Ambasciatore stimatissimo e apprezzato scrittore, Mario Boffo ha intrapreso la carriera diplomatica nel 1978, alternando, negli anni a venire, periodi di lavoro in Italia e all’estero: Congo, Spagna, Belgio (presso la NATO) e Canada le tappe iniziali di una brillante carriera, per poi approdare in Yemen (nel 2005) e Arabia Saudita (nel 2013), come Capo Missione. Ovunque, ha curato temi politici, strategici, negoziali, economici e culturali, dimostrando una spiccata capacità di analisi e grande senso di intuizione, doti tipiche del giocatore di scacchi, sua grande passione, assieme alla storia e al teatro.
È attualmente Presidente del Premio Epheso (European Phoenomena, Economic and Social Observatory) e scrive articoli su riviste accademiche o geopolitiche, tenendo numerose conferenze presso Università e circoli culturali in tutta Italia. Fra i suoi libri “La famiglia Cuocolo… e altri racconti”, “Femmina Strega”, “Yemen l’eterno” e “Il Cavaliero errante”.
Eccellenza, a poco più di quattro mesi dalle elezioni presidenziali americane, a suo avviso, quali previsioni si possono fare? “La contesa mi sembra basata, più che sui meriti, sulle ben note carenze personali e politiche di ciascun candidato. A grandi linee, credo che prevarrà Trump, sebbene un eventuale asso nella manica dei democratici potrebbe far saltare questa previsione. Michelle Obama? Per ora l’ex First Lady afferma di non essere intenzionata. Chiunque vinca, sarà importante l’effetto di queste elezioni sulle due guerre in corso”.
A tal proposito, in una recente analisi, lei ha sostenuto che Putin e Netanyahu tiferanno per Trump… “Almeno stando alle aspettative (ma si vedrà al momento), Trump continuerà a sostenere Israele, come ha già fatto in passato; sull’altra guerra, è possibile che allenti il sostegno all’Ucraina, forse in forma dirimente; o almeno questo è ciò che si aspetta Putin. Biden, in caso di vittoria, si troverebbe davanti a un bivio: continuare nel permissivismo verso Israele e nella procrastinazione della guerra infinita in Ucraina, oppure cercare soluzioni almeno per un cessate-il-fuoco su uno o su entrambi i fronti? Credo che almeno in Ucraina anche con Biden potrebbe aprirsi qualche opportunità in tal senso; è infatti mia impressione che da mesi gli aiuti americani a Kiev, in qualità e quantità, non abbiano altro scopo che quello di mantenere lo stallo, per poi giocarsi qualche carta, magari in controtendenza rispetto alla propaganda degli ultimi due anni e mezzo; carta che sarebbe elettoralmente rischiosa oggi, ma che potrà essere fatta digerire agli americani nei quattro anni successivi al voto”.
Qual è il suo commento invece sul risultato della recente tornata elettorale per le europee? “La leggera svolta a destra non sembra poter cambiare le cose, rispetto agli ultimi anni, se non in questioni marginali. D’altra parte, l’Europa conta così poco che si tratterà più che altro di lievi mutamenti di costume politico e di linguaggio, forse con qualche risvolto all’interno dei vari paesi. Semmai mi sembra più importante guardare alle elezioni in Francia, che potrebbero cambiare il registro politico in un membro fra i più importanti dell’Unione. Anche con la vittoria delle destre, tuttavia, non credo che la politica estera di Parigi cambierebbe, per il semplice fatto che la Francia, come ogni altro paese europeo, non è più in grado di svolgere un’incisiva politica autonoma sugli scenari internazionali”.
Ambasciatore nello Yemen prima e in Arabia Saudita poi. Che esperienze sono state? “Diverse, perché profondamente diversi sono questi due paesi e le rispettive società. Lo Yemen è un paese di grande fascino culturale, antropologico e storico, del tutto differente dagli altri del Golfo. A Sana’a ho cercato di valorizzare, sul piano professionale, la grande importanza strategica del paese in virtù della sua posizione geografica, importanza che stiamo constatando ora. Anche da questo mio sforzo sorse l’iniziativa italiana (nel 2009 alla presidenza del G7) di sottoporre lo Yemen all’attenzione della comunità internazionale, attenzione poi scemata, per un serie di motivi, proprio quando il paese aveva trovato una via d’uscita alla crisi politica; si preferì allora lasciare carta bianca all’Arabia Saudita. A Riad ho vissuto l’inizio della trasformazione verso una modernità più permissiva (ma non meno autoritaria), di una società più aperta e di un’economia meno dipendente dal petrolio. Fui anche testimone dei primi riservati contatti del Regno con lo Stato di Israele”.
