Benvenuti a tutti!
Mia moglie Carla ed io, insieme al personale di tutta la Missione Diplomatica americana, siamo molto contenti di darvi il benvenuto a Villa Taverna.
Siamo entusiasti di essere qui in Italia.
Vorrei ringraziare il Vice Presidente del Consiglio e Ministro Tajani, ed il Vice Presidente del Consiglio e Ministro Salvini per essere con noi stasera. Desidero poi congratularmi con tutto il governo Italiano per il grande successo ottenuto in occasione della presidenza Italiana del G7.
Qualche anno fa, io e Carla abbiamo raggiunto gli amici in Colorado per il 4 luglio. Hanno la tradizione nella loro famiglia di leggere a turno la nostra Dichiarazione di Indipendenza. Hanno anche letto il notevole discorso di Frederick Douglass del 1852, “Che cos’è per uno schiavo il 4 luglio?”
Dopo essere fuggito dalla schiavitù, Douglass divenne un abolizionista chiave e uno che incarnò la tradizione americana di dire la verità al potere.
Il 1852, l’anno del suo discorso, era un decennio prima che il presidente Lincoln firmasse il Proclama di Emancipazione.
C’è da meravigliarsi, quindi, che nel 1852 Frederick Douglass abbia detto quanto segue:
“Questo 4 luglio è vostro, non mio. Voi potete rallegrarvi, io devo piangere. Trascinare un uomo in catene e chiedergli di unirsi a voi in inni gioiosi è una presa in giro disumana. Intendete, cittadini, prendermi in giro chiedendomi di parlare oggi?
Che cos’è, per lo schiavo americano, il tuo 4 luglio? Rispondo: un giorno che gli rivela, più di tutti gli altri giorni dell’anno, la grossolana ingiustizia e crudeltà di cui è vittima costante”.
Douglass ha brillantemente sostenuto che l’America era ben lontana dall’essere all’altezza degli standard che si era prefissata.
E allora perché, in questo giorno di festa con i nostri amici di Roma, dovrei citare il discorso di Douglass?
Proprio come siamo orgogliosi di così tanto del nostro paese, è il lavoro perpetuo del popolo americano riconoscere le nostre imperfezioni. In questo modo, gettiamo le basi per i nostri punti di forza più importanti come nazione.
Nel preambolo della nostra Costituzione, i firmatari scrissero, nella primissima riga, che uno degli scopi principali di quello stesso documento era quello di formare una “unione più perfetta”.
Non per formare una “unione perfetta”, ma una “unione più perfetta”. Riconoscendo le nostre imperfezioni e allo stesso tempo orgogliosi dei nostri punti di forza, cercando di imparare dagli altri paesi come facciamo qui in Italia condividendo il meglio della nostra società, accogliendo coloro che da tutto il mondo cercano rifugio e opportunità, inviando il meglio della nostra gente all’estero in programmi come i Corpi di Pace, Fulbright e scambi di leadership: riconosciamo la nostra responsabilità di contribuire al bene pubblico e di imparare dagli altri. Questo è il tipo di America che credo i nostri fondatori abbiano immaginato.
Viviamo in un’epoca in cui la democrazia ha bisogno di essere coltivata. Sfide molto più grandi di una singola nazione richiedono la nostra attenzione: sfide come il cambiamento climatico, l’ingiustizia sociale, l’aggressione della Russia in Ucraina e la destabilizzazione della democrazia. Affrontiamo queste sfide, mano nella mano, con i nostri partner e alleati in tutto il mondo, nel rispetto dei valori che ci uniscono.
Ho trascorso del tempo con il primo ministro Meloni e il presidente Biden nello Studio Ovale e recentemente in Puglia, ed è chiaro quanto sia forte il rapporto tra i nostri leader e i nostri Paesi. Siamo fortunati ad avere l’Italia come un amico, un partner e un alleato così forte. Siamo grati agli italoamericani che hanno contribuito così tanto alla grandezza degli Stati Uniti. E guardiamo con entusiasmo al mondo migliore che costruiremo insieme.