflitto, una sorta di azzardo cui Kiev si sarebbe coercitivamente concessa, indicativo dell’estremo tentativo di indebolire la Russia che l’America, consapevole dei propri limiti, avrebbe deciso di mettere in atto in questo scorcio di stagione bellica prima che gli esiti elettorali negli Stati Uniti portino alla Casa Bianca un inquilino non incline a compiacere gli interessi delle “lobby” militariste e progressiste del Paese.
Un’ultima osservazione meriterebbe comunque la questione, e sarebbe una semplice ma significativa curiosità storica.
La manovra militare a Kursk, per la dinamica strategica implicata, potrebbe verosimilmente essere comparata, se vogliamo dare un senso all’iniziativa di Kiev, a quella messa in atto da Scipione l’Africano nel lontano 204 a.C., allorché questi, in presenza di un minaccioso Annibale alle porte di Roma, decise, non senza consistente azzardo, di portare la guerra direttamente sul suolo cartaginese ottenendone una schiacciante vittoria. Ebbene, l’esempio, pur calzante se vogliamo in termini di strategia militare, non sembrerebbe tuttavia corrispondere alla realtà dei fatti ucraini. Il motivo? Arduo immaginare che la Russia di oggi possa assimilarsi alla Cartagine di ieri, certo; tuttavia due dettagli farebbero la differenza nell’identità delle situazioni: l’Ucraina di oggi non è la Roma dell’antichità, né Zelensky sarebbe Publio Cornelio Scipione, quel glorioso condottiero passato “ex virtude” alla Storia come l’Africano per aver salvato la propria Patria portando la guerra direttamente sul suolo del nemico!
Bruno Scapini