Qual è, in generale, il suo ricordo più bello legato alla carriera diplomatica? “Uno per ognuna delle mie sedi. In Congo, il soccorso prestato a tredici missionari italiani in fuga dalla guerra tanzano-ugandese, nel 1980: da solo, lontano, in zona di guerra, senza cellulare e nessun’altra risorsa che l’entusiasmo e il senso del dovere. In Spagna, la grande ammirazione che governo e popolo avevano per l’Italia, allora considerata un vero e proprio modello da seguire (allora…). Alla NATO, l’avvio di politiche dell’Alleanza con il Mediterraneo e con la Russia, che sembrarono aprire orizzonti di concordia e stabilità, poi vanificati dalle ondate di allargamento. In Canada, la valorizzazione dei centenari delle prime trasmissioni radio marconiane fra Terranova e l’Inghilterra. Nello Yemen, la liberazione limpida e senza alcun altro risvolto dei cinque italiani sequestrati nel 2006. In Arabia Saudita, la visita a Gedda della squadra navale italiana che portava in giro il made in Italy e che suscitò presso gli Stati Maggiori sauditi ammirazione e sorpresa per le unità della nostra Marina”.
E il più brutto? “Dovrei forse ricordare, almeno in termini obiettivi, l’attentato rivendicato da Al Qaeda che l’Ambasciata a Sana’a subì nel 2008. Era una stagione di attacchi all’Occidente nella capitale yemenita, e anche l’Ambasciata italiana fu interessata. Io ero dentro, e percepii nettamente le due esplosioni di razzi da RPG, una specie di bazooka, seguito poi dal suono delle sirene della polizia. Constatato che l’edificio non era stato colpito (le granate erano finite più lontano di una cinquantina di metri), continuai a stiracchiarmi nel letto e mi alzai, come d’abitudine, alle otto, mentre in Italia la stampa mi dava già per morto”.
A proposito di Medio Oriente, la guerra tra Israele e Hamas ha riacceso i fari nel panorama internazionale sullo Stato di Palestina, che sempre più Paesi nel mondo stanno riconoscendo formalmente, raccogliendo le ire di Israele. Qual è il suo commento a riguardo? “Al di là di aggiustamenti marginali ed effimeri, non sono ottimista, almeno finché non cambino gli attuali paradigmi della governance internazionale e mediorientale. Nelle circostanze segnate dagli ultimi settantacinque anni, Israele può sopravvivere come potenza di qualche rilievo solo rimanendo in permanente stato di allarme e di guerra, gli Stati Uniti non possono abbandonare quest’importante bastione in un’area difficile, la crisi palestinese è utile all’Iran e in modo più sfumato agli altri arabi per giustificare le proprie politiche. Gli equilibri mondiali stanno cambiando, ed è impossibile dire che mondo avremo fra dieci anni. Ma, a meno di mutazioni internazionali radicali e rivoluzionarie, la situazione mediorientale continuerà a mantenere acceso un inestinguibile fuoco, sotto cenere, a tratti, ma con cicliche devastanti fiammate che nessuna teorica iniziativa sarà in grado di placare”.
Le sue opere letterarie spaziano dai temi della femminilità e della conoscenza a quelli della simbologia e del mito: “Femmina strega”, “Yemen l’eterno”, “Il cavaliero errante”, quest’ultimo imperniato sulla disciplina degli scacchi come metafora della vita e della ricerca del vero. A chi consiglia maggiormente i suoi libri e perché?” Ovviamente li consiglio a tutti! Femminilità, simbologia, mito, ricerca del vero, sono temi che dovrebbero intrigare ciascun essere umano. Oggi il panorama letterario in Italia è dominato da generi leggeri: il giallo, il rosa, le narrazioni personalistiche, biografiche o pseudo-biografiche dell’autore. In realtà, anche i libri che cercano qualche profondità non sono affatto “pesanti”, difficili o meno appassionanti di quelli più correnti. Quello che cerco di fare nelle mie opere è intrecciare la mia visione su importanti aspetti della condizione umana con trame accattivanti e trascinanti. Almeno così dicono coloro che le hanno lette”.
Intervista di Marco Finelli